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8 psichedelici 'bad trip' cinematografici

Un viaggio al centro della psichedelia nel Cinema attraverso 8 sballi... finiti male!

Mescalina, anfetamina, acidi, funghetti, cocaina, eroina, popper, DMT: quante scene di alterazione psichedelica vi vengono in mente nella Storia del Cinema? 

 

In Paura e delirio a Las Vegas Duke (Johnny Depp) era circondato da pipistrelli impazziti; mentre Gonzo (Benicio del Toro), immerso in una vasca da bagno, voleva che “quello schifo di radio” finisse nell’acqua con lui su una precisa nota di White Rabbit dei Jefferson Airplane

 

La psichedelia ha certamente contaminato l’arte cinematografica sotto numerosi aspetti così come la sua natura controculturale ha spinto ai limiti della creatività numerosi artisti, musicisti e pittori.  

 

In alcuni casi certi intrepidi protagonisti affrontano i propri viaggi rivelatori da sostanza psicoattiva non proprio nel migliore dei modi.   

 

   

[Una delle numerose, folli scene legate all'assunzione di droga in Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam]

 

 

L’esperienza, anziché allargare la coscienza, finisce per causare ansia, panico e disagio sociale dando vita a una crisi psichica alimentata da inquietanti allucinazioni e visioni orrorifiche.   

 

Proprio in quel momento il Cinema, attraverso movimenti di macchina dinamici, primissimi piani improvvisi e tecniche pratiche e digitali per la deformazione della realtà, diventa esso stesso un’avventura psichedelica, coinvolgendo sensorialmente lo spettatore all’interno di un terribile e interminabile bad trip.  

 

I contesti possono essere molti.  

 

In Requiem for a Dream, canto definitivo di una generazione traumatizzata dagli effetti devastanti dell’eroina, le scene di psichedelia sono spesso strumento critico per trasmettere quegli stessi orrori che grandi cult movie come Trainspotting avevano sapientemente messo in scena anni prima.  

 

Se nel film di Danny Boyle il bad trip si sostanzia nell’immagine disgustosa di un gabinetto laido nel quale il protagonista si immerge, in Requiem for a Dream alcune delle visioni più inquietanti si manifestano in relazione all’assunzione altrettanto dannosa di pillole dietetiche, mettendo in luce le conseguenze psicologiche di una certa pressione sociale devota all’apparenza. 

 

 

[La paranoia di Sara (Ellen Burstyn) in Requiem for a Dream di Darren Aronofsky]

 

 

Nonostante non manchino esempi cinematografici in cui è messo in risalto il potenziale fittizio della droga come sostanza in grado di aumentare percezione e intelligenza - Lucy e Limitless sono i due esempi emblematici - spesso il bad trip si manifesta, così nel Cinema come nella realtà, quando il contesto o le condizioni psicofisiche di chi assume non sono propriamente ottimali.  

 

Per esempio, Ari Aster in Midsommar nutre le potenzialità horror del suo film utilizzando l'espediente del funghetto assunto da Dani (Florence Pugh). 

 

Il seppur breve paranoico viaggio mentale della protagonista, oltre ad essere sintomatico di un’inquietudine repressa, genera nello spettatore un senso di spaesamento che è da ricondurre, in un secondo momento, alla difficoltà di percezione tra finzione e realtà, tra visione ossessiva e reale svolgimento delle vicende che caratterizza il film nella sua interezza.  

 

  

[Dani sperimenta il bad trip in Midsommar di Ari Aster]

 

 

Esistono poi registi che fanno della psichedelia il punto di forza del loro personale stile registico, a prescindere dall’inserimento di bad trip o assunzione generica di sostanze stupefacenti all’interno della storia.  

 

Gaspar Noé è un vero Maestro in questo: nella maggior parte della sua filmografia l’elemento allucinatorio diventa parte integrante di un linguaggio che ha lo scopo di disturbare e sconvolgere lo spettatore. 

