Per apprezzare appieno quest'opera bisogna calarla nel contesto storico in cui è nata.

Siamo nel post guerra mondiale: il Giappone sta vivendo un periodo buio, colmo di fame nelle...

Per apprezzare appieno quest'opera bisogna calarla nel contesto storico in cui è nata.

Siamo nel post guerra mondiale: il Giappone sta vivendo un periodo buio, colmo di fame nelle strade, di egoismo individualista e di paura dovuta all'occupazione da parte di una forza straniera, evento che per anni il Giappone era riuscito ad evitare.

Sono questi i fattori che spingono Kurosawa a narrare una storia basata sulle menzogne, sul relativismo della verità e, per certi versi, sull'egocentrismo umano.

E l'ambientazione storica non è affatto lasciata al caso: i fatti narrati avvengono nel periodo Heian, precursore del medioevo nel Giappone ed era del cambiamento, dove i grandi possessori terrieri sottrassero sempre più potere all'Impero.

Da qui parte il racconto, incentrato sulla narrazzione (attraverso dei flashback) di un processo riguartante l'omicidio di un samurai.
Ciò che rende particolare il racconto è la differenza delle testimonianze date dai sospettati,  in cui ciascuno struttura la propria dialettica solo ricorrendo alla menzogna, al falso, all’affermazione di una propria verità intima, del tutto distante dalla realtà dei fatti, dove talvolta si ostenta troppo egocentrismo.

Rashomon è un film riuscito non solo per il messaggio che intende trasmettere, ma anche per la cura registica data da Kurosawa e per le capacità attoriali dei suoi interpreti (ho trovato la recitazione nippona, in genere, parecchio diversa da quella hollywoodiana).
Se si pensa che questa pellicola è del 1950, è obiettivo dire che il film è invecchiato più che bene, grazie soprattutto (secondo me) all'ottima fotografia ed al montaggio (sicuramente, quest'ultimo, inusuale per l'epoca in cui è girato).

Consiglio questo film ha chi desidera conoscere Kurosawa, soprattutto perché è grazie a Rashomon che questo grande regista acquista la fama che non gli era ancora stata riconosciuta nel suo Paese natale.

Per apprezzare appieno quest'opera bisogna calarla nel contesto storico in cui è nata.

Siamo nel post guerra mondiale: il Giappone sta vivendo un periodo buio, colmo di fame nelle...

Per apprezzare appieno quest'opera bisogna calarla nel contesto storico in cui è nata.

Siamo nel post guerra mondiale: il Giappone sta vivendo un periodo buio, colmo di fame nelle strade, di egoismo individualista e di paura dovuta all'occupazione da parte di una forza straniera, evento che per anni il Giappone era riuscito ad evitare.

Sono questi i fattori che spingono Kurosawa a narrare una storia basata sulle menzogne, sul relativismo della verità e, per certi versi, sull'egocentrismo umano.

E l'ambientazione storica non è affatto lasciata al caso: i fatti narrati avvengono nel periodo Heian, precursore del medioevo nel Giappone ed era del cambiamento, dove i grandi possessori terrieri sottrassero sempre più potere all'Impero.

Da qui parte il racconto, incentrato sulla narrazzione (attraverso dei flashback) di un processo riguartante l'omicidio di un samurai.
Ciò che rende particolare il racconto è la differenza delle testimonianze date dai sospettati,  in cui ciascuno struttura la propria dialettica solo ricorrendo alla menzogna, al falso, all’affermazione di una propria verità intima, del tutto distante dalla realtà dei fatti, dove talvolta si ostenta troppo egocentrismo.

Rashomon è un film riuscito non solo per il messaggio che intende trasmettere, ma anche per la cura registica data da Kurosawa e per le capacità attoriali dei suoi interpreti (ho trovato la recitazione nippona, in genere, parecchio diversa da quella hollywoodiana).
Se si pensa che questa pellicola è del 1950, è obiettivo dire che il film è invecchiato più che bene, grazie soprattutto (secondo me) all'ottima fotografia ed al montaggio (sicuramente, quest'ultimo, inusuale per l'epoca in cui è girato).

Consiglio questo film ha chi desidera conoscere Kurosawa, soprattutto perché è grazie a Rashomon che questo grande regista acquista la fama che non gli era ancora stata riconosciuta nel suo Paese natale.