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8 film della commedia all'italiana che dovreste riscoprire

Quello della commedia all'italiana è un genere preziosissimo per il nostro Cinema (e non solo): riscopriamolo assieme

''La commedia all’italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all'italiana da tutte le altre commedie''.  

Mario Monicelli

 

Negli anni successivi alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale l'industria cinematografica italiana era in pezzi: Cinecittà - cuore produttivo del Bel Paese - durante il conflitto era stata occupata dai nazi-fascisti per farne un campo di prigionia dove raccogliere gli "indesiderabili" rastrellati in giro per l'Italia.

 

Nel 1944, con la liberazione di Roma, Luigi Freddi abbandonò la carica di Direttore di Cinecittà mentre l'esercito tedesco, battendo in ritirata, razziò gli studios portando via gran parte delle attrezzature tecniche, macchine da presa, proiettori, impianti sonori e pellicole.

 

 

[La Cinecittà dei tempi che furono]

 

 

Nei tragici mesi a seguire gli stabilimenti furono confiscati dalle forze alleate e adibiti a ricovero per gli sfollati e i feriti che avevano perso le proprie abitazioni per colpa dei bombardamenti. 

 

Per sopravvivere al freddo, i "nuovi abitanti" di Cinecittà bruciarono documenti d'archivio e alcune pellicole provocando un'enorme perdita dal punto di vista storico/artistico.

 

Il 31 luglio 1944 venne istituita la Commissione di Epurazione delle categorie registi, aiuto registi e sceneggiatori del Cinema: fra i membri del consiglio spiccavano i nomi di Luchino ViscontiUmberto BarbaroMario CameriniMario ChiariMario Soldati e Alfredo Guarini.     


Lo scopo della Commissione era quello di individuare il maggior numero di registi e maestranze colluse con il movimento fascista ed epurarle dal contesto produttivo futuro.

 

Dopo le indagini, vennero processati per avere diretto film di propaganda Goffredo AlessandriniCarmine Gallone e Augusto Genina, che vennero allontanati dalle produzioni per diversi mesi.

 

 

[Cuore di Duilio Coletti e Vittorio De Sica, film del 1948 tratto dall'omonimo romanzo di Edmondo De Amicis]

 

 

Il Cinema, come del resto l'intera nazione, per risollevarsi dalle macerie e dalla miseria lasciate dalla guerra impiegò diversi anni.

 

Nel 1947 abbiamo il primo film realizzato a Cinecittà, Cuore diretto da Duilio Coletti e Vittorio De Sica e distribuito nelle sale l'anno successivo.

Nel 1948 si apre il periodo storico che venne ribattezzato come quello della Hollywood sul Tevere, dove le major statunitensi investirono massivamente in produzioni realizzate negli stabilimenti romani. 

 

Sono gli anni d'oro del Peplum, i film "sandalo e spada" di ambientazione epico-mitologica, dove proliferarono classici immortali come Quo vadis di Mervyn LeRoy (1951) e Ben-Hur di William Wyler (1959).

 

 

[Déi iracondi, daghe, sandali, corse con le bighe e lotte nelle arene... Peplum!]

 

 

Se però fino agli anni '60 i film di ricostruzione storica si erano violentemente imposti all'interesse del pubblico italiano, il seme del Neorealismo - gettato da Luchino Visconti con Ossessione (1943), da Roberto Rossellini con Roma, città aperta Paisà (1945) e da Vittorio De Sica con Ladri di biciclette (1948) - stava cominciando a germogliare in maniera incontrollata. 

 

È uno dei momenti cardine della Storia del Cinema, non solo Italiana, ma mondiale: il vivo interesse e la curiosità dello spettatore verso questi contesti narrativi inconsueti, così attuali, concreti, popolati spesso da attori non professionisti e sceneggiature ridotte all'osso, diedero fiducia a produttori e registi che si sentirono incentivati nel sperimentare, discostandosi da quello che la Settima Arte aveva proposto fino ad allora.

