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La purezza iconografica di Daredevil: perché lo show Marvel/Netflix supera i cinecomic

Come e perchè la tv ha saputo sfruttare un personaggio estromesso dal disegno Marvel.

Venerdí 19 ottobre 2018. Mattina.

La voce, dolce e un po' roca, tipica del risveglio mattutino, di mia moglie, mi regala un buon risveglio.

Da qualche settimana ho rinunciato a farmi controllare i cicli di sonno dalla app sul mio smartphone.

 

 

Il rapporto si è rotto dopo circa un anno. Il mio sonno non é migliorato e nonostante l'utopistico obiettivo dell'app sia quello di usare i cicli di sonno per agevolare un risveglio meno traumatico, continuo a odiare il suono della sveglia.

Il terrore notturno ogni tanto si riaffaccia.

 

I miei sogni, da qualche settimana, sono diventati piú vividi. Lo sono sempre stati.

 

 

Continuo a indossare il bite per il bruxismo. Altro regalo dello stress e delle cose che dovrei smettere di fare.

Ogni tanto trovo un po' di sangue.

Un sangue diverso da quello che ero solito trovare nel bite che mordevo sul quadrato.

 

 

Mi siedo sul letto, mentre lei si prepara a tentoni per andare a lavoro.

I muscoli sono di marmo.

Posso sentire le fibre tirare e stirarsi, protestando lungo le spalle.

Quando piego troppo le gambe mi arrivano tutte le promesse dei crampi. Ieri mi sono allenato.

Avevo un po' piú rabbia del solito.

Schiumavo, appesantito dal sudore che impregnava gli strati di vestiti, reso instancabile dalla forza oscura della cattiveria.

 

 

Non mi sono fermato quando le gambe hanno messo in chiaro che non avevano piú intenzione di girare.

Non ho tenuto i colpi quando le nocche hanno iniziato a pulsare sotto i bendaggi stretti.

I guantoni logori sono diventati piú sbruffoni verso l'avversario invisibile nascosto nel sacco, anche se i polmoni bruciavano, mentre l'istinto cresciuto con l'allenamento, il tipo d'istinto che ti salva sempre, faceva respirare il corpo come si deve.

Mi sono fermato solo quando ha suonato la campanella dell'ultima ripresa.

 

 

Prendo un respiro e mi alzo facendo tutti i movimenti necessari, ignorando i dolori resi acuti dalla stanza umida; l'ingegneria civile non è il vanto della Repubblica Irlandese.

Il cappotto è caldo e dà un po' di conforto alle ossa.

Esco nel freddo di un normale ottobre irlandese.  

 

Stacco.  

 

Avanti veloce fino a sera.  

Sono le 18.45, mi siedo in una sala cinematografica, spiluccando un enorme sacchetto di popcorn e una vaschetta di tacos al formaggio.

Accanto a me, mia moglie. Lei mi chiede che film stiamo per vedere.

Io faccio spallucce.

So che è di Drew Goddard.

So che alcuni lo hanno giá paragonato a Quentin Tarantino senza spiegare perché; mentre io, dopo la visione, mi scopriró a domandarmi se questi nuovi recensori hanno mai visto un film girato prima del 1993 o se hanno mai letto un libro di Agatha Christie, classe 1890.  

 

Torniamo a casa.

Fa freddo.

Non ceniamo.

Le porcate troppo costose del multisala sono piú che abbastanza.

Dopo una doccia calda guardo la notifica sull'ipad.

Netflix mi avvisa che Daredevil è tornato.

Sorrido e un po' mi inorgoglisco per quelle mani che fanno ancora un po' male.  

 

Stacco  

 

Siamo sul divano di casa mia e io ho di nuovo tredicianni.  

 

TREDICI ANNI.  

 

Stacco  

 

Int. Giorno. Casa al Mare.  

 

Siamo in un flashback.  

 

Cammino annoiato nel grande giardino della casa al mare in Sicilia.

È pomeriggio, subito dopo pranzo.

Tutti dormono.

Io frugo in giro, come ho fatto milioni di volte prima.

Come se potessi trovare qualcosa di nuovo.

