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Tár - Recensione: l'architettura della prevaricazione

Il nuovo film di Todd Field è una riflessione sul potere fortemente piantata nei nostri tempi

Forte di sei candidature ai Premi Oscar 2023, Tár si è subito segnalato come uno dei film più attesi dell'intera Award Season. 

 

Non potrebbe essere altrimenti: le vittorie della Coppa Volpi a Venezia e del Golden Globe per la Migliore Attrice in un film Drammatico per la sua protagonista indiscussa, Cate Blanchett, sarebbero state sufficienti a calamitare in automatico l'attenzione mediatica verso la pellicola.

 

Ma non è stato il solo status della sua protagonista, contendente numero uno per l'Oscar alla Migliore Attrice Protagonista, a dare una grande attenzione al film.  

 

[Il trailer internazionale di Tár]

 

 

Il terzo lungometraggio di Todd Field, tornato a girare un lungometraggio a sedici anni da Little Children, ha infatti ricevuto il plauso di alcuni dei più grandi nomi di Hollywood, incluso Martin Scorsese, che in occasione dei New York Film Critics Circle Awards si è lanciato in un elogio sperticato della pellicola. 

 

"A lungo abbiamo assistito a film che ci mostrano esattamente dove stanno andando.

Ci prendono per mano, anche se a volte è disturbante, e ci confortano sul fatto che alla fine tutto sarà a posto.  

Si tratta di un meccanismo insidioso, che può cullarti e renderti assuefatto a questa idea, che porta molti di noi che abbiamo vissuto il Cinema in passato a provare uno stato di disperazione per il futuro di questa forma d'arte, soprattutto per le generazioni più giovani.

 

Ma quelli sono stati i giorni bui. Le nubi si sono sollevate quando ho visto il film di Todd. 

La stessa sostanza di cui è fatto questo film non permette a ciò che ho detto di verificarsi."

 

Un'autentica incoronazione per un'opera che, a ben vedere, porta a caratteri cubitali due firme: quello della sua protagonista, presente in quasi ogni frame del film, e quella del suo autore.

 

 

[Cate Blanchett nei panni di Lydia Tár che dirige la sua orchestra: una delle immagini più iconiche di questa stagione dei premi]

 

Come inquadrato con grande precisione da Mattia Gritti, che ha visto il film in occasione della Mostra di Venezia, l'opera è infatti legata a doppio filo alla visione di Todd Field, che ne è anche sceneggiatore e produttore.

 

Al centro della pellicola c'è Lydia Tár, direttrice d'orchestra EGOT - la sigla che indica tutti i premi principali dello spettacolo statunitense: Emmy, Grammy, Oscar e Tony - impegnata nel completamento del ciclo di registrazioni delle nove Sinfonie di Mahler attraverso l'incisione della Sinfonia n.5. 

Un personaggio fittizio, ma così profondamente caratterizzato e plasmato sull'immaginario comune di "persona di successo" da sembrare reale: se digitate il suo nome su un qualsiasi motore di ricerca vedrete quanto siano frequenti le ricerche di maggiori informazioni sulla sua vita. 

 

Intorno a lei c'è il lavoro di Todd Field, che costruisce attorno alla sua protagonista un mondo che ne è la perfetta proiezione, pur essendo esplicitamente radicato nei nostri giorni.

 

I temi degli effetti del post-pandemia e del #MeToo svettano con chiarezza all'interno del tessuto narrativo, ma non esauriscono la complessità di un'opera che prima di lanciarsi nel più profondo character study della sua protagonista vuole mettere in chiaro la chiara posizione del suo regista: deve esistere una chiara separazione tra l'arte e l'artista che l'ha generata.

Le azioni del secondo non devono influenzare la valutazione della prima.   

 

Una diversa prospettiva metterebbe a repentaglio l'arte stessa.

 

 

[In Tár, Todd Field gioca con le percezioni dello spettatore]

 

 

Una riflessione fondante anche e soprattutto alla luce della parabola di Lydia Tár, che si trova invischiata in una spirale sempre più vorticosa di scandali di natura politica all'interno del suo ambiente musicale, sotto i quali cova un chiaro sottotesto sessuale. 

 

Cate Blanchett è chiamata dunque a delineare con minuzia le caratteristiche di un personaggio che padroneggia perfettamente le più sottili logiche del potere, costringendo lo spettatore nella scomoda posizione di rendersi conto che la propria empatia è mal riposta. 

Coadiuvata da un cast in grande forma composto da Noémie Merlant, Nina Hoss, Mark Strong e Julian Glover, l'attrice australiana si muove risolutamente tra New York e Berlino delineando rapporti affettivi e di potere di un personaggio che sembra nascondere la propria forza nelle pieghe di un'apparente benevolenza. 

 

L'opera non regala certezze, ma eco sinistre di un passato fatto di prevaricazione e chiari indizi su quella che potrebbe essere una raggelante ciclicità: a questo contribuisce anche la colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, omaggiata dallo stesso Field con una citazione esplicita in sceneggiatura nell'incipit del film.