 

Sono gli anni dell'esplosione del Cinema italiano, dove i nomi di Vittorio De SicaAlberto LattuadaRoberto RosselliniLuigi ZampaLuchino ViscontiMichelangelo AntonioniPietro GermiFederico Fellini (con il suo "Neorealismo magico") e tanti altri si innalzarono a simboli, influenzando in maniera determinante tutto il Cinema a venire. 

 

 

[Miracolo a Milano - 1951, Vittorio De Sica]

 

 

I titoli da citare, così come i nomi dei registi, sono pressocché infiniti: La terra tremaGermania anno zeroUmberto D.Riso amaroGioventù perdutaAchtung! Banditi!I vitelloni...

 

Il Neorelismo cinematografico/letterario italiano può essere considerato a tutti gli effetti come una sorta di Big Bang dal quale si originò una lunga serie di movimenti nati nel ventennio compreso tra il 1950 e il 1970: dalla Nouvelle Vague francese di François TruffautJean-Luc GodardJacques Rivette, Claude Chabrol Éric Rohmer al Cinema di genere italiano, studiato, amato e riproposto da cineasti di tutto il mondo fino all'epoca contemporanea.

 

In questo gigantesco universo in continua espansione, ci fu una tipologia di film che nacque in maniera "semi parallela" al Neorealismo: la commedia all'italiana. 

 

La necessità narrativa intrinseca di questo filone cinematografico, infatti, era similare a quella che animava il movimento originato dal trittico Visconti-De Sica-Rossellini: mostrare la realtà quotidiana del popolo italiano evidenziandone le caratteristiche, le problematiche, i difetti e le virtù.

 

 

[Il vigileOtello Celletti/Alberto Sordi se la ride perché lui sa bene cos'è la commedia all'italiana]

 

 

Ma se per il Neorealismo la chiave narrativa aveva quasi sempre l'aspetto del dramma, con la commedia all'italiana arriva invece il momento di prendere "alla leggera"i difetti degli abitanti del Bel Paese, spesso ridendoci sopra.

 

La natura "furbesca" dell'italiano, la sua pigrizia, il tentativo continuo di aggirare le regole, il tema del "posto fisso a tutti i costi", della scalata al successo (ma con scorciatoie) e tutte le caratteristiche tipiche dell'abitante della nostra penisola divennero degli spunti per raccontare delle storie divertenti ma - spessissimo - dotate di un retrogusto amaro e dramamatico. 

 

Totò, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, Vittorio Gassman, Monica Vitti, Paolo Villaggio, Tina Pica, Franco e Ciccio, Vittorio De Sica, Sophia Loren ma soprattutto Alberto Sordi e Ugo Tognazzi (come noteremo nella classifica) costruirono le proprie fortune sulla Commedia all'italiana. 

 

Fra i registi e sceneggiatori della commedia all'italiana non si possono non nominare Cesare Zavattini, Ruggero Maccari, Ugo Pirro, Luciano Salce, Rodolfo Sonego, Antonio PietrangeliLuigi ZampaMario MattòliLuigi ComenciniDino RisiStenoEttore Scola e Lina Wertmüller (sperando che tutti i grandi che non ho citato non mi folgorino dall'alto).

 

Con la Commedia all'italiana, specialmente negli anni successivi al boom economico degli anni '60, il film diventa dunque uno "specchio sociale" da porre di fronte all'italiano, affinché egli possa ridere di se stesso, prendere coscienza delle proprie inettitudini e - come suggerito dalle produzioni di alcuni registi come Mario Monicelli - provare a migliorarsi abbandonando i malcostumi (apparentemente intrinsechi) degli abitanti dell'Italia.

 

 

[Se esiste un demiurgo della Commedia all'italiana è proprio lui: Mario Monicelli]

 

 

Proprio Monicelli costruì gran parte della propria carriera canzonando gli italiani, anche contaminando il genere della commedia con ambientazioni e tonalità inconsuete: dall'epoca delle crociate de L'armata Brancaleone (1966) al fantapolitico Vogliamo i colonnelli (1973), l'idea del regista romano era quella di spingere lo spettatore all'automiglioramento per mezzo della critica satirica.

