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8 videogiochi che meritano un adattamento al cinema o in TV

Il videogame è diventato un mezzo narrativo importante e si prepara a invadere cinema e TV, ma quali titoli vorrei veder trasposti? 

I videogiochi sono destinati a fare parte della prossima grande wave di trasposizioni di proprietà intellettuali nel Cinema e nella televisione.

 

Chi segue Sul Divano di Ale le mie scorribande e i miei sragionamenti riguardo cinema e TV, sente ripetere questa litania da mesi.

A darmi ragione ci sta pensando il tempo. 

 

In lavorazione, mentre scrivo questo pezzo, abbiamo l’adattamento HBO di The Last of Us, una serie TV dedicata a Twisted Metal, la produzione della seconda stagione di The Witcher - prima libro e poi videogioco di successo - una serie di progetti Netflix dedicati ad Assassin’s Creed, il film di The Division, la pre-produzione di Metal Gear Solid e del sequel di Sonic, la produzione di Borderlands su regia di Eli Roth e poco tempo fa è arrivato il trailer del reboot di Mortal Kombat - senza contare che il film su Uncharted con Tom Holland è ora in post produzione.

 

Signore e signori della giuria, ci sono abbastanza prove o devo portare altro?

 

 

[Anche Beyond Good and Evil sembra uno dei tanti progetti discussi da Ubisoft con Netflix e l'adattamento sembra imminente]

 

 

Il mondo dei videogiochi sta per conquistare il Cinema e la televisione, anche se non è certamente nuovo a tali incursioni e molti di voi si chiederanno: perché hai pensato proprio ora fosse il momento giusto?

 

Analizziamo la questione.

 

I videogiochi, così come i fumetti, sono stati per lungo tempo un passatempo per nerd e i nerd, all’epoca, erano reietti da chiudere negli armadietti dei licei americani o da picchiare con mazze da carnevale riempite della qualunque in quelli italiani. 

I nerd erano ghettizzati, stigmatizzati e i loro passatempi, come i videogiochi, erano roba per sfigati rinchiusi in casa e capro espiatorio di ogni male del mondo da parte della TV generalista e delle mamme la cui unica punchline recitava “I bambini! Perché nessuno pensa ai bambini!”.

 

Con il passare del tempo i videogiochi sono cresciuti esponenzialmente, sia come mezzo narrativo che come medium d’intrattenimento.

 

Da un lato della medaglia abbiamo un nuovo linguaggio, il cui scopo primario è quello di essere ludico e la cui evoluzione è riuscita a portare un bilanciamento e una ricerca tecnica tale da portare attori e doppiatori professionisti a indossare tute mocap - o semplicemente doppiare - per recitare vere e proprie sceneggiature.

 

 

[Willem Dafoe ed Elliot Page impegnati nel mocap di una scena di Beyond: Two Souls]

 

 

Non sono pochi i grandi nomi. 

 

Norman Reedus, Mads Mikkelsen, Léa Seydoux, Margaret Qualley, Kiefer Sutherland, Elliot Page, Willem Dafoe, Keanu Reeves, Kevin Spacey, Charles Dance, Kit Harrington, Liam Neeson, Rami Malek, Samuel L. Jackson, Jeff Goldblum sono solo alcune delle star che hanno recitato per i videogiochi. 

 

La narrazione si è evoluta e già nel 1998 con Metal Gear Solid il gaming educava i giocatori alle terribili conseguenze della guerra, avvertendoli sui pericoli del mostro nucleare e sensibilizzando la figura del soldato, allontanandola da bicipiti sudati e avvicinandola invece all’immagine decadente del guerriero leggendario perseguitato dai fantasmi delle proprie imprese, intrappolato nell’ambra di un tempo ormai passato.

 

I videogiochi diventano quindi un mezzo di espressione equiparabile al Cinema, ma dotati dei tempi e degli spazi di una storia molto più ampia, utilizzando altri espedienti per raccontare, superando di gran lunga, anche con le sole cutscene, il minutaggio di un film.

