Dopo aver fatto le prove generali col primo capitolo, Burton qui si libera definitivamente dalle “catene” del materiale di partenza, e usa Batman per raccontare una storia tipicamente Burtoniana....
Dopo aver fatto le prove generali col primo capitolo, Burton qui si libera definitivamente dalle “catene” del materiale di partenza, e usa Batman per raccontare una storia tipicamente Burtoniana. Batman, il Pinguino e Catwoman: tre freaks, tre fenomeni da baraccone, tre maschere, tre emarginati. Mai come in questo film, Batman sembra quasi stare dalla parte dei suoi nemici. Sembra provare vera pietà per Cobblepot, è perdutamente innamorato di Catwoman. Rivede se stesso nei due “villain”, si rende conto che la linea tra lui e loro è molto sfumata, ed è stato proprio lui a tracciarla, il che, in fondo, è ciò che gli permette di non abbandonarsi definitivamente al “lato oscuro”. La sua moralità prevale ancora, ma è messa a dura prova. Burton ama sfumare i confini tra bene e male, tra sano e pazzo, e Batman è un personaggio che si presta particolarmente a questo gioco. In questo film, peraltro, vediamo a tratti un Batman molto più cupo che in passato, per la prima volta lo vediamo chiedersi che diamine stia facendo vestito da pipistrello. Bruce ha dei dubbi, spinto dalla sfacciataggine con cui Cobblepot pretende di essere accettato dalla società che lo ha gettato nella fogna, si chiede se anche lui possa essere pronto ad abbandonare la maschera dietro la quale si è nascosto per tutta la vita. E se da un lato vede in Cobblepot una sua possibile evoluzione, dall’altro vede in Selina Kyle un se stesso più miserabile, più ingenuo e vittima di se stesso. Selina è sopraffatta da Catwoman, non riesce a controllarla come Bruce controlla Batman (o viceversa), né tantomeno a portarla sul bavero come Cobblepot fa col Pinguino. Non riesce a scrollarsela di dosso nemmeno quando Bruce le propone una via d’uscita, consapevole ormai che nulla sarà più come prima. Ad interpretare i due personaggi abbiamo due grandi attori, probabilmente entrambi nella migliore performance della carriera: Danny De Vito, semplicemente perfetto nel ruolo, terrificante e sgradevole; Michelle Pfeiffer, altrettanto perfetta declinazione Burtoniana della femme fatale.
Sullo sfondo, la città è sotto la minaccia di Max Shreck, capitalista senza scrupoli, rivale di Bruce in affari, aguzzino della sua segretaria Selina, manipolatore di Cobblepot. Un nemico comune a tutti e tre, ma un personaggio tutto sommato trascurabile, seppur interpretato con la consueta abilità da Cristopher Walken.
Michael Keaton torna a vestire il costume di Batman, meno giocosamente rispetto al primo film, e se possibile ancor meno votato all’azione. È un Batman decisamente riflessivo, poco loquace, meno aggressivo che in passato. Sarebbe stato interessante vedere una chiusura del personaggio pensata da Burton, e questo film sembra in qualche modo preludere ad una fine dell’esperienza in costume di Bruce Wayne. Ma chiudere un franchise tanto redditizio era impensabile, e si preferì un cambio di rotta. Burton produsse l’”enigmatico” (soprattutto dal punto di vista della qualità...) sequel, ma la deriva era ormai iniziata.
Contiene spoiler