 

 

Una doppia anta della libreria apre il mondo a una collezione di fumetti Editoriale Corno.

È il nome della casa editrice che portava in Italia i fumetti della Marvel.  

Leggo tutti i primi 200 e passa numeri de L'Uomo Ragno.

Poi passo a quelli di Devil, L'Uomo Senza Paura.  

 

L'UOMO SENZA PAURA.  

 

Un concetto potente.  

 

I fumetti hanno un linguaggio desueto anche per me.

Ingenui, troppo, anche per me.

Eppure ne apprezzo la teatralitá, la ricerca spasmodica, fruttuosa, di avventure emozionanti.

Nessuno voleva essere adulto.

Sono adulti che scrivono per ragazzi, per il pubblico di riferimento dei fumetti.

 

 

Scrivono drammi con temi adulti, ma per ragazzi.

Scrivono storie di coraggio e responsabilità.

Scrivodo d'ideali e di eroi.

Scrivono di un UOMO SENZA PAURA.  

 

Suo padre era un pugile.     

 

Il padre del Diavolo di Hell's Kitchen era un pugile e suo figlio, l'UOMO SENZA PAURA, ha portato con sé quell'ideale, facendone un motto personale e un simbolo: Daredevil, che in inglese sta anche per "scavezzacollo", un uomo senza paura, per l'appunto, e lo usano anche per indicare gli stuntmen o quei folli che saltano file di macchine demolite in sella a una moto.

La corda che stringe tra le mani, quella che usa per combattere e muoversi tra i palazzi, è una corda da pugile.

I calzoncini del suo costume sono da pugile.

Combatte come un pugile.

 

 

Ha la morale di un pugile e per questa ragione può dirsi senza paura, perché quando sei sul ring, la paura è una cosa che combatti, gestisci, usi a tuo vantaggio, conscio di essere impegnato in una battaglia con te stesso e con un avversario altrettanto allenato, folle e senza paura.

Non si arrende mai.  

 

Da grande voglio essere un Uomo Senza Paura.  

 

Stacco  

 

 

 

 


Introduzione lunga.

Introduzione meticcia.

Spero mi perdoniate se la grammatica non è quella del romanzo e nemmeno quella della sceneggiatura, della scrittura per immagini.

Ho volutamente ibridato le cose poiché scrivo dal divano per parlare di TV, che non è più propriamente TV in quanto streaming, di una serie che viene da un fumetto, diventando cinecomic ma non proprio.

Le mescolanze e le influenze, quando sono ben congegnate, mi piacciono.  

 

Ed è da questo calderone di spunti, da questo divano, che oggi vi parlo di Daredevil e della sua importanza iconografica in TV e della trasposizione da fumetto schermo.  

 

Nella mia introduzione cerco di spiegare, attraverso un racconto per sensazioni e immagini, cosa significa per me l'esperienza del fumetto e di come questa viaggi di pari passo con il concetto di mito e di come abbia influenzato la mia vita.  

 

Daredevil è un personaggio che ho iniziato ad apprezzare più tardi, rispetto ad altri.

Verso l'adolescenza, leggendo i primi duecento numeri distribuiti dalla Corno, iniziando ad affezionarmi al personaggio.

Un rapporto che diventa viscerale, che mette in moto una serie di rimandi cognitivi che iniziano dall'odore della carta ingiallita e si fanno strada lungo il profumo del mare, la salsedine sulla pelle e tra i capelli, il sole caldo e il profumo della terra scaldata dal sole e dei gelsomini.  

 

Quello che mi ha sempre affascinato dei supereroi, e che credo sia il cuore di questi personaggi, è il mito dietro la loro genesi.

Ogni personaggio in calzamaglia ha sempre avuto un motto o un nome di battaglia, associato al nome. 

Quelli Marvel lo riportavano a lettere cubitali sulla testata, nutrendo così le storie di quei simbolismi, giocando con le trame e le dietrologie.  

Questa peculiarità è pilastro portante della leggenda narrativa dell'epoca d'oro del fumetto.

Un tipo di narrazione per ragazzi dai toni drammatici e teatrali.