 

Proposito/speranza che cominciò ad abbandonare con l'amaro Amici miei (1975) e su cui pose la pietra tombale con la tragedia di Un borghese piccolo piccolo (1977).

"La speranza è una trappola, è una brutta parola, non si deve dire. 

La speranza è una trappola inventata dai padroni, di quelli che ti dicono "State buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell'aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa." [...] 

Mai avere la speranza, la speranza è una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda"

Mario Monicelli

 

La Commedia all'italiana ebbe talmente tanto successo da essere apprezzata e riproposta anche all'estero, nonostante alcuni suoi stilemi e caratteristiche fossero difficilmente percepibili da chi non fosse italiano.

 

Insieme agli Spaghetti Western di Sergio Corbucci e Sergio Leone, all'horror di Mario Bava, Lucio Fulci e Dario Argento, la commedia all'italiana valicò i nostri confini, portando celebrità nazionali come Sophia LorenVittorio GassmanMarcello Mastroianni e Virna Lisi direttamente fino a Hollywood.

 

 

[Un borghese piccolo piccolo: una commedia all'italiana che di divertente ha davvero ben poco]

 

 

La stessa Hollywood che negli anni a venire tentò a più riprese la proposta di remake - con risultati altalenanti - dei classici della commedia all'italiana come I soliti ignoti (Crackers di Louis Malle e successivamente Welcome to Collinwood dei Fratelli Russo), Profumo di donna (Scent of a Woman di Martin Brest), Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (Swept Away di Guy Ritchie), Crimen (Once upon a crime di Eugene Levy) e altri ancora.

 

Il Neorealismo e la (derivante) commedia all'italiana ebbero un successo travolgente, capace di influenzare un numero impressionante di realtà produttive e registi esteri fino alla scomparsa - fra gli anni '70 e '80 - dei suoi protagonisti indiscussi.

 

Da lì in avanti si ha un declino pasticciato, fatto di prodotti discutibili legati al genere della commedia sexy e la commedia all'italiana declinata in versione erotica (senza considerare le sotto-derivazioni come il Decamerotico), nobili tentativi di ripresa - seppur con tematiche e modalità differenti - da parte di autori come Francesco NutiCarlo VerdoneRoberto Benigni e Massimo Troisi, fino ai tristi epiloghi vanziniani fatti di (sic!) Vacanze di Natale, rutti e scorregge.

 

 

["Hoo-ha!" per uno dei remake ben fatti della commedia all'italiana: Scent of a woman

 

 

L'attualità del web, purtroppo, presenta poche "imbeccate" rispetto alla Commedia all'italiana, importantissimo e fruttifero genere del nostro Cinema, e si trovano per lo più i soliti quattro titoli e nomi, anche se effettivamente essenziali. 

 

Se siete stanchi di leggere esclusivamente de Il sorpassoI mostriLa grande guerraAmici miei o Il marchese del Grillo forse questa Top 8 potrebbe fare al caso vostro. 

Qual è la vostra Commedia all'italiana preferita? 

 

E chi sono gli interpreti e i registi di questo genere apprezzate maggiormente? 

 

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Posizione 8

L'immorale 

di Pietro Germi, 1967

scritto da Pietro Germi, Alfredo Giannetti, Tullio Pinelli, Carlo Bernari 

con Ugo Tognazzi, Stefania Sandrelli, Renée Longarini

 

La decisione di inserire nella Top un Germi "minore", quando era possibile indicare dei capisaldi come Signore & Signori (pietra miliare della Commedia all'italiana e vincitore del Grand Prix al Festival del Cinema di Cannes del 1966) o Divorzio all'italiana è quantomeno bizzarra.

 

Ma l'argomento del film e, soprattutto, l'inconsueto approccio al tema sono troppo intriganti per essere ignorati.


