#film
Elephant
Gus Van Sant, USA, 2003, 81'
Thriller, Drammatico, Crime
Eric Deulen, Alex Frost, Elias McConnell
Specifiche tecniche
Vota anche tu tappando sulla spada laser!
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TRAMA
Una giornata in un liceo americano vista da diversi punti di vista: quello del ragazzo studioso, quello della ragazza preoccupata di non essere alla moda, quello dei due che entrano a scuola per compiere una strage...
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione...
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione linguistica e non solo estetica, o magari è stata qualche altra concausa ad aprire questa sua nuova parte di carriera - diversa da una prima fase indipendente e da una seconda mainstream - la quale ha in ELEPHANT la massima espressione e maturità, forse di tutta la filmografia dell'autore.
Quest'ultimo riduce, con ottimi risultati, i propri piccoli vezzi stilistici (sonori, di regia e di montaggio) all'essenza della loro funzione, mantenendone alta la qualità estrinseca e lasciando che esplodano senza forzature all'interno del racconto, nel quotidiano mormorio dell'esistenza adolescenziale di ogni personaggio, ognuno segnato dalle proprie difficoltà, ognuno afflitto dalle proprie fragilità, nessuno meno di altri, indipendentemente dalle gerarchie sociali formatesi all'interno di un ambiente come quello scolastico.
Ed è solo per la casuale instabilità e incapacità di resistenza di uno specifico individuo che questo inquieto vivere porta alla tragedia. Non è, dunque, soltanto una critica alla libera circolazione delle armi che Van Sant vuole imprimere sullo schermo e nella mente dello spettatore, ma anche una vera e propria sopravvivenza psicologica esistente tra i più giovani all'interno del mondo contemporaneo, e lo esprime con un film altrettanto contemporaneo che ruba dal cinema moderno la non linearità temporale per farne un'idea propria in cui, da angolazioni diverse, la stessa scena può raccontare storie diverse con soggetti diversi.
L'uso della camera a mano e l'assenza di verbosità vanno a caratterizzare un già perfetto capolavoro.
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La Recensione più entusiasta
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione...
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione linguistica e non solo estetica, o magari è stata qualche altra concausa ad aprire questa sua nuova parte di carriera - diversa da una prima fase indipendente e da una seconda mainstream - la quale ha in ELEPHANT la massima espressione e maturità, forse di tutta la filmografia dell'autore.
Quest'ultimo riduce, con ottimi risultati, i propri piccoli vezzi stilistici (sonori, di regia e di montaggio) all'essenza della loro funzione, mantenendone alta la qualità estrinseca e lasciando che esplodano senza forzature all'interno del racconto, nel quotidiano mormorio dell'esistenza adolescenziale di ogni personaggio, ognuno segnato dalle proprie difficoltà, ognuno afflitto dalle proprie fragilità, nessuno meno di altri, indipendentemente dalle gerarchie sociali formatesi all'interno di un ambiente come quello scolastico.
Ed è solo per la casuale instabilità e incapacità di resistenza di uno specifico individuo che questo inquieto vivere porta alla tragedia. Non è, dunque, soltanto una critica alla libera circolazione delle armi che Van Sant vuole imprimere sullo schermo e nella mente dello spettatore, ma anche una vera e propria sopravvivenza psicologica esistente tra i più giovani all'interno del mondo contemporaneo, e lo esprime con un film altrettanto contemporaneo che ruba dal cinema moderno la non linearità temporale per farne un'idea propria in cui, da angolazioni diverse, la stessa scena può raccontare storie diverse con soggetti diversi.
L'uso della camera a mano e l'assenza di verbosità vanno a caratterizzare un già perfetto capolavoro.
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La Recensione più cattiva
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione...
L'esperienza da regista prima che da autore avuta con le grandi produzioni hollywoodiane avrà fatto riscoprire a Gus Van Sant il gusto per il minimalismo e per la messinscena come comunicazione linguistica e non solo estetica, o magari è stata qualche altra concausa ad aprire questa sua nuova parte di carriera - diversa da una prima fase indipendente e da una seconda mainstream - la quale ha in ELEPHANT la massima espressione e maturità, forse di tutta la filmografia dell'autore.
Quest'ultimo riduce, con ottimi risultati, i propri piccoli vezzi stilistici (sonori, di regia e di montaggio) all'essenza della loro funzione, mantenendone alta la qualità estrinseca e lasciando che esplodano senza forzature all'interno del racconto, nel quotidiano mormorio dell'esistenza adolescenziale di ogni personaggio, ognuno segnato dalle proprie difficoltà, ognuno afflitto dalle proprie fragilità, nessuno meno di altri, indipendentemente dalle gerarchie sociali formatesi all'interno di un ambiente come quello scolastico.
Ed è solo per la casuale instabilità e incapacità di resistenza di uno specifico individuo che questo inquieto vivere porta alla tragedia. Non è, dunque, soltanto una critica alla libera circolazione delle armi che Van Sant vuole imprimere sullo schermo e nella mente dello spettatore, ma anche una vera e propria sopravvivenza psicologica esistente tra i più giovani all'interno del mondo contemporaneo, e lo esprime con un film altrettanto contemporaneo che ruba dal cinema moderno la non linearità temporale per farne un'idea propria in cui, da angolazioni diverse, la stessa scena può raccontare storie diverse con soggetti diversi.
L'uso della camera a mano e l'assenza di verbosità vanno a caratterizzare un già perfetto capolavoro.
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Contiene spoiler