 

Fin dai disegni delle stupende copertine che rimandavano alle locandine del cinema, spettacolarizzando e premettendo meraviglie, accrescendo l'aspettativa rispetto a quello che si sarebbe trovato nell'albo.

Sarò forse un idiota retromane e nostalgico, non importa, ma quelle copertine erano me-ra-vi-glio-se.

Pose plastiche e dramma teatrale.

Se Shakespeare avesse avuto il lusso di un passatempo, quei fumetti gli sarebbero piaciuti, ne sono certo.  

 

Devil, come veniva chiamato prima che Marvel globalizzasse il brand, inglesizzando ogni testata in tutto il mondo, era L'Uomo Senza Paura.

Ora, The Man Without Fear.  

 

Il solo concetto di un uomo senza paura, è potente.

L'immagine di questo eroe che non teme nulla e si getta dalla cima di grattacieli titanici, armato dei suoi sensi sovrumani e di un bastone rampino, contando sulla sua preparazione atletica, portando, come nell'antica Grecia, o come nel disegno dell'uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci, il culto della perfezione del corpo umano, al suo massimo.

Un super uomo senza essere davvero super.

Un uomo menomato che ha fatto forza della sua condizione, grazie a una situazione oltre il suo controllo.  

 

Devil, poi, era figlio di un pugile.

Cresciuto nel peggior quartiere di New York.

Un emarginato degli emarginati.

L'ultimo degli ultimi.

Un combattente per necessità, eredità e indole.

Divenuto avvocato per amore della giustizia e vigilante per lo stesso principio, conscio di dover andare oltre dove le falle della natura umana, che sfociano in corruzione e crudeltà, minano anche l'ideale di una giustizia CIECA.

Se qualcuno, nell'oscurità, stava operando per sbilanciare quel sensibile equilibrio, lui sarebbe stato lì, nel buio, a ristabilire l'equilibrio, a difendere gli ultimi degli ultimi da chi viene primo tra i primi con la forza e la prepotenza.

Con un pizzico d'ironia, sempre rispettando il principio secondo il quale è necessario giocare con la genesi e i suoi simbolismi, Matthew Murdock sarebbe stato incarnazione della giustizia cieca.  

 

 

 



Il mito di Daredevil, dell'Uomo Senza Paura, è potente anche nella sua ingenuità e preso in purezza è quanto di più interessante ci sia nel panorama fumettistico, aprendo spazi a tematiche ben più complesse.  

 

Nel corso degli anni, con il passare del tempo, con l'evoluzione della società, delle letture e delle interpretazioni, Daredevil, come altri eroi, è andato incontro a un declino.

Sono cambiati i significati, il mito è stato incupito e riscritto, cristallizzato in una routine un po' noiosa, poco eroica e retorica in tutti i sensi sbagliati.

Marvel aveva preso uno stilema narrativo che stava funzionando su altre figure, per farlo aderire anche su quella di un personaggio diverso.

La piangina di Peter Parker era diventata la piangina emo-dark di Matt Murdock.  

 

Quando l'eroe si è scollato dal suo archetipo, sviluppando altri temi, altri drammi teatrali e abbracciando punti focali ridondanti nel panorama fumettistico, si è perso nella folla.  

Arriva però Frank Miller.

Un tizio che se deve riscrivere le cose, le riscrive come si deve.

Matthew Murdock va all'inferno.

Il mito del diavolo viene riportato alla fase embrionale allo scopo di dargli una nuova interpretazione, riadattando ai tempi la lettura di un personaggio che si poteva aprire a nuove, e proprie, complessità e metafore.

 

Miller capisce che la decadenza dell'eroe, la fragilità dell’umanità spezzata di un tizio che decide di mettere un costume e spaccare gli zigomi dei criminali a mani nude, nella finzione come nella vita, è l'unica cosa che può dare una certa profondità tipica invece di caratteri moralmente complessi come sono generalmente i villain.

Born Again dà quindi occasione all'Uomo Senza Paura di riscoprire se stesso; sulla carta, come fuori, a livello concettuale e iconografico.

