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Mali Twist - Recensione: la rivoluzione è una danza - FESCAAAL 2022

Recensione di Mali Twist, ultima pellicola del regista Robert Guédiguian

Il regista Robert Guédiguian è solito affrontare nelle sue opere temi politici, culturali e sociali: il suo ultimo lungometraggio Mali Twist non fa eccezione.

 

Mali Twist è ambientato nel Mali del 1962, un Paese appena decolonizzato sotto la guida del partito USA-RDA con a capo del governo Modibo Keïta.

 

 

 

L’obiettivo di Modibo Keïta è quello di portare, attraverso il Socialismo, una svolta rivoluzionaria nei villaggi e renderli simili alla realtà di Bamako (all’epoca capitale del Sudan francese).

 

Questi ideali vengono abbracciati da molti giovani del Paese che si uniscono alla causa; tra questi vi è Samba (Stéphane Bak), un giovane particolarmente attivo dal punto di vista politico e seriamente interessato all’impatto che questa rivoluzione avrà sul futuro, nonostante molti siano restii a cambiare stile di vita sia socialmente che economicamente. 

In un comune giorno di lavoro Samba si accorge che qualcuno si è nascosto nella sua vettura: è Lara (Alice Da Luz), una ragazza costretta a un matrimonio combinato con un marito abusivo, che chiede a Samba di aiutarla a scappare e, successivamente, nascondersi.

 

Con il passare del tempo i due si innamorano e cercano di aggrapparsi a quella felicità sfuggente, ma le allegre danze che li accompagnano sotto le note del twist lasciano pian piano spazio alla realtà crudele in cui viene messo in discussione ogni concetto di umanità.

 

Robert Guédiguian in Mali Twist sceglie di allontanarsi dalla Francia - in particolar modo dalla sua cara Marsiglia - per affrontare un paesaggio completamente nuovo, sempre tenendo fede al bisogno di esternare le complessità che si celano dietro alla lotta politica.

 

Ciò riesce soprattutto grazie alla scelta di seguire la vicenda di questi due amanti, invece di soffermarsi insistentemente sui fatti storici limitandosi a dare un contesto e una visione generale della vita dell’epoca, senza ingarbugliarsi in dettagli superflui. 

 

 

[Alice Da Luz e Stéphane Bak in una scena di Mali Twist]

 

 

Una trovata che alleggerisce la visione risultando incredibilmente interessante, ad esempio, è quella di far risaltare alcuni eventi attraverso degli scatti ispirati al famoso fotografo maliano Malick Sidibé, la cui passione negli anni '60 e '70 era fotografare i giovani durante i momenti di svago. 

 

La voglia di leggerezza si nota in particolar modo attraverso le scene dedicate al twist, che rappresenta qualcosa di differente a seconda di chi vi si approccia: per i giovani ragazzi di Bamako vuol dire liberarsi dalle tradizioni - quando si esce a ballare, infatti, è necessario abbandonare usi e costumi della cultura africana, sostituendo anche gli abiti classici con modelli occidentali - e ha l’unica finalità di divertirsi e staccare da una vita dedita al lavoro e all’onore per la famiglia.

Per la maggioranza degli adulti e di un Governo che si dice rivoluzionario, invece, il twist è una possibile minaccia alla disciplina e all’ordine, qualcosa che rappresenta sotto ogni punto di vista un atto di lotta politica.

 

Si noti che quando ho parlato di “leggerezza della visione” era inteso con accezione positiva: non quindi una scelta dettata dalla superficialità, bensì legata alla necessità di lasciare allo spettatore un’opera ordinata, in equilibrio tra spensieratezza e drammaticità.

 

Sebbene non manchino a mio avviso alcune piccole pecche, con Mali Twist Robert Guédiguian ha sfidato se stesso mettendo in scena con grande rispetto la storia di una cultura che non gli appartiene, soffermandosi su aspetti quali uguaglianza, libertà e altri valori universalmente condivisibili.

 

Sottolineando l’importanza della lotta delle idee in senso gramsciano.

 

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