 

Volendo essere massimamente maliziosi, si potrebbe dire che non è un caso che Tár sia prodotto da Universal, la casa di produzione divenuta famosa tra gli anni '20 e '50 per la rassegna di mostri che ha portato sullo schermo.

 

 

[Compagna di recitazione di Cate Blanchett in Tár è Nina Hoss, una delle più grandi attrici europee della sua generazione]

 

 

Nella costruzione di una simile consapevolezza, il lavoro di Todd Field è mirabile: sfruttando la maestosità del formato panoramico 2,39:1, il regista lavora con minuzia sulle composizioni, sull'uso diegetico della scenografia e sulle sequenze oniriche che gradualmente assalgono la protagonista. 

 

La fredda e asciutta eleganza permea la messa in scena, che nasconde la complessità di alcune scelte, contribuendo alla caratterizzazione di Lydia Tár. 

Che gli ambienti siano un naturale prolungamento della mente del personaggio eponimo è chiaramente desumibile dalla quasi assoluta assenza di finestre negli interni, dalle sparizioni e dai malfunzionamenti di alcuni oggetti afferenti il lavoro della direttrice d'orchesta mentre la sua vita si deteriora, dall'attaccamento di Lydia Tár alla sua vecchia casa e dalla graduale follia degli eventi che seguono ogni occasione in cui qualcuno bussa alla porta.  

 

Non a caso, sin dall'inizio dell'opera un ruolo centrale è ricoperto dai rari momenti in cui la privacy della protagonista non è seguita dalla sua prospettiva, ma viene esposta attraverso uno sguardo esterno, che lo spettatore percepisce inevitabilmente come minaccioso.

 

Ancora una volta torna quindi nel Cinema il paragone tra casa e mente, già espresso con grande eloquenza da opere come Strade perdute di David Lynch.

 

 

[Lydia Tár domina la propria arte, i propri spazi e non solo]

 

 

Il lavoro dell'autore però non si limita a questo: sin dal breve prologo e dai lunghissimi titoli di testa crea attesa per poter avere una visione non occlusa della protagonista, ci immerge in un lungo elenco dei suoi riconoscimenti, ci mostra frammentariamente quanto il suo modo di apparire la caratterizzi, quanto sia studiata e metodica in ogni gesto pubblico. 

 

Il contrasto con l'onnipresenza che lo spettatore otterrà immediatamente di seguito è netto e spiazzante.  

La scelta narrativa successiva di dipanare l'opera in seguito a un'intervista in cui Lydia Tár esprime con fermezza le proprie visioni sul mondo dell'arte e sul suo lavoro - definendo come "predeterminato" il momento del concerto e "pieno di sorprese" il periodo delle prove - espone con chiarezza che l'intera opera ci presenterà le scoperte che la protagonista farà all'interno della sua routine preparatoria. 

 

Un'impostazione che mette in chiaro la prospettiva del suo autore rispetto al personaggio e alle azioni che ci vengono suggerite, ma che non lascia da parte la dimensione traumatica della distruzione della sua vita.

Todd Field infatti lavora perfettamente in sottrazione con il montaggio di Monika Willi, operando delle ellissi sempre più profonde che corrispondono con la rimozione degli eventi dolorosi di una vita che si sgretola.

 

Pensare che malgrado i 158 minuti di durata i tasselli mancanti abbiano una simile valenza poetica nell'opera ci permette di comprendere la portata mastodontica e tridimensionale della rappresentazione di Lydia Tár.

 

Tàr si presenta come il sofisticato disvelamento dell'architettura di dinamiche di potere che prescindono dal genere di chi lo esprime, dal suo orientamento sessuale e dal mondo nel quale la prevaricazione si esplicita.

 

 

[Tár sembra aver lanciato in maniera pressoché inarrestabile Cate Blanchett verso il suo terzo Premio Oscar in carriera]

 

 

Pur con un lavoro diversissimo da quello propostoci in Blue Jasmine, Cate Blanchett sembra poter fare affidamento su un nuovo ritratto di una donna la cui vita va in frantumi per puntare con decisione al terzo Premio Oscar della sua carriera.  

 

Un progetto in cui credeva fortemente, di cui è stata produttrice esecutiva e che potrebbe consacrarla definitivamente come una delle più grandi attrici della Storia del Cinema. 

Non pensiate però che la sua prova divori l'intera opera, tramutandola in uno showcase: l'equilibrio tra narrazione, messa in scena e interpretazione principale è a mio avviso tra i migliori raggiunti da una produzione hollywoodiana negli ultimi anni. 

 

L'anima di Tár è la stessa anima della sua protagonista, ma a permetterle di prendere vita è la visione totalizzante di un Todd Field in grandiosa forma.

 

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1 commento

Jacopo Gramegna

1 anno fa

Ti ringrazio, Luca. La tua riflessione l'ho condivisa parecchio, soprattutto in relazione a una serie di prodotti che premono in maniera più o meno marcata la mano sull'aspetto dello status...Ad esempio The Woman King, che mi è sembrato essere sempre su una linea molto sottile senza mai voler prendere una decisione netta sulla sua natura.

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