La pellicola racconta la storia di Sergio Masini (Ugo Tognazzi), maestro di violino, padre amorevole e marito appassionatamente innamorato delle sue due mogli: l'uomo è infatti un poligamo con due famiglie, totalmente (e drammaticamente) impegnato nel dividersi fra i suoi affetti e il tentativo di non farsi scoprire.

 

A complicare la sua tragica situazione arriva una terza giovane donna, Marisa (Stefania Sandrelli), di cui il Masini si innamorerà perdutamente.


Il film, nonostante la tiepida accoglienza della critica dell'epoca, offre uno dei topoi della commedia all'italiana - quello del bigamo - ma con una prospettiva completamente ribaltata.

 

Se nelle opere precedenti - e successive - il "multi-famiglie" cinematografico aveva delle caratteristiche comiche, furbesche e legate alla sua capacità di ingannare le proprie mogli (è rimasta incastrata nell'immaginario collettivo l'immagine dell'uomo che sposta le lancette dell'orologio per poter festeggiare il capodanno con entrambe le famiglie), ne L'immorale il filtro rappresentativo è completamente diverso.


Attraverso l'ottima interpretazione di Tognazzi (che gli valse il David di Donatello come migliore attore protagonista), Pietro Germi ci immerge nel dramma di un uomo privato della propria libertà, costretto alla menzogna e a ottimizzare al secondo le ore della giornata.

 

Tutto questo perché ama davvero le sue donne e figli, che non sono più ridotti a delle mere appendici da sfruttare in un gioco scellerato, ma bensì oggetti d'amore di cui avere cura. 


Con tutto ciò che ne consegue.

 

Posizione 7

Tutti a casa

di Luigi Comencini, 1960 

scritto da Age & Scarpelli, Luigi Comencini, Marcello Fondato 

con Eduardo De Filippo, Alberto Sordi, Martin BalsamSerge Reggiani

 

Rubando le parole di Morando Morandini, Tutti a casa è una delle "poche mediazioni felici fra Neorealismo e Commedia all'italiana".

 

Il film, infatti, racconta un momento critico della Storia italiana, quello del primissimo dopoguerra, rappresentando quel contesto drammatico con le tonalità della commedia.


L'8 settembre 1943, dopo la firma dell'armistizio siglata dal Generale Pietro Badoglio, le truppe italiane sono allo sbando: senza ordini precisi, i soldati si ritrovano privi di una guida mentre gli alleati di un tempo, i tedeschi, diventano improvvisamente nemici che occupano il territorio natìo.

 

Al grido di "tutti a casa!", incomincia dunque la ritirata dei militari: un fuggi fuggi generale dove ognuno pensa solo a ritornare dalla propria famiglia.

Fra loro troviamo il sottotenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi) che, insieme ai suoi commilitoni, incomincia un viaggio - che ha l'aspetto di un'Odissea - verso casa propria, a Littoria (l'attuale Latina), per ricongiungersi con l'anziano padre (Eduardo De Filippo).

 

Il tragitto di Innocenzi attraverso un paese martoriato dal conflitto, durante il quale incontrerà macerie, disperati, approfittatori e anche i "treni della morte" diretti verso i campi di sterminio, è rappresentato in un bilanciamento perfetto fra dramma storico e inserti propri della commedia.

 

Tutti a casa - inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare - è una perla di rara bellezza, dove Storia, tragedia e risate si mescolano in maniera indissolubile.

 

Con l'aggiunta di un Alberto Sordi sugli scudi, premiato con il David di Donatello nel 1961.

 

Posizione 6

La vita agra  

di Carlo Lizzani, 1964 

scritto da Carlo Lizzani, Luciano Vincenzoni, Sergio Amidei 

con Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Giampiero Albertini

 

Tratto dall'omonimo romanzo di Luciano Bianciardi, La vita agra è forse il film che rappresenta con maggior impatto (e rabbia) la contestazione alla Società dei consumi, apparentemente latrice di benessere, ma in realtà spersonalizzante e disinteressata rispetto alla vita del popolo minuto.