Non solo: il bad trip è spesso usato dal regista argentino come pretesto per inscenare un percorso esistenziale senza confini: Enter the Void e Climax sono infatti da considerarsi come due lunghi viaggi allucinogeni. 

 

Il primo è focalizzato sull’esperienza stroboscopica post mortem del protagonista, permettendo l’ingresso dello spettatore nel vuoto sfocato di un’anima tormentata e dando luogo a una serie di riflessioni sull’esistenza.  

 

Il secondo coinvolge all’interno di un interminabile bad trip personaggi condannati a un’esperienza psichedelica non voluta, che cercano in tutti i modi di lottare contro la propria bestiale natura.

 

 

[Uno dei numerosi disegni digitali in movimento presente in Enter the Void]

 

 

Tracce di psichedelia si riscontrano anche nell’animazione, dove il viaggio si realizza attraverso disegni animati caratterizzati da colori saturi e fosforescenti e illusioni ottiche disturbanti. 

 

BoJack Horseman sperimenta il bad trip venendo a contatto con i lati più oscuri del suo carattere e del suo doloroso passato, mentre Jerry in Rick & Morty affronta un viaggio mistico raccontato attraverso gli stereotipi iconografici legati al fenomeno culturale della psichedelia.   

 

Giunti al termine di questa introduzione, occorre innanzitutto ringraziare come sempre gli Amici di CineFacts.it che anche questa volta hanno scelto l’argomento della Top 8 del mese, permettendo alla redazione di parlarvi di 8 psichedelici "bad trip" cinematografici, presentati in rigoroso ordine cronologico.  

 

Preparatevi ad affrontare un tour lisergico all’interno di alcuni dei bad trip cinematografici più inquietanti di sempre: questo, più che in altri casi, è proprio il momento di augurarvi Buon Viaggio!

 

[Introduzione a cura di Matilde Biagioni]

[Immagine di copertina a cura di Drenny DeVito]   

 

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Posizione 8

Easy Rider - Libertà e paura 

di Dennis Hopper, 1969

 

Wyatt e Billy, interpretati da Peter Fonda e Dennis Hopper, sono due piccoli criminali: dopo aver smerciato un carico di cocaina dal Messico comprano un paio di motociclette e decidono di percorrere in sella gli Stati Uniti d'America.

 

Nel percorso conosceranno i vari volti e le numerose contraddizioni degli States, incontrando una serie di personaggi fuori dal comune tra cui un giovane avvocato alcolizzato, George Hanson, interpretato da un memorabile Jack Nicholson.

 

A volte l'assoluta semplicità degli assunti di trama non impedisce a certe opere di trascendere e diventare degli autentici capostipiti di un genere e - come in questo caso - di un'intera epoca cinematografica.

 

Oltre a essere l'assoluta chiave di volta per tutti i film di questa rassegna, Easy Rider è anche unanimemente considerato il film che ha dato il via definitivo alla New Hollywood dopo Gangster Story e Il laureato, per la sua capacità di fotografare i moti interiori ed esteriori del '68 statunitense. 

 

La natura così libera e personale dell'opera rispetto ai suoi protagonisti, che hanno profuso i loro sforzi anche in fase di scrittura, direzione e produzione, si esprime nell'assoluta anarchia visiva e concettuale di Easy Rider rispetto al Cinema classico hollywoodiano.

 

L'intero percorso dei protagonisti, scandito da rapporti differenti con ogni genere di droghe (cocaina, alcol, erba e acidi), si riverbera anche sulla messa in scena che risulta scandita da scelte psichedeliche, sul montaggio cinetico e straniante e sulla colonna sonora pienamente radicata nei suoi tempi.

 

Una serie di accorgimenti autoriali che valse a Dennis Hopper il Premio per la Migliore Opera Prima al Festival del Cinema di Cannes 1969

 

Pur essendo decisamente meno estremo di alcuni suoi epigoni, Easy Rider ha settato un canone e ispirato una generazione.

