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Viaggio a Tokyo - Recensione: il ritorno in sala del capolavoro di Ozu

Uscito per la prima volta nel 1953, Viaggio a Tokyo è il film più amato del grande Maestro giapponese: la commovente storia di relazioni tra genitori e figli torna in sala dal 12 dicembre

Non ha bisogno di troppe presentazioni Viaggio a Tokyo: uscito nel 1953, il film più amato di Yasujirō Ozu è considerato tra i più grandi capolavori della Storia del Cinema (nel 2012 il famoso sondaggio decennale che Sight & Sound conduce tra i registi lo ha eletto miglior film di sempre), ed è pronto a tornare nelle nostre sale in occasione del 70° anniversario del film e in ricordo del Maestro giapponese a sessant'anni dalla morte.

 

Tucker Film, casa di distribuzione affiliata al Far East Film Festival di Udine, riporterà il capolavoro di Ozu in sala a partire dal 12 dicembre, accompagnandolo a una selezione di altri dieci titoli restaurati tra i più rappresentativi del Maestro.

 

Viaggio a Tokyo rimane a oggi il film più conosciuto e studiato tra i più di cinquanta realizzati da Ozu nel corso della sua carriera, ed è considerato l'oggetto di studio perfetto per conoscere un regista che ha a suo modo rivoluzionato il modo di raccontare la quotidianità.

 

[Il trailer della retrospettiva che Tucker Film dedica a Ozu nel mese di dicembre]

 

 

Una storia tanto comune quanto universale, che mette in scena emozioni semplici e ben riconoscibili: Viaggio a Tokyo, e il Cinema di Yasujirō Ozu in generale, non ha bisogno di particolari artifici per far arrivare il suo messaggio dritto al cuore dello spettatore, e risulta efficace oggi come settant'anni fa.

 

Protagonisti del film sono i coniugi Hirayama, Shukishi (Chishu Ryu) e Tomi (Chieko Higashiyama), che vivono nel villaggio costiero di Onomichi insieme alla figlia più giovane Kyoko (Kyoko Kagawa), maestra elementare nella scuola locale. La coppia ha avuto altri quattro figli: tre di loro lavorano in città, a Osaka e Tokyo, mentre Shoji è disperso dai tempi della guerra, lasciando vedova la mogle Noriko (Setsuko Hara).

Shukishi e Tomi decidono di partire per Tokyo per recare visita ai figli, convinti di far loro una lieta sorpresa; ma questi sono troppo presi dalla loro frenetica vita cittadina per poter dedicare del tempo agli anziani genitori, la cui visita viene vissuta come un vero e proprio fardello, tanto che la coppia viene prima mandata in un centro termale e poi divisa per far fronte agli impegni dei figli.

 

Solo la giovane nuora Noriko, che vive da sola mantenendosi lavorando come impiegata, si crea del tempo da dedicare ai suoceri; questi non possono che riflettere sulla grande differenza che si è creata tra la loro vita e quella dei figli, preparandosi a fare ritorno al villaggio riflettendo sul tempo passato e su quel poco che ancora rimane.

 

 

[Chishu Ryu e Chieko Higashiyama sono una coppia di anziani in visita ai figli in Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu]

 

 

La trama di Viaggio a Tokyo venne ispirata allo sceneggiatore Kôgo Noda dalla visione del film Cupo tramonto (1937) di Leo McCarey, che raccontava una storia simile; Ozu, nonostante fosse un appassionato cinefilo, non aveva visto il film di McCarey, ma ritenne che la storia potesse essere trasposta dall'America della Grande Depressione al Giappone contemporaneo. 

 

Il risultato, però, fu che il film venne ritenuto fin troppo giapponese anche per gli standard di Yasujirō Ozu; per questo motivo non venne mostrato negli Stati Uniti fino al decennio successivo ed ebbe una distribuzione assai limitata anche in patria. 

Paradossalmente Viaggio a Tokyo è invece uno dei film tematicamente più universali del regista: in esso vi troviamo problemi come lo scontro tra tradizione e modernità, espresso dallo spaesamento crescente dei genitori nel contesto urbano e dall’incapacità di prendere parte nella frenetica vita dei figli; il gap generazionale e la condizione degli anziani, trascurati e lasciati al loro destino, esplorata già da McCarey e, nello stesso decennio, da Vittorio De Sica in Umberto D e da Ingmar Bergman ne Il posto delle fragole; ma anche il diverso modo di vivere e percepire il tempo tra il ritmo forsennato della città e la quiete contemplativa della provincia.

 

Sebbene il film tratti di tematiche note a tutti, vi è anche spazio per riflessioni più prettamente legate al contesto storico del Giappone dell’epoca e alle sue contraddizioni: pensiamo, in particolare, al personaggio di Noriko, espressione della vedova da cui la “moderna” società nipponica si aspetta totale devozione al marito defunto, quando invece sono gli stessi “tradizionali” suoceri a spingere perché possa andare avanti e rifarsi una vita.