Uno stilema che molti hanno cercato di imitare e che si è, con il tempo, storicizzato nel cuore dei lettori, poi diventati autori, arrivando a generare cicli narrativi che mi hanno causato nuovi bruciori di stomaco; avevano appreso una nuova formula di piangina, traendo la lezione sbagliata dalla mitologia creata da Miller.

Nessuno è Frank Miller, tranne Frank Miller.  

 

Quando Daredevil, grazie a Drew Goddard e Netflix, è diventato realtà, il mio cuore rivestito di bendaggi griffati Leone, ha cominciato a scalpitare.  

 

Tradurre un fumetto a schermo, non è mai facile e alcuni personaggi sono più complessi di altri.

L'errore più comune è quello di sottovalutare così tanto il mezzo da arrivare a mettere in scena un'opera che, forse, solo un bambino molto ingenuo può apprezzare.

Lo so, perchè sono stato quel bambino.  

 

Stacco Flashback.

Anni '90.  

 

Ho circa 6/10 anni, lì da qualche parte.

Italia 7 Gold trasmette un film.

Un film de L'Uomo Ragno.

È favoloso.

Anche se le scene di combattimento sono mute e impacciate.

Anche se è chiaramente un prodotto degli anni '70 e io sono nato nel 1987 e tutti i limiti del caso sono già palesi.

Anche se non ha quasi nulla del mito fumettistico, ma è solo l'ennesima serie TV che si addentra in un territorio inesplorato.

Affinchè io possa realizzare tutte queste cose, deve trascorrere qualche anno.

 

Apprenderò anche che quei film erano episodi di una serie TV, di due stagioni, andata in onda negli USA, ma il cui scarso successo ha convinto la produzione a montare alcuni episodi in un unico film e distribuirlo per l’home video europeo.

Unici film.

C'è anche un Uomo Ragno che ragnoleggia in Cina.  

 

Stacco  

 

Da qualche parte esiste anche una prima comparsa sul piccolo schermo di Daredevil, ma mentirei se vi dicessi che l'ho vista da ragazzino.

Credo non sia mai giunta su uno schermo italiano.  

 

 

 

 

 

I cinefumetti migliori della storia sono quelli che capiscono l'importanza del mito, riuscendo, come Miller, a ricrearne i pilastri su un mezzo narrativo differente come quello del grande schermo, che non ha gli stessi spazi della serialità su carta e nemmeno di quella televisiva, dovendo obbligatoriamente sottostare a certi canoni di scrittura e messa in scena - o magari coniandone di nuovi e definendo un genere.

Gli esempi sono tanti.

 

Gli Spider-Man di Sam Raimi, Hellboy e Blade II di Guillermo del Toro, i Batman di Tim Burton, il Superman di Richard Donner e il Diabolik di Mario Bava - sì, camp, ma comunque un buon cinecomic e meglio di molti rigurgiti milionari della recente Hollywood.  

 

Il Daredevil cinematografico (quello del 2003, con Ben Affleck) rientra nella categoria di quelli che non hanno capito il cosa e il come, rifacendosi all'iconografia più moderna, quella da bruciore di stomaco, portando a schermo un eroe troppo ingenuo, stupidamente cupo e privo di qualsivoglia epica.

Basta battere forte su uno xilofono che Daredevil va giù come un broccolo.

Dimentichiamo il Bullseye estremamente sopra le righe.  

 

Quel film non funziona perché il mito del Diavolo di Hell's Kitchen non è ben costruito, non ha potenza, non è nemmeno filo Batmaniano, quello che forse avevano in mente di fare gli autori chiudendo Matt in una sorta di loft gotico, un Bruce Wayne con il 730 da avvocato pro-bono.

Quel Diavolo tradisce la sua stessa iconografia, la tela che intreccia il triangolo "Morte del Padre-Fisk-Daredevil" è, ancora una volta, troppo simile e troppo logora e superficiale, rispetto a quella, "Morte dei Genitori-Jack Napier-Batman".

 

I pilastri della sua nascita sono un po' delicati e questo Matt affronta una battaglia morale quasi borderline con quella di Frank Castle, allontanandosi dal Bruce Wayne di Burton, costruito benissimo e sfaccettato nella sua divisione schizoide tra Bruce Wayne maschera e il Batman presente quasi come vera personalità.