 

L’altra faccia della medaglia è quella a rendere il medium unico: la parte ludica. 

I game designer e i game director hanno cominciato a camminare a braccetto a volte diventando un'unica figura, unendo elementi di gameplay, quindi la parte ludica, allo storytelling, dando al giocatore controllo della scena, impattando gli eventi e in linea generale ideando un sistema a costruire una forte empatia tra protagonista e giocatore.

 

Quest’ultimo era artefice e vittima di quanto raccontato, quandi portato in molti casi ad approcciare la parte ludica attraverso del roleplay, approcciando la scena secondo una propria interpretazione morale su come il personaggio potrebbe agire in quella situazione.  

 

 

[Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots detiene il record per una cutscene di 71 minuti filati; per fortuna hanno inserito il tasto 'pausa']

 

 

Grazie all’enorme evoluzione tecnica e al crescente successo del medium, i videogiochi hanno accresciuto la loro utenza, soprattutto grazie all’apertura offerta dal mercato delle console casalinghe scardinando la costosa nicchia del gaming su PC per aprire le porte a un pubblico più vasto.

 

Oggi il gaming è l’industria che per fatturato ha superato Cinema, televisione e musica, indipendentemente dalla pandemia, considerando come questa abbia fortemente impattato molti piani di sviluppo e di distribuzione.

 

Questa crescente popolarità dei videogiochi è, in parte sfortunatamente, il motivo dell’organico interesse da parte dei produttori - il fatto che ci si accorga del valore di qualcosa unicamente per motivi economici, è artisticamente degradante.

Un bacino d’utenza così largo da divenire ormai fenomeno pop, parte della cultura comune, non può essere ignorato da Hollywood tanto quanto non poteva essere ignorato il mercato del fumetto.

 

Continuando i parallelismi tecnici con il fumetto, le trasposizioni dei videogiochi ora sono diventate possibili grazie anche a uno sviluppo tecnico dei VFX al Cinema e in TV molto più evoluto e oggi è possibile, in entrambi i campi, evitare imbarazzanti risultati di messa in scena.

 

Ricordiamo tutti lo Spider-Man televisivo tanto quanto il film dei Fantastici Quattro di Roger Corman.   

 

 

[Il Fantastici Quattro di Roger Corman è un mito del Cinema e un cult per molti fan del genere, per i quali è addirittura il migliore mai fatto sul gruppo]

 

Il lato tecnico è però solo una parte del problema poiché i videogiochi, prima dell’evoluzione avvenuta nell’arco degli ultimi 20 anni o poco più, erano popolati da titoli di puro intrattenimento ludico, privi quasi di qualsiasi elemento narrativo.

 

Lo stesso Mortal Kombat, quello più papabile per una trasposizione, è un torneo di arti marziali tra diversi regni: di narrativa, oltre a quello, non c’è altro. 

 

Doom, Street Fighter, Sonic, Super Mario, Far Cry (ovviamente il primo), Need For Speed, sono alcuni dei titoli che hanno avuto una trasposizione al cinema e che alla base non avevano davvero molto da dire, contrariamente alla wave di nuove IP che ora domina il mercato e che, come anticipato sopra, hanno già una trasposizione in lavorazione o stanno per averne una.

 

Sia chiaro, in passato sono esistiti titoli di videogiochi sui quali era possibile costruire una bella trasposizione, come la saga di Resident Evil, quella di Monkey Island o Silent Hill ma, sfortunatamente, la mancanza di riconoscimento di popolarità da parte delle major di Hollywood ha affidato alcune trasposizioni ad incapaci di livello assoluto, armati di un budget risicato e di una totale ignoranza rispetto al materiale di partenza - esattamente come avveniva con i fumetti.