 

 

[Chieko Higashiyama, Setsuko Hara e Chishu Ryu in una scena di Viaggio a Tokyo]

 

 

Proprio Noriko, interpretata magnificamente da Setsuko Hara, fedelissima attrice di Ozu, rappresenta la bilancia emotiva del film e, allo stesso tempo, ne esemplifica quella semplicità che ancora oggi fa di Viaggio a Tokyo un'opera d'arte resistente alla prova del tempo.

 

La giovane vedova fa da ago della bilancia e ponte tra le generazioni: non solo agisce da "più figlia dei figli" in relazione ai suoceri, ma fa ragionare anche la cognata Kyoko che accusa i fratelli di egoismo, spiegandole che la vita va avanti quando paradossalmente è la stessa Noriko che non riesce a separarsi dal passato.

Se Noriko si crea e dedica del tempo ai propri suoceri non è per semplice rispetto di nuora, ma per puro genuino affetto; e anche quando ammette a Shukichi i suoi sensi di colpa per non aver pensato continuamente al marito disperso, lo fa non per supposto dovere, ma per un autentico sentimento di amore per lo sposo e i suoi genitori.

Chishu Ryu è il più fedele attore di Ozu, col quale collabora dagli anni '20, e nella parte di Shukichi, sebbene invecchiato dal trucco (Ryu non era neppure cinquant'enne all'epoca delle riprese), lascia trasparire tutta l'umanità del cinema di Ozu, in particolare nei momenti in cui il suo personaggio si rilassa e si lascia travolgere con nostalgia dai ricordi, aiutato da una buona bottiglia di saké.

 

Lo stoicismo di Shukichi, che mai si spazientisce, mai si dispera e accompagna ogni sua risposta con un sorriso, illumina il film di semplicità ed essenzialità: Viaggio a Tokyo è, d'altronde, una storia banale, comune, ma senza dire molto sembra raccontare della condizione umana universale.

 

 

[Setsuko Hara in una scena di Viaggio a Tokyo]

 

 

La semplicità della storia e la non complicatezza dei temi affrontati è espressa formalmente nel rigore stilistico che rende Yasujirō Ozu un unicum nella Storia del Cinema. 

 

Se Viaggio a Tokyo è il film più noto e studiato dell’autore è proprio perché in esso ritroviamo tutte quelle caratteristiche stilistiche tipiche del suo Cinema, a partire dai celebri tatami shots, in cui la macchina da presa è posta in basso, ad altezza delle ginocchia, in modo da riprendere la totalità degli ambienti casalinghi, e dai pillow shots, che vedono il regista staccare da momenti narrativi a inquadrature dove domina il silenzio e che si concentrano su ambienti e oggetti quotidiani.

 

La poesia degli oggetti e dei momenti di silenzio, in cui vediamo gli ambienti spogli della presenza umana, a simboleggiare la caducità della vita e il suo carattere transitorio ed effimero, è il grande contributo di Ozu alla Storia del Cinema, realizzato tramite un controllo formale totale, che vede una disposizione certosina degli oggetti di scena e un apporto diretto di Ozu, che addobba egli stesso gli ambienti con poster di film e disegni realizzati dal regista stesso. Tale controllo e rigore formale è replicato nella struttura stessa dell’inquadratura, con le linee tracciate da oggetti e figure che vanno a creare tanti piccoli quadri nel quadro, a simboleggiare la complessità della vita e la rete di relazioni nella quale i personaggi agiscono.

Le differenze tra giovane e anziano, modernità e tradizione vengono prima sottolineate da Ozu con i suoi totali di città e ambienti casalinghi, per poi essere simbolicamente annullate nelle scene di dialogo, grazie all’innovativa rottura dello schema classico del campo-controcampo, con i personaggi che spesso parlano direttamente in camera, con quest’ultima piazzata sulla canonica linea dei 180 gradi.

 

L'esigenza di controllo del regista si esprime non solo nella regolarità con cui utilizza i propri stilemi, ma anche nel ricorrere con abitudine agli stessi collaboratori, proprio a partire dallo sceneggiatore Noda, con cui Yasujirō Ozu lavora per tutta la sua carriera, così come col compositore Takanobu Saito, autore delle musiche che così bene si legano al cinema di Ozu: semplici, tenere, strazianti.

 

 

[Una scena di Viaggio a Tokyo che bene illustra il rigore formale del regista giapponese Yasujiro Ozu]

 

 

È difficile parlare di un film così influente senza raccontare di più sull'evolversi della storia, ma preferiamo non rovinare l'esperienza a chi volesse gustarlo per la prima volta su grande schermo.

 

L'invito è dunque quello di correre in sala per ammirare al cinema tutta l'arte di un grande Maestro, e immergersi per più di due ore nel mondo di Yasujirō Ozu; sono sicuro che, complici le festività, abbraccerete i vostri cari con ancora più calore.

 

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