Anche l'incontro con Elektra sembra una semplificazione colorata e troppo 90's del ballo dei doppi Catwoman-Batman/Selina Kyle-Bruce Wayne.

Il film sembra quasi un remake in salsa Marvel del Batman burtoniano e, qualora non fosse chiaro, non si regge sulle gambe.

Mai.

 

L'idea d'incupire le cose per renderle adulte, nonostante l’aspetto caruccio di un piccolo punk sedicenne pruriginoso e arrabbiato con il mondo, fallisce miseramente se non è assistita da una stratificazione morale e narrativa a sorreggere i drammi del personaggio.

 

Ritorna quindi l'errore di semplificazione: fumetto = infantile.  

 

 

 

 

 

Tornando invece al presente, al genere dominante, ovvero i cinecomics del Marvel Studios, ben costruiti nell'intento posto da Kevin Feige, ovvero quello di creare un affresco narrativo unico, ibridando la narrazione seriale al cinema con quella fumettistica, credo si sia sollevato un nuovo problema: un universo impersonale, caratterizzato da brand e non da maschere - maschere non supereroistiche ma nel senso di personaggio n.d.r. .-  

 

Prendendo in esame il nuovo Spider-Man.

Risulta abbastanza chiaro come parte della potenza iconografica del suo carattere sia stata abbandonata, per pagare dazio all'Iron Man messo da Marvel al centro della creazione del suo tutto cinematografico.

Un dazio che non perdonerò mai.

Il mito del personaggio non c'è e sembra che la sua grandezza sia relativa, direttamente connessa e debitrice al personaggio di Tony Stark, ora deus ex machina dell'intero mondo.

Vogliamo tutti bene a Robert Downey Jr., alla sua rinascita fuori e dentro lo schermo, simile a quella di un eroe decaduto e alla struttura drammatica descritta poco sopra, ma sarebbe anche bene sfumare questa presenza ingombrante.  

 

I film sono diventati sempre più impersonali: il filo d'arianna, rosso come i calzoncini del topo, che collega tutti i brand è quello della leggerezza, dell'umorismo, del creare uguaglianza tra i miti, prestando bene attenzione a non rendere un brand più polarizzante dell'altro.

Un modo anche per continuare a portare la gente al cinema ad ogni singola uscita.

Black Panther, fino a 40 minuti fa, lo conosceva un gruppo sparuto di lettori accaniti e ha portato gente al cinema cavalcando le giuste onde e con la solita promessa di collegare un nuovo frammento al puzzle dello storytelling Marvel Cinematic Universe.

 

Altrettanto vale per Ant-Man, che persino mio padre, cresciuto con i fumetti Corno, ha detto,

"Ma dai su... è Ant-Man", e poi ha ridacchiato.  

 

In questo clima, il panorama Marvel Studios sembra non trovare spazio per i crociati, i Marvel Knights, men che meno per il figlio di un pugile cresciuto nel peggior quartiere della grande mela.

Se non è PEGI 12, non è cosa.

In questo clima, l'Uomo Senza Paura, il diavolo dal sorriso rosso e dalle nocche insanguinate, ha davvero poca speranza.  

 

Quanto il cinecomics standardizza e canonizza, quanto la serie TV Netflix prodotta da Drew Goddard prende aria, approfondisce e addensa.

Una delle ragioni per cui molti autori, sceneggiatori e attori, hanno deciso di spostarsi sul piccolo schermo: lo spazio per storie intense, una certa libertà d’inventiva allo scopo di descrivere le loro maschere.  

 

Daredevil, chiuso nel suo spazio streaming TV, è un Beautiful Crime, come cantava Tamer nella traccia usata per sponsorizzare la prima stagione.  

 

Matt Murdock sfonda il limite dello schermo dei nei nostri salotti usando la schiena di un mafioso est europeo come ariete.  