 

Disponibile a noleggio su Chili, AppleTV , Google Play, Microsoft Store, Amazon Video e Rakuten TV 

 

[A cura di Jacopo Gramegna]

 

Posizione 7

Stati di allucinazione

di Ken Russell, 1980

 

Prima esperienza hollywoodiana del britannico Ken Russell, Stati di allucinazione marca una tappa significativa, tanto sul versante formale quanto su quello contenutistico, nel percorso di un regista tra i più iconoclasti.

 

Dal secondo punto di vista, Russell imbocca una strada simil-cronenberghiana - ma prima del miglior David Cronenberg - oscillando non sempre felicemente tra spunti brillanti e naïf: è il tema della materializzazione degli stati di coscienza, riguardando il fisico e sconfinando nel metafisico, a fungere in particolare da punto nodale e a risultare problematico anche in relazione alla resa stilistica.

 

Il professor Eddie Jessup - interpretato da un esordiente William Hurt - compie su di sé una serie di esperimenti finalizzati all'esplorazione degli stati di coscienza (singolari e collettivi) impiegando una vasca di deprivazione sensoriale e/o assumendo pesanti sostanze psichedeliche, il che giustifica la nutrita presenza di sequenze oniriche (più che oniroidi) che puntualmente si risolvono in bad trip: sequenze in cui Russell, forte dell'appiglio diegetico, dà libero sfogo alle proprie fantasie.

 

Nonostante sopraggiungano talvolta delle contaminazioni, la distinzione estetica tra gli stati di coscienza è netta: il passaggio al mondo delle allucinazioni è segnato dall'allontanarsi del montaggio, sempre più frenetico, dalle norme di continuità e da un generale cambio di tono a livello di inquadrature e fotografia, tra scelte ardite e saturazioni cromatiche.

 

Non sono poche le composizioni dal gusto surrealista o dechirichiano giocate sulla sottrazione o sullo scarto rispetto alle aspettative, ma prevale invero un sovraccarico - di informazioni visive e contenutistiche - che conduce nel confuso dominio del camp e del kitsch.

 

Opposta com'è alla convenzionalità del milieu borghese di Jessup, la tensione verso un immaginario religioso e New Age spalanca insomma le porte, vista la sua dirompenza, ad una sequela di "viaggi" la cui coerente aspirazione al metafisico smonta ogni possibile accusa di formalismo.  

 

Disponibile a noleggio su Google Play e Amazon Store

 

[A cura di Mattia Gritti]

 

Posizione 6

Assassini Nati - Natural Born Killers

di Oliver Stone, 1994

 

Nonostante non sia un’opera incentrata sulle droghe, ma sul rapporto tossico e morboso tra i media di massa e la violenza, Natural Born Killers presenta uno stile visivo psichedelico per tutta la sua durata.

 

La fotografia passa molto spesso dal colore (incluse monocromie) al bianco e nero, il montaggio è così frenetico da sembrare psicotico, Dutch angle vengono utlizzati senza soluzione di continuità, i formati di ripresa impiegati sono molteplici e i registri stilistici variano dalla sit-com all’animazione: il film di Oliver Stone potrebbe essere un unico, intero bad trip agli occhi dello spettatore.

 

Tuttavia esiste una scena in particolare dove effettivamente i due protagonisti fanno uso di droghe allucinogene e vivono un’esperienza che non finisce esattamente nel modo migliore.

 

Mickey (Woody Harrelson) e Mallory Knox (Juliette Lewis) sono due criminali ed efferati assassini perennemente in fuga negli States degli anni ’90.

Per sfuggire alla polizia decidono di addentrarsi con la macchina nel deserto e, nel mentre, assumere dei funghi allucinogeni.

 

Fermi a causa dell'esaurimento della benzina, i due litigano mentre inizia a manifestarsi l’effetto: sulle note della bellissima Something I can never have dei Nine Inch Nails (l’intera colonna sonora è prodotta proprio da Trent Reznor) iniziano a irrompere nel montaggio disagianti immagini vegetali e animali.

 

Successivamente i protagonisti bussano alla porta di un tipì di un nativo americano, che li accoglie e li sfama attorno a un fuoco. 

