Mi ricordo ancora quando uscii dalla sala in una bolla di stupore e sgomento, poche altre volte così.

L'illusione, l'indecifrabilità dell'essere umano, il sentirsi sempre in bilico,...

Mi ricordo ancora quando uscii dalla sala in una bolla di stupore e sgomento, poche altre volte così.

L'illusione, l'indecifrabilità dell'essere umano, il sentirsi sempre in bilico, oppressi nella scelta tra una vita necrotica e una morte ascetica.

In Ottobre a Novembre c'è una profonda riflessione dal carattere dantesco: il regista accompagna lo spettatore in un'ascesa verso la purificazione dell'anima, quasi come se da un'autostrada infernale, sporca, terrena, gradino per gradino salissimo una scala verso il Paradiso.

E questa metafora viene resa meravigliosamente dai diversi sogni allucinati del protagonista che non si capacita di come tutto lo struggimento in vita possa condizionare il suo subconscio.
Si va dal tricheco nel giardino del polpo che vede un uccello nero, al matto che va al ballo mascherato con una bomba in testa e che poi vediamo abbandonarsi in una smisurata preghiera.
E che dire della visione quasi lynchiana di quel re che, in un Messico invaso dalle nuvole, trascinandosi con le sue logore scarpe da tennis e bevendo del caffè con una fetta di limone, esclama: "Se me lo dicevi prima...io e te..."

Brividi.

Andrò controcorrente, ma secondo me la scena della radio - tecnicamente ineccepibile - è figa, ma la vera forza di OaN è la scena del sogno.
Pochi registi sono stati in grado di comprendere...

Andrò controcorrente, ma secondo me la scena della radio - tecnicamente ineccepibile - è figa, ma la vera forza di OaN è la scena del sogno.
Pochi registi sono stati in grado di comprendere ed assimilare così bene Lynch, ma allo stesso tempo restare con i piedi per terra in maniera così realistica e drammatica, rasentando la violenza visiva: quasi un sogno alla Bergman per capirci.
Un momento che racchiude un'opera in cui realtà e narrazione si fondono e accavallano costantemente gettando lo spettatore in un turbinio di input in cui il montaggio è un elemento fondamentale: per questo la preferisco alla famosa "radio", l'autore si rivela proprio nel cardine dell'arte cinematografica svelando e spiegando dove sta il limite tra "i due mondi" di Roberto.
Fassbender incredibile, i due protagonisti un po' meno: si vede che Zampieri conosce i loro limiti e li dosa con l'esperienza di un veterano.
Tant'è che nessuno dei due ha più raggiunto prove di questo livello.
Non mancano le storture ed i limiti di un regista esuberante come qualsiasi esordiente e che talvolta tende a sovraccaricare le proprie idee e sopravvalutarle, ma ad avercene di talenti così! (un esempio su tutti la tanto decantata scena della radio, molto meglio il sogno o la scena in cui il protagonista brucia il caffè)

Esagero... Forse il più bel film italiano degli ultimi 30 anni. Quel piano sequenza è qualcosa di sensazionale, ancora mi chiedo come abbiano fatto a farlo.

Callido e allo stesso tempo...

Esagero... Forse il più bel film italiano degli ultimi 30 anni. Quel piano sequenza è qualcosa di sensazionale, ancora mi chiedo come abbiano fatto a farlo.

Callido e allo stesso tempo lutolento.

Quando un grande come Michael Fassbender si mette al servizio di un ottimo film indipendente italiano.

Inizio dicendo subito che per essere un film d'esordio, e un film italiano, devo...

Quando un grande come Michael Fassbender si mette al servizio di un ottimo film indipendente italiano.

Inizio dicendo subito che per essere un film d'esordio, e un film italiano, devo ammettere che mi ha davvero piacevolmente stupito...

Penalizzato da una distribuzione ridicola sul territorio italiano, il film è una storia drammatica con all'interno lampi di humor nerissimo, con un Michael Fassbender irriconoscibile (anche se il look "pelato con barba" non riesce comunque a renderlo un brutto uomo... 'cci sua) che non è il protagonista assoluto, ma lo diventa in ogni momento in cui è presente in scena.

È evidente lo stacco tra il Fassy e il resto del cast, ma sia Filippo Lago che Marianna Ginocchio si difendono bene: il primo è Roberto, lo sfortunato protagonista del film tratto da una storia vera, che non riesce a trovare pace dopo una disgrazia e che troverà nuova vita in un altro paese, grazie ad una donna - la Ginocchio - che assieme al figlio gli mostreranno un percorso nuovo...
ma non spoilero nulla.

Zampieri è abilissimo con la macchina da presa, lui e il direttore della fotografia Emanuele Dechinzi riescono a trasportare lo spettatore nel mondo di Roberto in maniera assolutamente immersiva, e il movimento in piano sequenza di 8 minuti con Fassbender e la radio... 
personalmente è già Storia del Cinema.

Non sono riuscito a capire come caspita abbiano creato quel movimento, ma tra chi ha avuto la fortuna di vedere il film è già diventata "la scena della radio" che tanto ha fatto discutere e appassionare...

Non solo: c'è più di una scena onirica che aiuta ad entrare nella psicologia del protagonista (e dell'amico, interpretato da Fassbender) e una in particolare mi ha emozionato parecchio: un sogno dentro il quale ciò che vediamo è esattamente riproposto come ciò che vediamo... quando sogniamo.

Non avevo MAI visto niente del genere e a pensarci, vedendolo, è strano rendersi conto del fatto che nessuno prima l'aveva fatto... perché è geniale ma semplice, originale ma intuitivo e soprattutto immediato.

L'effetto è reso benissimo ed emoziona perché ognuno può riconoscersi in quelle immagini, al di là del proprio vissuto personale che rende tutti diversi.

La scelta della colonna sonora altalenante, che passa da minuti lunghissimi di silenzi ad improvvise vampate di musica sinfonica, è anch'essa sintomatica e di pieno carisma.

La sceneggiatura è forse la parte più debole, e lo è perché delude.

Mi spiego: il film parte con un tripudio di convincenti sfaccettature che però non portano da nessuna parte...

Il primo atto sembra essere quasi un altro film, come se Zampieri avesse esaurito tutto ciò che aveva da dire all'inizio per poi trascinarsi nei due atti successivi, o come se il film fosse il risultato di un cortometraggio che ha avuto fortuna e, una volta trovato un produttore coraggioso, avesse ottenuto i finanziamenti per diventare un lungo.

Peccato, perché è proprio quella sensazione a rovinare l'opera nel suo tutto, dopo la scena della radio (appunto) è tutto in discesa, raffazzonato, quasi stanco, stereotipato, pleonastico, come se il regista si concedesse del tutto al solipsismo e volesse distruggere deliberatamente ciò che ha messo in piedi.

...ma a ben pensarci, ad una seconda visione, questo radicale cambio di tono assume un significato intrinseco e la manomissione della messa in scena da parte dell'autore diventa metafora e paradigma della condizione del protagonista Roberto.

Quindi forse non è un caso.

Quindi forse tutto è voluto, cercato... e riuscito. 
O forse è solo il mio modo di voler salvare un film che è assolutamente da non perdere, da difendere e da amare, da promuovere e diffondere.

Chiudo con una serie di aggettivi che secondo me lo descrivono in pieno:
Profondo
Esistenziale 
Seminale
Catartico
Ecumenico 
Dadaista
Algido
Pauperistico 
Retrospettivo
Illuminante 
Laconico 
Esemplare

Cercatelo, trovatelo, parlatene, parliamone.

Davvero una sorpresa nel panorama sempre più desolante del cinema italiano.