 

Drew Goddard, anche showrunner della prima stagione, consegna al pubblico di Netflix un eroe alle origini, in fase di crescita e scoperta, creando il mito dell'avvocato cieco di Hell's Kitchen, del vigilante mascherato, di Foggy Nelson e Karen Page, rimescolando le carte dei personaggi, ma mantenendo intatta la descrizione di un eroe di quartiere.

Daredevil non esiste ancora e l’intera prima stagione è una celebrazione della catarsi dell’eroe, assecondano quella legge secondo cui la grandezza dell’eroe, anche quando super, si misura in base a quella del suo villain.

 

Wilson Fisk, il Kingpin, ha la forza di un titano, dominando il piccolo schermo in ogni singola apparizione, un principe delle tenebre capace di maniere ed eleganti favori, un ultimo diventato primo tra i primi schiacciando ogni ostacolo, nutrendo la leggenda del suo alias nel sottobosco criminale, esibendosi poi nel più elegante dei suoi trucchi: convincere il mondo che non esiste.

Un cattivo magnetico, affascinante, dotato di un intelletto formidabile, di una dualità lynchiana palpabile, celata da un'apparenza ammaliante, il cui doppelganger, l’io Kingpin, esplode con una brutalità fisica e morale brutale.

 

Rimanere indifferenti al fascino del Kingpin è impossibile.  

 

 

 

 


Matt picchia.

Senza lasciare niente dietro di sé, sfoga con i suoi grugniti la rabbia del pugile e quando deve incassare, quando va a terra, non aspetta la carica dei suoi avversari, perseguendo il motto di suo padre, Jack “Battlin” Murdock,

"It ain't how you hit the mat. It's how you get up.".

[Non è il come vai al tappeto. È il come ti rimetti in piedi.]

 

Un’ideologia che l’american spirit conosce bene. Il mito dell’underdog che Stallone ha cucito su misura attorno alla figura del suo Rocky Balboa.  

 

Matt si muove come un ninja.

L’uomo mascherato, vestito di nero, niente più che una veloce ombra in un vicolo fumoso di Hell’s Kitchen.

Parla con la voce giù di qualche tono come faceva Michael Keaton impersonando Batman; pur non volerlo essere.

Si veste come si vestirebbe un vigilante di quartiere ed esercita le sue capacità di avvocato con la tragicomica forza di un Saul Goodman positivo.  

 

Daredevil diventa davvero potente quando la sua figura di ninja urbano vestito Decathlon si fascia le mani con della ruvida corda e si immerge in un verde corridoio che non ci porta al cospetto del Mago di Oz, ma certamente fuori dai confini americani per sbarcare sulla sponda coreana.

Un furbo piano sequenza ci porta alla corte di Park Chan-wook, e Drew Goddard mette in chiaro di amare Old Boy molto piú di Spike Lee.  

 

 

 



Daredevil porta il suo lato orientale, la sua subcultura del cinema action asiatico, come in televisione non si era mai visto e come in generale non si vedeva da tempo, mettendo in scena sequenze di combattimento dolorose ed estenuanti, sopra le righe e coreografate con un certo gusto.

Matt usa le pareti del corridoio come le corde di un ring, si sistema sulle gambe stanche molleggiando sulle ginocchia, utilizzando il contraccolpo per trovare la forza di alzare la guardia e dare gli ultimi colpi alla sua schiera di avversari; sequenze di combattimento altrettanto sopra le righe, anche se questo eroe è meno impacciato rispetto a quello di Old Boy.  

 

La prima stagione si chiude con la concretizzazione del mito, Daredevil costringe Wilson Fisk a diventare Kingpin, diavolo contro diavolo, fuoco con fuoco, giustizia contro prepotenza, brutalità per brutalità.  

 

Netflix non lo sa, ma qualora dovessero produrre una quarta stagione dedicata a Daredevil, Attacca il Panico dei Subsonica potrebbe essere un pezzo perfetto, un inno molto più ritmato rispetto a quello melanconicamente oscuro di Tamer.  