Le sostanze psicoattive, però, sono al loro punto massimo e Mickey rivive ricordi d’infanzia traumatici che lo catapultano in un bad trip che risulterà fatale per il padrone di casa.

 

Partita da un soggetto iniziale di Quentin Tarantino ma poi totalmente stravolta in fase di sceneggiatura, Natural Born Killers è considerata una delle pellicole più controverse della fine del secolo scorso, che valse al regista il Leone d’argento - Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia.

 

Disponibile su Disney+ 

 

[A cura di Jacopo Troise]

 

Posizione 5

The Acid House

di Paul McGuigan, 1998

 

Tratto dall’omonima raccolta di romanzi scritta da Irvine Welsh, The Acid House è stato erroneamente considerato il seguito del più famoso Trainspotting per diversi motivi, tra cui una campagna promozionale che ha puntato proprio a sfruttare la fama del precedente film di Danny Boyle.

 

La presenza nel film di Ewen BremnerKevin McKidd - rispettivamente Spud e Tommy in Trainspotting - in particolare quella del primo nuovamente nei panni di un tossicodipendente, hanno ulteriormente contribuito a cementare questa convinzione.

 

I tre capitoli che compongono The Acid House trattano perversioni sessuali, droga, abusi, scambio della personalità, avendo in comune solo alcune ambientazioni e il ritorno periodico di alcuni personaggi.

A fare da filo conduttore c'è il contatto dell’Uomo con Dio (Maurice Roëves) la cui maniera di manifestarsi cambia in base ai personaggi con cui si interfaccia.

 

Il terzo capitolo del lungometraggio di Paul McGuigan dà il nome al film stesso e ci racconta la storia del tossicodipendente Coco Brice: colpito da un fulmine durante un bad trip da acidi, Coco subirà uno scambio di personalità finendo nel corpo di un essere umano la cui quotidianità non è esattamente la stessa a cui lui è abituato.

 

In The Acid House il trip psichedelico viene efficacemente messo in scena alternando scene accelerate e rallentate, sovrapponendo voci, missando suoni anch’essi con velocità modificate e ripetendoli in un loop sonoro che si incastra armoniosamente e ritmicamente con le immagini.

Questo gioco frenetico di frame e suoni offre allo spettatore il punto di vista di Coco, permettendogli di vedere il mondo attraverso i suoi sensi alterati dall’LSD.

 

Ewen Bremner, interprete di Coco Brice, con i suoi caratteristici tratti fisiognomici accentuati da espressioni stralunate e frequenti fish-eye, è perfetto per il ruolo che riveste.

 

Per un breve e tragicomico trip cinematografico The Acid House è perfetto!

 

Disponibile in home video

 

[A cura di Morena Falcone]

 

Posizione 4

A Scanner Darkly - Un oscuro scrutare

di Richard Linklater, 2006  

 

Bob Arctor (Keanu Reeves), nome in codice Fred, è un agente infiltrato della squadra narcotici che passa il suo tempo in uno squallido appartamento in California, tra i discorsi sconclusionati di un gruppetto di tossicodipendenti, mentre una potente anfetamina nota come Sostanza M si sta diffondendo tra la popolazione americana con conseguenze tragiche e inevitabili.  

 

Figlio della penna fantascientifica del tanto saccheggiato cinematograficamente Philip K. Dick, A Scanner Darkly - Un oscuro scrutare mette in scena il rapido deteriorarsi delle condizioni psichiche del protagonista, gettando uno sguardo sugli effetti collaterali derivanti dall’utilizzo di sostanze stupefacenti.   

 

Tali effetti sono rappresentati a partire dai bad trip di Freck (Roy Cochrane), personaggio che soffre di un disturbo paranoico compulsivo, alimentato da inquietanti allucinazioni di insetti e creature extra-terrestri.  

 

Al centro delle vicende c’è tuttavia il rovinoso logoramento di Bob che, per motivi di credibilità, è costretto ad assumere la sostanza.  