 

La mancanza di un mercato all’orizzonte ha sempre declassato le operazioni relative a queste opere come roba di poco conto e, come sempre, il tempo è stato galantuomo, schiaffeggiando in faccia con un guanto bianco l’incompetenza cieca dei produttori di Hollywood.

 

In questa Top 8 lo scopo è quello di fantasticare sulle trasposizioni di videogiochi, non già in sviluppo, che vorremmo tanto vedere sullo schermo, cercando di giocare con il chi e il come queste potrebbero avvenire.

 

Fate bene attenzione a una delle posizioni, poiché l'imprevedibile Adriano Meis ha messo il suo zampino in una di queste: chissà quale videogioco lo ha colpito talmente tanto da volerlo vedere sul grande schermo.

 

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Posizione 8

The Legend of Zelda

Nintendo, 1986

 

Parlare di The Legend of Zelda a chi non ha mai giocato un videogioco lo trovo estremamente difficile.

A volte è complesso farlo a chi videogioca ma non ha mai messo mano sull’avventura Nintendo.

Proviamoci.

 

La serie racconta le avventure di Link un guerriero nel regno di Hyrule o in giro per questo mondo fantastico composto da ocarine magiche, leggende antiche, presenze maligne ataviche e ogni sorta di elemento fantastico che possa dare via a una travolgente avventura.


The Legend of Zelda è riconducibile all’idea di avventura, quella stessa idea che ha spinto decine e centinaia di romanzieri a scrivere di pirati, avventurieri e che ha portato Shigeru Miyamoto a tradurre le fantasie immaginate da bambino nel giardino di casa sua, in una serie videoludica che dura con successo dal 1986.

 

Giocare The Legend of Zelda significa tornare a sognare, calarsi in un mondo fantastico dove la fantasia di un bambino è sorretta ed elevata dall’immaginazione di una sovrastruttura di artisti che si estende dall’ambito videoludico fino a quello musicale - basta ascoltare il tema di The Legend of Zelda per capire di cosa si sta parlando.   

 

Se dovessi immaginare un adattamento vorrei fosse dello Studio Ghibli o di un regista a capo di uno studio di animazione capace di tradurre lo stupore, la magnificenza e la magia di una saga come quella di The Legend of Zelda sullo schermo - anche Mamoru Hosoda non dispiacerebbe.

 

Vorrei parlasse di amore, coraggio, lealtà, onore, di animi puri e mali atavici, vorrei fosse una fiaba fantasy dove i pilastri che compongono il lato migliore dell’animo umano siano le fondamenta a sorreggere una storia magistralmente animata, confezionata per il pubblico di fan grazie a uno sforzo immaginifico superbo, riportandoci tutti bambini, persi nei sogni fantastici di The Legend of Zelda.

 

L’unica nota dolente sarebbe non avere la possibilità di un cameo del buon Robin Williams, che chiamò sua figlia Zelda non per Zelda Fitzgerald, ma in onore della principessa del videogioco.

 

Posizione 7

Star Fox

Nintendo, 1993    


Star Fox è il secondo titolo Nintendo di questa classifica e, anche se uno scambio di tweet tra Gary Whitta e Raf Grassetti - rispettivamente sceneggiatore di Rogue One - A Star Wars Story e art director di Sony - ha fatto sorgere la volontà di scrivere una sceneggiatura per l’IP, non vi è al momento alcun progetto per un adattamento che sarebbe perfetto come film d’animazione.

 

Star Fox racconta le avventure di una squadra di piloti spaziali capitanata da Fox McCloud

Come suggerisce il titolo e il nome del leader del gruppo, nell’universo di Star Fox i protagonisti sono animali antropomorfi.

 

Vorrei un adattamento di Star Fox perché sarebbe una perfetta saga per famiglie a discostarsi dal filone proto-Pixar, emulato anche da Dreamworks e compagnia animante, poiché come già anticipato con The Legend of Zelda in tutto questo mare di animazioni moralmente educative manca sempre l’apporto della componente fantastica d’avventura, quel tipo d’intrattenimento d’azione che si rende necessario per dare dei veri e propri eroi ai bambini, trascinandoli altrove.