 

Luciano Bianchi (Ugo Tognazzi) è un abitante di Guastalla, un piccolo paese dell'Emilia Romagna. Intellettuale appassionato e bibliofilo, lavora come responsabile delle iniziative culturali presso uno stabilimento minerario di proprietà della CIS, un colosso specializzato nella produzione di prodotti farmaceutici, chimici e derivati della plastica.

 

Nel giorno in cui viene licenziato dall'azienda, la miniera esplode - a causa di un incidente imputabile alla pessima applicazione delle misure di sicurezza sul lavoro - causando la morte di 43 operai. 

 

Luciano, amareggiato e indignato, decide di mettere in atto un attentato che vendichi il suo licenziamento ingiustificato e la morte di tanti innocenti. 

Si reca quindi a Milano, dove ha sede la CIS, con l'intento di far esplodere "il torracchione" di oltre venti piani della sua ex azienda.

 

Arrivato in città, incontra Anna (Giovanna Ralli), bella giornalista romana di sinistra con la quale instaurerà una relazione extraconiugale durante la progettazione del suo atto terroristico.


La critica sociale attuata da Lizzani nel film è a dir poco feroce, con le contraddizioni dell'italiano che vengono esposte verso l'occhio della macchina da presa come carne viva; la "società del benessere" è giunta al suo ultimo stadio rappresentativo: dopo la sua esaltazione e la successiva canzonatura viene marcatamente (e ripetutamente) demonizzata.

 

"Il torracchione" simbolo del capitalismo dilagante diventa un mostro antropomorfo, simbolo del male che affligge la povera gente d'Italia.

 

Il messaggio espresso dal finale è la sentenza da porre sulla vita agra dei figli e le figlie del Boom, formichine insignificanti schiacciate dagli ingranaggi di una macchina troppo grossa e potente per essere fermata. 

 

Posizione 5

Signore e signori, buonanotte 

di Age, Leonardo Benvenuti, Luigi Comencini, Piero De Bernardi, Nanni Loy, Ruggero Maccari, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ugo Pirro, Furio Scarpelli e Ettore Scola, 1976

scritto da Agenore Incrocci, Leo Benvenuti, Luigi Comencini, Piero De Bernardi, Nanni Loy, Ruggero Maccari, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Ettore Scola

con Marcello Mastroianni, Senta Berger, Paolo Villaggio, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Adolfo Celi, Gabriella Farinon

 

Signore e signori, buonanotte è un film collettivo a episodi che, in maniera parodistica e grottesca, mostra i controsensi del nostro Paese mettendo a nudo le assurdità faziose e idiote presenti nel sistema televisivo italiano dell'epoca.

 

La produzione datata 1976 arrivò qualche anno dopo la fase terminale della Commedia all'italiana, di cui conserva però molti temi e caratteristiche mescolati assieme in chiave satirica.


Paolo T. Fiume (Marcello Mastroianni), mezzobusto televisivo di un TG3 di fantasia, riporta le notizie più allucinanti, lancia servizi nei quali svolge anche il ruolo di inviato sul campo, fa il farfallone con la sua giovane valletta e interrompe persino la trasmissione per un accesissimo confronto con i vertici aziendali.


Il telegionale viene inframezzato da programmi di costume, intrattenimento e didattici: dal telefilm al film d'inchiesta, passando per la trasmissione educational di inglese fino al Quiz televisivo del "Disgraziometro" presentato da un presentatore (Paolo Villaggio) che fa il verso a Mike Bongiorno al grido di "Malinconia!".


È innegabile che alcuni episodi siano più riusciti di altri, ma la satira del film - al limite del grottesco - è sempre viva e pungente, attivata con energia da un cast eterogeneo e pienamente funzionale per gli scopi dei registi. 

 

La cosa più impressionante di Signore e signori, buonanotte è vedere come molte delle critiche rivolte alle disfunzionalità della nostra nazione siano pienamente attualizzabili in un contesto storico/sociale che dista più di quarant'anni dalla realizzazione del film.