Il suo bad trip, punto inevitabile di non ritorno, si manifesta esclusivamente sul finale, in quanto apice di una schizofrenia sviluppata progressivamente a causa della separazione dei suoi due emisferi cerebrali.  

 

La scena è caratterizzata da deformazione della realtà, angoscia, irrequietezza e coincide con la presa di coscienza del protagonista nel riconoscersi a tutti gli effetti un tossicodipendente come gli altri: l’effetto allucinatorio di alterazione è esasperato tanto dalla scelta della musica, quanto dalla tecnica utilizzata per la realizzazione dell’intero film.  

 

Il regista Richard Linklater infatti lavora per la seconda volta con la tecnica del rotoscoping, ovvero un processo che consiste nel ritoccare con animazione grafica digitale il girato in live action.   

 

Questo procedimento estetico ha il pregio di inserire lo spettatore all’interno della dimensione allucinata e caotica di un tossico poiché, oltre a riprodurre gli effetti della droga, è in grado di mettere in luce la stratificazione identitaria del protagonista.  

 

Disponibile a noleggio su Chili, AppleTV , Rakuten TV, TIMVision, Google Play, Amazon Store e Microsoft Store 

 

[A cura di Matilde Biagioni]

 

Posizione 3

I disertori - A Field in England

di Ben Weathley, 2013 

 

“Attenzione: questo film contiene luci lampeggianti e sequenze stroboscopiche”.

 

L’incipit de I disertori - A Field in England ci suggerisce come al quarto lungometraggio di Ben Wheatley spetti un posto di diritto in questa nostra selezione psicomimetica. 

 

Un campo di battaglia durante la Guerra Civile inglese (1642 -1651), un gruppetto di disertori diretti verso un’impossibile birreria per una pinta o due, un alchimista in cerca di un tesoro e una generosa dose di funghetti: tanto basta al regista britannico per mettere in scena uno dei film più criptici e anarchici del recente Cinema anglosassone.

 

Mentre si discetta di religione, si scimmiotta la morale e la paranoia vola alta fra i protagonisti che cozzano fra loro, Whitehead (Reece Shearsmith) - apprendista alchimista, astrologo e studioso generico - unico a non aver intrapreso il viaggio psichedelico dei suoi compagni, si concede un abbondante spuntino micetico.

 

A questo punto il trip visivo in cui Wheatley aveva immerso lo spettatore si spande, diventando così allucinazione paranoide: i campi in bianco e nero - firmati dalla direttrice della fotografia Laurie Rose - si scavalcano senza soluzione di continuità e il montaggio curato dallo stesso Wheatley (insieme a Amy Jump) diventa serratissimo.

 

Le immagini lisergiche si divorano il caleidoscopio, masticandolo e risputandolo fuori sotto forma di ultrasuono penetrante che si fa spazio nelle nostre orecchie; nel mentre Oliver Cromwell e i monarchici in lotta - pretesti narrativi incompiuti - si dissolvono alle spalle di protagonisti sempre più privi di controllo.

 

Armato di macchina a mano e di una messa in scena epilettica e visionaria, Ben Wheatley confeziona un film straniante, assurdo, non per tutti i palati e che costringe lo spettatore a seguire gli attorcigliamenti psicoattivi del suo demiurgo, a farsi trascinare nell'allucinato e spaventoso racconto come se fosse legato a una corda.

 

La destinazione è ignota, il trip sitter assente: esiste solo il viaggio.

 

Disponibile a noleggio su Chili

 

[A cura di Adriano Meis]

 

Posizione 2

Mandy

di Panos Cosmatos, 2018

 

Il film partorito dalla folle mente di Panos Cosmatos è già di per sé un trip: il boscaiolo Red (Nicolas Cage) vive una lenta e tranquilla esistenza insieme alla moglie Mandy, ma l'incontro casuale tra la donna e il leader di una setta segnerà l'inizio di un incubo.  