 

Star Fox potrebbe essere un magnifico esempio di come si possa fare avventura senza didascalicamente rincorrere dei messaggi educativi ma, in tutta franchezza, non saprei a chi affidare la regia di questo progetto.

 

Aiutatemi voi.

A chi dareste Star Fox?

Sappiate che rispondere James Gunn non vale.  

 

Posizione 6

Half-Life

Valve, 1998

 

Il titolo creato da Valve nel 1998 è un meraviglioso esempio di come un team di sviluppatori ha saputo unire magistralmente narrativa e gameplay.

 

Quello che è affascinante di Half-Life è il potere di utilizzare la lore, ovvero la narrazione indiretta fatta dagli elementi del mondo di gioco, come parte di mistero, bilanciandola saggiamente al racconto, per dare fascino alla storia.

 

Il protagonista è silenzioso, non ha una riga di dialogo e viene riempito dal giocatore, ma nel mondo di Half-Life, soprattutto nel sequel, diventa figura leggendaria e la storia viene passata grazie a una mescolanza di storytelling fatto indirettamente attraverso il dipanarsi dell’universo di gioco e le azioni, fatte e subite, del giocatore, e il più classico racconto attraverso le interazioni con i comprimari.

 

Nel Cinema, o forse ancora meglio in televisione, si potrebbe riuscire a dare una forma a questo eroe silenzioso raccontando prima l’incidente di Black Mesa e la lotta di Gordon Freeman per sopravvivere, basando tutto su Black Mesa, e successivamente aprire il mondo alle conseguenze dell’incidente, con la caduta della terra sotto un regime dittatoriale distopico extraterrestre.

 

Ci sarebbe occasione di approfondire tutto quello che il videogioco non dice, snodando ulteriormente le vicende di Alyx e dei comprimari.

Come si è formata City 17?

E la resistenza? 

Come funziona il mondo perduto di Half-Life?  

 

Un adattamento di Half-Life necessiterebbe un regista abile nella gestione dei VFX, delle trame dal sapore fantapolitico e di setting sci-fi e credo che Neill Blomkamp sarebbe assolutamente perfetto.

 

Posizione 5

Legacy of Kain: Soul Reaver

Crystal Dynamics, 1999 

 

Nel 1999 arriva su PC e PlayStation Legacy of Kain: Soul Reaver, seguito di Blood Omen: Legacy of Kain, donando ai giocatori una trilogia dedicata a una faida vampiresca che ancora oggi è un fenomeno di culto per i videogiocatori di tutto il mondo.

 

Il titolo sviluppato da Crystal Dynamics rappresenta uno dei primi tentativi di dare un impianto narrativo più evoluto e strutturato a un videogioco.

 

Soul Reaver racconta le vicende della terra di Nosgoth, piegata da Kain, un vampiro che ha ucciso i suoi pari, parte dei nove pilastri che reggono l’equilibrio del regno.

Una volta scoperto di essere il nono pilastro e di dover uccidere se stesso per ristabilire l’ordine, decide invece di guidare i suoi guerrieri vampiri alla distruzione di Nosgoth, decimando il regno degli umani.  


Il giocatore è invece nei panni di Raziel, uno dei suoi generali, ucciso per pura gelosia da Kain e gettato nel Lago dei Morti, nel quale risiede un dio antico che decide di riportarlo in vita per uccidere Kain e ristabilire l’ordine.   

 

Soul Reaver, nell’arco di tre capitoli, racconta una storia affascinante, andando in una direzione inedita rispetto ai medium più convenzionali nella rappresentazione della figura del vampiro e del suo mito.   

 

Da Dracula a Solo gli amanti sopravvivono, passando anche per molte altre interpretazioni del personaggio, il vampiro funziona, che sia per orrore o per romantiche interpretazioni, a pieno appannaggio di storie umane, incastrate in una manciata di canovacci.   