 

Triste, vero?

 

Posizione 4

Il vedovo

di Dino Risi, 1959

scritto da Rodolfo Sonego, Fabio Carpi, Sandro Continenza, Dino Verde, Dino Risi

con Alberto Sordi, Franca Valeri, Livio Lorenzon, Gigi Reder, Nando Bruno, Leonora Ruffo

 

Il vedovo merita un posto in questa classifica foss'anche solo per il personaggio messo in scena da Alberto Sordi, che è una delle più esilaranti e appropriate prese in giro "dell'italiano tipo" protagonista delle Commedia all'italiana.


Il commendatore Alberto Nardi è infatti il classico inetto, megalomane e nevrastenico che però si crede furbo come una faina.

 

In realtà, l'uomo vive costantemente aggrappato alla sottana della moglie Elvira (Franca Valeri), miliardaria costretta a firmare le cambiali e saldare i debiti del marito incapace e spendaccione.

 

Alla notizia della (apparente) dipartita della consorte durante un incidente ferroviario, il Nardi, rimasto vedovo, vestirà il nero del lutto ma con l'esaltazione - malcelata - derivata dalla possibilità di poter finalmente disporre a suo piacimento del mastodontico capitale della moglie.

 

Durante la sfarzosa veglia funebre organizzata in una villa di campagna, Elvira ritornerà inaspettatamente in vita, scombinando i piani del marito e generando una serie di situazioni farsesche a dir poco comiche.

 

Il vedovo è una commedia all'italiana leggera ma ben riuscita, giocata su elementi tipici del genere con i quali Dino Risi mette in mostra un inusuale black humour.

 

Posizione 3

Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata

di Luigi Zampa, 1971

scritto da Luigi Zampa, Rodolfo Sonego

con Claudia Cardinale, Alberto Sordi, Riccardo Garrone

 

Il romano Amedeo Battipaglia (Alberto Sordi) è un immigrato della terra dei canguri che desidera ardentemente incontrare una donna da sposare e con cui mettere su famiglia.

 

Il prete Don Anselmo (Corrado Olmi), referente degli emigranti italiani in Australia, lo consiglia e gli mostra la fotografia di Carmela (Claudia Cardinale), una ragazza calabrese che potrebbe decidere di spostarsi dall'altra parte del mondo per prendere marito.


Fra i due inizia una corrispondenza - fitta di bugie - al termine della quale la giovane deciderà di partire alla volta di Brinsbane a spese di Amedeo, il quale, per timore di essere respinto, si spaccia per Giuseppe, un suo amico immigrato come lui.

L'idea del Battipaglia è infatti quella di far innamorare di sé Carmela durante il lungo viaggio dall'areoporto fino a casa sua per poi rivelarle la verità; il tragitto si rivelerà più difficoltoso del previsto, ricco di imprevisti e situazioni ingarbugliate.

 

Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, come si intuisce dal titolo, prende spunto da una pratica piuttosto comune negli '60/'70: la diffusione di annunci "pubblicitari" di immigrati alla ricerca di coniugi provenienti dal paese natale.


Il film, che utilizza atmosfere pregne di malinconia e nostalgia per una patria lontanissima, si regge sulle spalle dei due protagonisti che, dietro alle rispettive menzogne, celano fragilità e segreti inconfessabili. 

 

Sordi si trasfigura in una maschera colma di tristezza, fragilità e solitudine, mentre Cardinale rappresenta la classica donna italiana: fiera, indomabile e inarrestabile fino al raggiungimento dei suoi scopi.


Quella raccontata nella pellicola del 1971 - sceneggiata da Rodolfo Sonego e lo stesso Zampa - è una storia che bilancia con grande equilibrio commedia, dramma e romanticismo in un setting insolito e polveroso come quello dell'entroterra australiano.

