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Apocalypse Now è filosofia ¦ In fuga verso se stessi

Ovvero, l'etica esistenzialista di Jean Paul Sartre ed Albert Camus

Sono passati più di due anni da quando lessi Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. Ma ancora non mi ha abbandonato lo stile denso, malsano e viscerale di quelle pagine: come fosse fatto di nera pece. E sulla pece mi pareva che scivolassero i suoi personaggi: lentamente, nel cuore della giungla e nel cuore del loro cuore.

 

Ogni periodo dell'anno ha i suoi stili letterari dedicatigli e forse è l'estate il momento migliore per le letture esistenzialiste.

 

Ed è proprio tramite due degli autori che più amo che voglio analizzare questo capolavoro su pellicola.
Albert Camus e Jean Paul Sartre: Lo straniero e La nausea.

Jean Paul Sartre aveva un'idea chiara della moralità: essa doveva essere calata nella storia ed abbandonare gli astratti principi sedicenti universali delineati da Immanuel Kant, e rendersi invece conto dell'esistenza del soggetto particolare immersa nella storia (e Francis Ford Coppola ambienta il suo Apocalypse Now durante la guerra del Vietnam, sebbene non rinunci alla dimensione dell'universalità, come vedremo).

 

[Sartre, a sinistra, e Camus, a destra]

 

Non esattamente un'esistenza rosea.

 

L'uomo è totalmente libero, poiché l'uomo è tale (e non altro) e perciò all'origine della sua essenza si pone una scelta, e, quindi, la libertà.

Ma questa libertà è la sua condanna. La scelta è sua e sua soltanto.

L'uomo si fa.

 

Friedrich W. Nietzsche e Fëdor Dostoevskij hanno sancito la morte di Dio e dei principi morali della tradizione occidentale, e il soggetto diviene colui che inventa nuovi valori (si pensi a Walter E. Kurtz che, nel cuore della foresta, si fa Dio).

 

Sancire l'inesistenza di Dio e degli antichi valori spalanca una dimensione di assoluta libertà e, con lei, quella che gli esistenzialisti - e prima di loro Søren Kierkegaard - definivano l'angoscia.

L'orrore... L'orrore.

 

Essa è diversa dalla paura: si ha paura delle cose del mondo, mentre l'angoscia è per la propria condizione.

 

 

Tanti cercano di fuggirle proiettandosi in situazioni già strutturate presso le quali le proprie scelte siano già orientate da criteri esterni in modo da sentirsi deresponsabilizzati ma, sebbene l'atteggiamento irriflesso di fronte all'angoscia sia quello della fuga, Sartre ci ricorda che:

"Noi fuggiamo per ignorare, ma non possiamo ignorare che fuggiamo, e la fuga dall'angoscia è solo un modo per renderci più coscienti di essa"

Il viaggio di Willard non è che una fuga insperata da se stesso - lo sentiamo dire all'inizio di non essere in grado di trovare pace, né nella giungla né a casa sua e di voler essere sempre altrove.

 

Ma Willard - proprio come noi - è quell'angoscia da cui fugge, e il suo viaggio non sarà altro che una lenta discesa nel cuore di tenebra suo e dell'Uomo.

 

Al fondo vi troverà Kurtz - che non a caso, pur non essendo mai realmente presente per gran parte del film, viene tanto spesso evocato che in realtà accompagna personaggi e spettatori per tutto il tempo.

 

Kurtz è l'incarnazione della nostra condizione di soggetti condannati alla libertà e creatori di nuovi valori, che temono questa loro nuova condizione e la rifuggono dirigendosi, inconsapevolmente, sempre verso di essa.

 

 

 

Tutto ciò è perfettamente inutile, e mi ha ricordato la concezione dell'altro filosofo-scrittore francese Albert Camus e la sua ripresa del Mito di Sisifo: un uomo condannato a un lavoro eterno ed inutile, ma che riprende continuamente con orgoglio e incoscienza e forse, ci suggerisce Camus, con gioia.

 

E anche Conrad ricordo aver utilizzato la metafora del secchio bucato per trasportare dell'acqua.

 

Se per Platone la Prima navigazione era quella spontanea, dei sensi, e La seconda era quella del pensiero proiettato verso i principi, e La terza era invece, per Sant'Agostino, quella che si compiva abbracciati alla croce di Cristo nella fede, mi sembra di poter affermare che quella immaginata da Joseph Conrad sia una quarta che coglie aspetti di tutte le altre tre: una fuga verso se stessi - non diversa dal viaggio circolare di redenzione compiuto in Mad Max: Fury Road.

 

[Il mito di Sisifo] 

 

Come dicevo, Coppola ha capito perfettamente l'etica esistenzialista e cala il suo racconto in una cosiddetta situazione.

In Apocalypse Now pertanto non si limita a perpetrare le riflessioni esistenzialiste di cui sopra, ma imbastisce anche una feroce critica all'insensatezza e all'incoerenza che hanno caratterizzato il periodo della Guerra del Vietnam.

 

Tutto là era indifferente (come ne Lo straniero di Camus), e il disordine morale era assoluto ma, ancora una volta, anche i temi morali vanno a mescolarsi con la condizione esistenziale del singolo:

"Era un modo particolare che avevamo qui di vivere con noi stessi: li facevamo a brandelli con una mitragliatrice, poi gli davamo un cerotto", si sente affermare.


Non c'è una reale differenza fra la giungla, quella guerra e la condizione umana, e Coppola ce lo fa capire anche mediante un uso esasperato della dissolvenza incrociata, che mescola i piani e i campi.

 

 

 

Due parole sull'opera.


Dal punto di vista tecnico Apocalypse Now è stupefacente per scenografie e interpretazioni.

 

La scena del bue e di Kurtz, oltre a essere un omaggio a Sciopero! di Sergej Ėjzenštejn, è un ottimo esempio di montaggio connotativo (che produce significati), mentre la sequenza dell'aerea cavalcata wagneriana è semplicemente fra le scene più iconiche dal punto di vista acustico-visivo che si ricordino.

 

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