Soul Reaver elimina praticamente del tutto l’essere umano e rende il vampiro e la sua dimensione mitica il protagonista totale.

In una certa compagine diventa un dramma cavalleresco shakespeariano, dove il fantasy si traduce in equilibri naturali e magie, divinità ataviche e intrighi di potere tra esseri il cui unico scopo è quello di controllare il proprio destino, anche egoisticamente, rifiutandosi di piegarsi al fato.

 

Soul Reaver sarebbe una meravigliosa trilogia vampiresca e l'occasione per sviluppare un mondo fantasy praticamente inedito, con una struttura narrativa avvincente.

 

Diamo una dimensione fresca al vampiro.

Rendiamolo shakespeariano, mettiamolo a confronto con le brame di potere, la gelosia, la violenza più pura e cruda - presente nel titolo, soprattutto quando si affrontano gli umani - e romanziamolo con le morali filosofiche del fato e delle suggestioni più ataviche.

 

A chi darei questo film?

 

Forse al talento visivo di David Lowery.

 

Posizione 4

BioShock

Irrational Games (2K Boston), 2007


Sviluppato da Irrational Games, seguendo la guida del creative lead Ken Levine, BioShock, ambientato nel 1960, racconta la discesa di Jack nell’utopica cittadina subacquea, Rapture.

 

Costruita dal magnate Andrew Ryan, il sogno di una civiltà migliore portata avanti dall’ADAM - una sostanza in grado di alterare la genentica degli individui conferendo loro poteri sovrumani - è diventato una distopia, un incubo popolato da assassini psicotici dominato dalla loro sete per la sostanza.

 

Il titolo è caratterizzato da un’estetica molto affascinante e da umori orrorifici mescolati alle filosofie utopistiche e distopiche di pensatori quali George Orwell e Ayn Rand.

 

Ken Levine nel costruire la narrativa di BioShock ha portato ai giocatori non solo un mondo affascinante e al tempo stesso terrificante ma anche una feroce critica alla nostra società e con BioShock: Infinite, spostando il tutto dalle profondità marine a una città volante, ha evoluto i propri temi, attaccando la religione e i fanatismi degli estremismi politici che dominano la nostra società.

 

Una critica che ha portato addirittura a proteste interne alla compagnia, spingendo alcuni sviluppatori a licenziarsi dopo aver terminato la loro parte del progetto.

 

L’adattamento di BioShock, in realtà, era entrato in produzione per la regia di Gore Verbinski, ovviamente concentrato sull girare una storia Rated R considerando i temi trattati, ma i tempi non erano maturi e i produttori, a sei settimane dalle riprese, cancellarono tutto anche per via del budget richiesto per la costruzione del set.

 

BioShock a mio avviso sarebbe una grandiosa opera cinematografica e onestamente, più che a Gore Verbinski, affiderei il progetto al buon Guillermo del Toro, molto più a suo agio con le arie orrorifiche del titolo tanto quanto con il lato morale e il cuore emotivo della vicenda.

 

Posizione 3

Bloodborne

FromSoftware, 2015

 

Il game director Hidetaka Miyazaki, a capo del team dietro lo sviluppo di FromSoftware, con Bloodborne ha creato uno dei titoli di più ampio successo degli scorsi anni.

 

 

Un titolo caratterizzato da una forma ampiamente ispirata agli incubi di H.P. Lovecraft e alla poetica gotica di Bram Stoker, per raccontare la lotta del protagonista contro una piaga che ha trasformato in mostri i cittadini di Yharnam.

 

 

Bloodborne è uno di quei videogame nei quali il comparto ludico è molto più preponderante di quello narrativo, eppure in questo caso abbiamo un design talmente ispirato e da incubo da essere rimasto nel cuore dei videogiocatori.