 

Posizione 2

Il conte Max 

di Giorgio Bianchi, 1957

scritto da Alberto Sordi, Ettore Scola, Ruggero Maccari, Giorgio Bianchi

con Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Tina Pica, Susanna Canales, Anne Vernon

 

Alberto Boccetti (Alberto Sordi), edicolante romano, è un uomo che più di ogni altra cosa desidera di potersi elevare dal proprio status di "uomo del popolo" per entrare a far parte dell'affascinante e dorato mondo della nobiltà.

 

Attratto da un ambiente sociale fatto di comfort, eleganza, viaggi esotici e partite di bridge, prende lezioni di stile da Max Orsini Varaldo (Vittorio De Sica), un nobile decaduto scroccone e senza il becco di un quattrino. 

Con 25000 lire ricevute dall'anziano zio per andare in vacanza a Capracotta, Alberto deciderà - su suggerimento del suo amico nobile - di recarsi invece nella lussuosa Cortina, dove fingerà di essere, per l'appunto, il Conte Max

 

Qui incontrerà due donne: la Baronessa Elena di Villombrosa (Anne Vernon) e Lauretta (Susanna Canales), la governante della nobildonna. 

Attanagliato dal dubbio perenne su quale delle due corteggiare (e, conseguentemente, quale stile di vita abbracciare), l'edicolante rampante incomincerà a interpretare due ruoli antitetici: il sempliciotto Alberto e l'affettato Max, dando vita a una serie di situazioni paradossali ed esilaranti.

 

Maccari, Scola, Bianchi e Sordi tratteggiano una sceneggiatura che è a tutti gli effetti una comicissima commedia degli inganni, confezionando un remake frizzante e perfettamente riuscito.

Il film è infatti la riproposizione de Il signor Max (1937) di Mario Camerini, dove la parte del giornalaio era interpretata da Vittorio De Sica.

 

Sordi si disimpegna con grande naturalezza in un ruolo che sembra calzargli a pennello: ogni gag, battuta o smorfia è una stoccata rapida e decisa che non può che far sorridere lo spettatore. 

 

Gustosa la scelta di far interpretare a De Sica la parte dello spiantato giocatore incallito: chi conosce un minimo i burrascosi trascorsi personali del papà di Christian non potrà fare a meno di sogghignare sotto i baffi.

 

Posizione 1

Detenuto in attesa di giudizio 

di Nanny Loy, 1971

scritto da Sergio Amidei, Emilio Sanna

con Alberto Sordi, Elga Andersen, Lino Banfi

 

Questa ultima scelta è quella che - forse - potrebbe generare il dibattito più acceso.

 

Proprio per questo ritengo sia interessante proporla in questa selezione di commedie all'italiana.

 

Giuseppe Di Noi (Alberto Sordi) è un geometra italiano immigrato ormai da anni in Svezia.

Un giorno decide di portare in vacanza in Italia la moglie Ingrid (Elga Andersen) e i due figli: fermato alla frontiera per un banale controllo, l'uomo viene tratto in arresto e condotto in prigione a Milano. 

 

Qui verrà a conoscenza delle accuse - assurde - mosse a suo carico e inizierà il proprio personale calvario, fatto di soprusi, trattamenti umilianti e trasferimenti da un carcere all'altro.


Detenuto in attesa di giudizio è una commedia che si finge dramma o viceversa?

 

Quel che è certo è che Alberto Sordi si caricò sulle spalle un ruolo difficile, estenuante, ma che interpretò in maniera eccezionale - gli valse l'Orso d'Argento al Festival di Berlino - all'interno di un film ruvidissimo che lasciò interdetto il pubblico italiano per la brutalità della sua denuncia senza filtri.

 

Quella raccontata da una grande regia di Nanni Loy (soggetto di Rodolfo Sonego su un'inchiesta di Emidio Sanna) è un'Italia barbara, arretrata, dove sistema burocratico e carcerario non sono altro che dei labirinti tortuosi in cui è facile perdersi e lasciare la propria anima.

 

Le musiche vennero affidate a Carlo Rustichelli, uno dei più eminenti compositori dell'epoca.

 



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