 

La scena incriminata avviene nel covo della banda dei Teschi Neri; dopo essere riuscito a ucciderne tre, un Red completamente imbrattato di sangue sniffa della cocaina da una scheggia di vetro raccolta da terra, per poi mettersi a cercare le sue armi in un long take di quasi due minuti.

 

Un barattolo di vetro attira infine la sua attenzione, portandolo a infilarci dentro un dito per assaggiarne il contenuto e no: non si tratta di Nutella, ma di un potente allucinogeno.

 

La lentezza dell'inquadratura precedente viene sostituita da una dozzina di psichedelici secondi durante i quali Cosmatos (oltre a portarci a un passo dalle convulsioni manco stessimo assistendo a un episodio di Robot Guerrieri Epilettici), ci mostra gli effetti dell'acido attraverso una rapida successione di fotogrammi di natura onirica.

 

Mentre la sua faccia si squaglia intravediamo un cervello color Sole ribollire fino a esplodere, cedendo poi il passo alla visione di una torre di trasmissione alternata al particolare di un occhio dalla sclera infuocata.

Il ritorno alla realtà viene segnato dal primissimo piano di un Nic Cage - illuminato da una luce rossa al neon extradiegetica proveniente dallo sfondo - in pieno trip riprendere a poco a poco il controllo.

 

Paradossalmente, a livello stilistico e visivo, la scena non segna un cambiamento così profondo in un'opera già dall'inizio contraddistinta da forti toni espressionistici.

 

L'intera sequenza marca però un definitivo cambio di ritmo e, soprattutto, l'acido rappresenta il suo punto di non ritorno: la Red pill che gli apre la mente (o frigge il cervello) recidendo qualsiasi legame col reale in vista di un finale ancora più delirante.

 

Disponibile su Prime Video

 

[A cura di Riccardo Melis]

 

Posizione 1

Bliss 

di Joe Begos (2019)

 

Lettere coloratissime dai toni fluorescenti si susseguono una dopo l'altra come vernice gocciolante gettata su schermo con un brano punk rock in sottofondo; i titoli di testa di Bliss, di cui Joe Begos è regista e sceneggiatore, ci trasportano di forza e senza alcuna delicatezza in quelli che saranno 80 minuti di roboante delirio lisergico. 

 

Dezzy è una giovane artista, squattrinata, insicura e molto sboccata: nonostante il suo talento - che ci viene confermato da più personaggi e situazioni - è soppraffatta da tempo dal blocco creativo.

 

 

Le uniche sequenze girate durante il giorno si concentrano nei primi minuti della pellicola fino a quando la protagonista, affamata d'ispirazione e soffocata dai debiti e dalle aspettative si reca a un festino, inizia a drogarsi senza alcuna remora e, soprattutto, viene infettata dal vampirismo durante un rapporto a tre.

 

 

Se The Addiction di Abel Ferrara si accoppiasse ubriaco e strafatto con Climax di Gaspar Noé sul lavandino di una sudicia toilette pubblica nascerebbe questo film: neon e vomito, sangue e vernice, heavy metal e quadri inquietanti, droga e vampirismo, la poesia dell'arte e la carnalità del sesso in una sola putrescente e sporca pellicola 16mm.  

 

Dezzy dipinge sul suo quadro l'orrore che ruota attorno a se stesso fino a diventare bellezza, la dipendenza da eritrociti confluisce in quella da oppiodi; eppure la protagonista non ha controllo di sé, nemmeno della propria arte, la sua memoria è una groviera e gli eventi slittano l'uno sull'altro tra le luci sature dei locali notturi e dei luoghi dello spaccio. 

 

Joe Begos ci propone un'ennesima riproposizione del vampirismo, declinandola in un'ottica particolarmente vicina a quella della gioventù contemporanea: la vera carnefice di Dezzy è Dezzy stessa, divorata all'interno dalla sua ambizione e dal terrore di fallire, dal terrore di non essere all'altezza persino quando il termine di paragone è il proprio passato.

 

Disponibile gratis con pubblicità su Rakuten TV  

 

[A cura di Lorenza Guerra  

 



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