 

 

Cupo, gotico, a tratti anche disgustoso, se fosse un film Bloodborne dovrebbe probabilmente concentrarsi sullo sviluppo di una storia un po’ più quadrata, che renda l’azione molto più posata e meno frenetica, concentrandosi ampiamente su un impianto visivo e di messa in scena orrorifico.

 

 

Bloodborne, in quanto opera ambientata in una sorta di Europa pre-industriale di stampo fantastico e fortemente influenzata dagli umori di H.P. Lovecraft, sarebbe forse perfetto per un poeta dell’orrore come Robert Eggers.

 

Posizione 2

Death Stranding

Kojima Production, 2019

 

Nel 2019, a quattro anni di distanza dalla conclusione del rapporto fra Hideo Kojima e Konami, il papà di Metal Gear presentò al mondo la sua nuova, meravigliosa e stupefacente creatura: Death Stranding.

L’accoglienza da parte del popolo videoludico e della critica si spaccò a metà: da una parte estimatori entusiasti che considerarono l’opera di Kojima come semi-rivoluzionaria, dall'altra detrattori tanto violenti quanto ottusi che si lagnarono delle dinamiche di gioco “povere di azione” e sprezzantemente bollate come “da walking simulator”. 

Come spesso accade nelle opere del geniaccio nipponico, anche Death Stranding è ambientato in un “futuro non troppo lontano” in cui il mondo è stato devastato dall’incoscienza, dall’avidità e dall’incuria dell’uomo.

Un cataclisma metafisico oscuro e misterioso - il Death Stranding, per l’appunto - ha devastato il pianeta Terra, modificando le dinamiche fisiche, metafisiche e metereologiche che lo regolano, la sua geomorfologia e, soprattutto, i rapporti fra le persone che vivono isolate, separate fra loro, in futuristici bunker sotterranei al riparo dalle avversità di un mondo al collasso.

Negli ex-Stati Uniti d’America si muove il nostro protagonista, Sam Porter Bridges, un corriere appartenente a una delle tante corporation che si occupano di collegare le persone, consegnando generi di prima necessità - e non solo - da un rifugio all’altro.

Lo scopo di Sam, da lui accettato con riluttanza, è quello di riconnettere gli USA vincendo la diffidenza e l’indifferenza dei sopravvissuti, dando loro una speranza per un futuro migliore e (apparentemente?) duraturo, evitando l’Estinzione Finale. 

A complicare la vita all'instancabile corriere ci sono una serie di difficoltà tutte collegate allo Stranding: le cronopiogge - un nuovo fenomeno metereologico che accelera il deterioramento di materiali (organici e non) che investe - le Creature Arenate (o CA), gli spiriti dei morti rimasti incastrati al nostro mondo; fazioni di terroristi che desiderano il disgregamento dei popoli della Terra o generici folli “malati di lavoro” che bramano i beni materiali che Sam consegna da un posto all’altro. 

Death Stranding - fondendo epica, metafisica, analisi sociale, esoterismo ed esistenzialismo con classe e cura maniacale - è un gioco che “parla” al suo fruitore, muovendolo verso le idee di spiritualità, condivisione, viaggio, socialità positiva, sostenibilità e approccio costruttivo.

Il genio di Kojima tesse una storia - solida, potente e poetica allo stesso tempo - costruendole attorno un universo narrativo sterminato e dotato di proprie regole, esaltando la bellezza dell’arte creata dall’essere umano, criticando le folli politiche delle nazioni mondiali, parlando di etica e di morale ma senza avere la presunzione di segnare la linea di demarcazione fra “bene” e “male”, un po’ come avviene nel Cinema del Maestro Hayao Miyazaki.

 

Il cast scelto per la motion capture dei personaggi è pari - se non superiore - a quello di una produzione cinematografica di livello assoluto: oltre al protagonista Norman Reedus (noto ai più per il ruolo di Daryl in The Walking Dead), troviamo i registi Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn e attori come Mads Mikkelsen, Léa Seydoux, Margaret Qualley e Lindsay Wagner.

