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Don't Worry Darling - Recensione: la rivincita delle casalinghe - Venezia 2022

La recensione di Don't Worry Darling, chiacchieratissimo film di Olivia Wilde, da Venezia 79

Don't Worry Darling: il titolo più chiacchierato degli ultimi mesi arriva finalmente al Lido. 

 

Opera seconda di Olivia Wilde, il film è stato presentato fuori concorso alla 79ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, carico di tutte le altissime attese che il precedente Booksmart - La rivincita delle sfigate ha generato.

 

Al netto di tutte le polemiche che ne hanno caratterizzato la realizzazione e la distribuzione nelle ultime settimane, il film era da tutti considerato uno dei titoli più interessanti della kermesse, sia per capire dove la carriera della regista statunitense intendesse andare dopo l'ottimo esordio, sia per un casting e una produzione estremamente ambiziose.

 

[Il trailer di Don't Worry Darling]

 

 

Don't Worry Darling si apre sulla bellissima scena di un party divertente e caotico in cui le coppie - che impareremo a conoscere - giocano, bevono e mostrano tutta la propria joie de vivre, un tratto distintivo che lo accomuna all'opera precedente sin dalle perfette scelte musicali.

 

Da questo momento la regista newyorkese inizia a raccontarci il classico sobborgo statunitense anni '50 in costruzione: villette a schiera, donne relegate al ruolo di casalinghe, vita chiusa nel solo noioso e omertoso vicinato dall'estetica patinata.

 

Questa rappresentazione da rivista di quell'epoca frivola, arretrata e piena di ombre è ormai diventata un topos tematico e narrativo abbastanza consueto e Olivia Wilde per tutto Don't Worry Darling non ne rifugge i cliché.

 

Come l'uovo che Alice (Florence Pugh) sgretola tra le sue mani, però, questa realtà da cartolina in cui tutti i protagonisti sembrano pienamente a loro agio viene presto messa in discussione: qualcosa non torna e solo Margaret (KiKi Layne) sembra accorgersene.

 

Il non detto è il vero protagonista di tutto Don't Worry Darling: le donne del sobborgo sono all'oscuro di cosa stia succedendo nel progetto nel progetto Victory a cui stanno prendendo parte, cosa facciano di preciso i mariti che salutano dai loro vialetti ogni mattina, quale sia il grande pericolo che circonda le loro case e tanti altri dettagli. 

 

 

[Una delle arringhe di Frank, faro della comunità Victory, al vicinato di Don't Worry Darling]

 

 

Il limite tra comunità e setta è spesso labile e in questo caso l'ambiguità è lampante: una struttura gerarchica ed estremamente classista che, unita a una chiara linea di comando in cui sotto Frank gli uomini sembrano conoscere qualcosa che alle donne non è dato sapere, portano lo spettatore a dubitare del patinato idillio.

 

Alice e Jack (Harry Styles) hanno una chimica invidiabile, riconosciuta anche dai vicini, ma alcuni piccoli scricchiolii sembrano farsi sentire a poco a poco, come un'alchimia sessuale troppo esasperata - che anticipa un discorso sui ruoli domestici - e dei silenzi troppo grandi per essere accettati.

 

Nonostante molte delle tesi del film si fondino su ciò che si troverà dietro al velo di Maya che sembra coprire l'insediamento di questi novelli coloni, non mi addentrerò oltre nella narrazione, per permettere a chi leggerà questa recensione di godere dei colpi di scena che si susseguiranno lungo tutto Don't Worry Darling.

 

Piccole crepe che insinuano il dubbio prima nello spettatore e poi nella protagonista: a differenza di quanto declama il titolo c'è qualcosa di cui preoccuparsi e la nuova area residenziale che stanno costruendo sotto la guida di Frank (Chris Pine) nasconde qualcosa di pericoloso.

 

 

[Florence Pugh in una prova estremamente coinvolgente]

 

 

Il film dell'attrice lanciata dalla serie TV Dr. House comunque ragiona chiaramente sin dalle sue prime inquadrature sui ruoli all'interno di un nucleo familiare, in particolare su quell'organizzazione domestica retrograda, tipica del tempo in cui il progetto Victory sembra ambientato.

 

Una rigida suddivisione dei compiti, che viene ripetutamente rimarcata sia da alcune incapacità dei personaggi maschili, sia dalla noiosa routine di tutte le casalinghe del sobborgo; l'ordine opposto al caos è infatti il vero valore fondante della comunità di cui Alice, Jack e tutti i vicini fanno parte.

Una schematizzazione urbanistica, gerarchica, domestica, ma anche classista e di genere che ad un certo punto si troverà messa in dubbio dalla rabbia delle ultime di questa catena.

 

L'ordine sopra a ogni cosa sembra così portarsi dietro anche un ragionamento sui limiti del perimetro domestico e di ogni confine: una visione che sarà chiaramente rafforzata da alcuni sviluppi narrativi, ma che sin dalla monotonia delle pulizie di Alice quando Jack è a lavoro è perfettamente lampante.

  

L'insediamento ha infatti un confine ben delineato al di là del quale c'è un pericolo indefinito, ma che sembra rispettato da tutti i protagonisti di Don't Worry Darling: un sobborgo tanto limitato quanto la mentalità che lo contraddistingue, che può essere messo in crisi solo dal dubbio e dalla strenua ricerca della verità.

 

Olivia Wilde riesce in modo estremamente ispirato a raccontare la banalità di questo insediamento patinato, costruendo un'impalcatura visiva impeccabile e che spesso rafforza concetti e suggestioni che il suo film sta cercando di trasmettere: un'ottima regia a cui si aggiunge una funzionalissima prova attoriale, che verso la fine acquisterà ancor più senso in funzione del suo ruolo esterno al film.

 

La sua prova registica è indubbiamente una delle componenti più riuscite di Don't Worry Darling: controlla bene un ritmo estremamente coinvolgente, riuscendo a gestire bene svariati cambi di registro, tutto in un contesto immaginifico, estetico e simbolico che funziona e che non risulta mai fine a se stesso.

 

Se però la sua impronta, insieme all'interpretazione estremamente dinamica di Florence Pugh e a quella misteriosa della stessa regista, sono tra le note decisamente positive del film, Don't Worry Darling scivola su una narrazione e su un impianto tematico che risultano poco freschi, troppo ridondanti e non particolarmente lucidi e ispirati.

 

 

[La coppia Styles-Pugh in tutta la sua precaria alchimia in Don't Worry Darling]

 

 

Un peccato per una messa in scena così riuscita e benaugurante per il prosieguo della carriera della regista newyorkese: si notano perfettamente stilemi che ritornano da La rivincita delle sfigate e che ne denotano un'anima estrosa, sfrontata, dinamica e smaccatamente pop.

 

Questa freschezza visiva e registica non risolleva completamente Don't Worry Darling che, se si escludono poche incursioni in un discorso più contemporaneo, risulta un film che potrebbe essere uscito quasi una decina di anni fa.

 

Un'opera che nella sua straripanza finisce per deludere, non tanto per una mancanza di qualità, quanto per una scrittura incapace di sorreggere il talento registico messo in mostra.

 

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