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Il signore delle formiche - Recensione: un Paese in una teca - Venezia 2022

Recensione dell'ultimo film di Gianni Amelio, da Venezia 79

Con Il signore delle formiche, presentato alla 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Gianni Amelio tocca ancora direttamente la Storia italiana a due anni da Hammamet, dopo una carriera in cui aveva invero prediletto forme più lontane (davvero?) dalla realtà storica, perlomeno nel senso indicato da Francesco Rosi nel cartello conclusivo de Le mani sulla città. 

 

"I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce"

 

Politico come sempre, il regista calabrese seleziona come pietra angolare il caso giudiziario che negli anni '60 interessò l'intellettuale Aldo Braibanti e guarda contemporaneamente tanto a sé quanto al presente.

Se il processo allo scrittore piacentino - accusato di plagio in riferimento alla sua relazione sentimentale con un giovane discepolo - rendeva palese la chiusura mentale di un'Italia (soprattutto di provincia) la cui crescita economica "non andò di pari passo con l'intelligenza delle cose", Il signore delle formiche mira ad evidenziare, mezzo secolo più tardi, quel permanere di spinte discriminatorie e inquisitorie mascherato da un preciso apparato ideologico.

 

Già Braibanti condannava le aperture illusorie connesse ai fermenti pre-sessantottini e al diffondersi del consumismo, rilevando il mutare delle forme e dei centri di potere e reagendo attraverso il rifiuto di "qualsiasi forma di autorità", come notato da Pier Paolo Pasolini, altro referente più o meno diretto per tentare di comprendere quella stagione nei termini di Amelio.

 

Similmente, anche in virtù di alcuni rimandi autobiografici, il regista pensa alle storture dell'opinione pubblica contemporanea e alle contraddizioni celate nella dialettica mentalità collettiva/mentalità individuale. 

 

[Il trailer de Il signore delle formiche]

 

 

Ambientando Il signore delle formiche nell'epoca dei partiti di massa e rivolgendo le proprie attenzioni anche al mondo giornalistico (non a caso all'organo del PCI - pardon: "Grande partito proletario" - l'Unità), il regista esamina un momento le cui istanze di ribellione sono inquadrate in un sistema ideologico-istituzionale che agisce, senza volto, colpendo l'eterodossia, oggigiorno accolta invece almeno nominalmente. 

 

In questo, l'attività mirmecologica (lo studio delle formiche) di Braibanti emerge esplicitamente nel suo rinviare alla socialità umana, come nell'esempio della "bella metafora" letteralmente incarnata dallo stomaco sociale, e al tema della famiglia, uno dei più cari al regista.

 

Intesa in termini di sangue o in chiave puramente sociale, la famiglia è il leitmotiv della sua filmografia e torna qui quantomeno in due declinazioni: la prima riguarda quella (di sangue) del compagno di Aldo, Ettore, profondamente ipocrita e bigotta, la seconda proprio il rapporto incriminato.

 

Oltre a riguardare la coniugalità e dunque la costruzione ex novo, quest'ultima ripropone il discorso (autobiografico) di Amelio sulla paternità, sull'assenza - ovviamente rilevantissima sul piano simbolico, specie a ridosso del Sessantotto - della figura paterna e sulle relative conseguenze, attraverso la costruzione di uno scambio mentore/allievo che ha comunque poco di tradizionalmente verticale.

E se il focus sull'alterità e sulla sua (co)esistenza nel tessuto sociale trova più di un canale di espressione, Amelio, autore coltissimo che qui può credibilmente parlare di "cose difficili" servendosi di personaggi eruditi, non si sottrae dal trattare a latere questioni ad esempio artistiche, offrendo spunti stimolanti.

 

Come ovvio, tuttavia, è proprio la riflessione sulla giustizia, sulle istituzioni e sul loro obliquo rapporto con il sentimento (la volontà?) popolare e con quello individuale a spiccare qualitativamente e quantitativamente.

 

Intercettando anche il nodo della biopolitica, Il signore delle formiche tratta problematiche universali riuscendo a un temoo a marcare la specificità del caso italiano, con particolare riferimento al bizantinismo burocratico-interpretativo e, soprattutto, alla sopravvivenza di norme fasciste nel contesto repubblicano (l'articolo 603 del Codice Penale riguardante il reato di plagio risale difatti al Ventennio e si lega al trattamento legislativo solo indiretto dell'omosessualità).

 

 

[Elio Germano ne Il signore delle formiche]

 

 

Ne Il signore delle formiche, comunque, la querelle propriamente giudiziaria e la figura di Braibanti risultano inseriti in uno schema drammaturgico più ampio: non si ha insomma a che fare né con un legal drama né con uno One Man Show da parte di Luigi Lo Cascio.

 

Sceneggiatore assieme a Edoardo Petti e Federico Fava, Gianni Amelio dà vita anche a personaggi come il giornalista interpretato da Elio Germano e la cugina del protagonista impersonata da Sara Serraiocco, entrambi ideologicamente di peso, ma il buon esito del suo lavoro - che nella scrittura dei personaggi secondari presenta qualche intoppo anche a causa di prove attoriali non sempre all'altezza del terzetto maschile di punta (in cui Leonardo Maltese regge ottimamente) - si gioca principalmente sul campo della dimostratività. 

 

Notoriamente debitore dell'approccio alla narrazione del Neorealismo, in grado di far convivere interpretazione della realtà in essere e riorganizzazione retorica, l'autore di Il ladro di bambini - summa di una fase di carriera definita anche neo-neorealista - tenta di far operare sinergicamente interpretazione della realtà storica e allestimento di uno schema efficace sul piano emozionale.

 

Il riordinamento spaziotemporale assolve a un simile compito, le stesse sottotrame convergono frequentemente nel potenziare il carico sentimentale: talvolta il film potrebbe essere tacciato di didascalismo o eccessiva programmaticità - non a torto, la sua tesi è del resto chiara; ciononostante, anche grazie a un comparto formale di livello, Il signore delle formiche sembra approdare il più delle volte a quell'agognato punto di equilibrio, al giusto bilanciamento di storia, Storia e discorso.

 

 

[Luigi Lo Cascio ne Il signore delle formiche]

 

 

Stilisticamente Amelio si conferma autore capace di non sopraffare inutilmente il contenuto, riuscendo anzi a rafforzarlo senza nascondere la propria maestria: ricerca scenografica, composizione del quadro e scelte fotografiche fungono ad esempio da affilati arnesi grammaticali ulteriori e concorrono nello strutturare emotivamente e simbolicamente, attraverso lo spazio, l'opera.

 

Anche la globale alternanza di movimenti sinuosi della cinepresa (con un uso intelligente della continuità) e inquadrature fisse invece essenziali (con un uso intelligente della messa a fuoco), dovendo egli gestire diverse sequenze in tribunale e parecchi dialoghi, scarta una suddivisione scolastica contribuendo a definire l'austera eleganza del film, tra l'altro non privo di piccoli guizzi divergenti (si pensi all'impiego del bianco e nero o all'interruzione della lettura di una lettera).

 

Nel complesso, Il signore delle formiche - quello che potrebbe essere il miglior film di Amelio da Così ridevano, Leone d'oro 1998 -, questa "farsa" dalla pregevole profondità estetica entra di diritto nel novero delle prove più compiute di questo concorso, anche grazie ai mondi dischiusi dall'ambiguo cenno finale.

 

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