Death Stranding è un’opera che prova (e a mio avviso per ampi tratti riesce) a trascendere il concetto di “videogioco”, protendendosi prepotentemente verso il “Cinema alto” e la dissertazione filosofica. 

La cura estrema della sceneggiatura tratteggiata da Kojima - in accordo con una colonna sonora sublime, una fotografia sbalorditiva e un design ambientale visionario - ci consegna una produzione che è già una sorta di “film giocabile”, come testimoniano le 11 ore di cinematiche narrative.

Proprio per questi motivi, trasformare Death Streanding in un film potrebbe sembrare un procedimento non necessario, se non addirittura deleterio.

Eppure l’idea di far arrivare questo concept perfetto anche ai "non-gamer” sarebbe un semplice atto di bontà e giustizia verso un mondo che necessita sempre più di opere che stimolino il cervello attraverso la bellezza e il ragionamento.

 

“L’estinzione non è la fine. È un’opportunità”.

 

Vista la natura del progetto, forse, l'autore più adatto per la regia potrebbe essere Alfonso Cuarón.

Se fosse possibile, anche lo stesso Kojima potrebbe fare un buon lavoro.

Viste le sue ambizioni e i suoi precedenti artistici non è assurdo pensare che - prima o poi - lo vedremo dietro la macchina da presa.

E chissà che non sia proprio per l'adattamento di Death Stranding.

 

Posizione 1

Control

Remedy Entertainment, 2019 

 

Control ha generato per Remedy, una software house finlandese molto famosa ma anche molto piccola, un guadagno stratosferico e un ritorno di critica e pubblico invidiabile.

 

Il titolo racconta la vicenda di Jesse Faden, una donna dotata di poteri telepatici e telecinetici, alla ricerca del fratello scomparso condotta alla Oldest House, edificio apparentemente normale ma dalla struttura senziente, invisibile nella sua vera natura ai cittadini di New York.

 

L’edificio è sede del Federal Bureau of Control, ente governativo incaricato di indagare e contenere oggetti al centro di attività paranormali, identificati come “oggetti del potere”

 

La stessa Oldest House è però sotto un non ben precisato attacco paranormale e Jesse si ritroverà a capo del Bureau, trasformando quindi una normale giornata di lavoro in qualcosa di molto più spaventoso.

 

Il titolo è caratterizzato da una struttura narrativa affascinante: l’edificio che fa da mappa di gioco, la Oldest House, è stato creato seguendo l’architettura brutalista e nel suo design volutamente imponente e destabilizzante troviamo anche la precisa volontà di rendere tutto labirintico, riflettendo l’idea che il palazzo sia un’entità senziente.

 

Per darvi un eseempio: dopo aver mosso i primi passi dentro il Bureau sarà impossibile tornare indietro perché una parte dell’edificio scompare, cambiando totalmente la planimetria dell’ingresso che, da quel punto in poi, si ricollega a una differente parte della mappa di gioco.

 

Control, per via della sua narrativa accattivante, delle chiare ispirazioni al mondo di David Lynch e più in generale del movimento New Weird - evoluzione della weird fiction che ha generato, tra le tante cose, Ai confini della realtà - potrebbe essere una serie TV limitata di grande impatto, portando lo spettatore tra le pieghe di una storia assurda.

 

Credo che Control avrebbe il potenziale per generare una serie evento polarizzante, la cui forza risiederebbe in una narrativa che non ha spiegoni ma che anzi si fonda sull’idea di piegare continuamente le convinzioni dello spettatore, trascinandolo di episodio in episodio nei meandri della Oldest House, per perdersi nei discorsi di Ahti, criptico inserviente nonché presenza insondabile, e negli inconcepibili avvenimenti scaturiti dagli oggetti del potere.

 

Una serie tra David Lynch, Charlie Kaufman e Denis Villeneuve.

 

Vorrei vederla adesso, perché di alieni e assassini inizio ad averne abbastanza.

 



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