  

“Perdo sangue e attacca il panico finchè resisterò sarò più forte  
Nuova aria tra nuove carceri rubando il fiato ai diavoli nei miei inferni

 

La seconda stagione televisiva si apre con una l’introduzione di una nuova figura, un Marvel Knight inconciliabile all’interno del mondo Marvel/Disney, ma la cui genesi vuole spaccare il pubblico, sfogliando le sfumature di una reazione umanamente comprensibile, eppure così sbagliata per i canoni dell’eroe protagonista della serie: come possono convivere The Punisher e Daredevil, all’interno dello stesso mondo?  

 

Christopher Nolan, uno che di cinecomic fatti come si deve ne sa qualcosa, ha dichiarato in passato che nel mondo dove esiste il suo Batman, non può mai esistere Superman.

Le regole dell’universo da lui descritto non lasciano spazio all’esistenza di un'icona così assoluta come quella dell’ultimo figlio di Krypton.

Narrativamente comprensibile. 

 

Eppure, la serie prodotta da Goddard, decide di spostare i valori dello storytelling verso il filone del film di vendetta, sfruttando una certa rinascita iniziata dal filone di Taken - Io Vi Troverò, e culminata con quel prodotto meravigliosamente criticabile piuttosto e anzichenò!, che è John Wick.  

 

Se John trova le basi del suo personale mito nella leggendaria figura del Baba Yaga, la cui umanità viene metaforicamente condannata con l’uccisione del suo amico a quattro zampe, Frank Castle trova la spinta emotiva nella favola, prima rassicurante e ora nera, che ripete ossessivamente a se stesso, nutrendo il ricordo di ciò che non ha più:

"One batch, Two batch, Penny and Dime".  

 

 

 

 

 

La serie diventa di una violenza grafica viscerale, spinge lo spettatore a tifare per due eroi, opposti per sbaglio e per ideologie, seppur forgiati dallo stesso mondo infame, entrambi estreme conseguenze di un male comune.

L’altra faccia di questa luna è però rappresentata dalla presenza di Elektra, dalla mistica Mano e da Stick - visto che siamo su Cinefacts.it, e considerando che ho letto per internet qualche commento a riguardo, è il creatore delle Tartarughe Ninja ad aver copiato, omaggiandolo, Daredevil per creare il Clan Del Piede, non il contrario. 

 

L’intento è forse quello di portare il vento e il fascino di un certo retaggio filo-orientale, che ha pervaso la riscrittura più recente del personaggio ma, sfortunatamente, fallisce senza lasciare troppe speranze.

Per quanto interessante per infamia e presenza possano essere Stick, un carattere il cui archetipo funziona proprio a livello concettuale, che Elektra, e la vicenda legata a La Mano, si perdono tutti in una messa in scena spesso davvero troppo sciatta.

Daredevil, tutto bardato nel suo costume da Diavolo di Hell’s Kitchen, entra in scena camminando, duetta con Elektra tubando un po’ troppo e l’insieme è troppo spesso incapace di assecondare i temi messi in sceneggiatura; lasciatemi solo con chi ha deciso di fare entrare in scena Daredevil camminando per la strada e ne farò polvere come nemmeno Thanos.  

 

Le parti migliori sembrano riservate al confronto ideologico tra Daredevil e The Punisher, riproponendo quella scena alla Old Boy, ormai marchio della serie, con i toni giusti, ma dimenticando di prendere altri spunti dal cinema orientale per giocare con i simbolismi e la costruzione dei momenti.  

 

Quando la seconda stagione si conclude, il mito è molto meno forte, qualcosa si è rotto e allora si rende necessario toccare quanto Frank Miller aveva reso leggenda: Born Again diventa la terza stagione di Daredevil, partendo dal disastro, a schermo quanto di messa in scena e sceneggiatura, che era stato The Defenders.  

 

"I rather die as Daredevil than live as Matt Murdock", è la citazione motto a rappresentare il leitmotiv della terza stagione.

E il cuore torna a battere.

Tutto, pur andando avanti, torna alle radici.

Born Again.

Daredevil non ha più il suo costume.

Torna alla Decathlon dei bisognosi.

 

Un diavolo che ha toccato il vero volto di Dio e preferisce rotolare lungo il versante scosceso che lo porta verso l’inferno, per lasciarsi alle spalle la sua metà umana e abbracciare in toto quella oscura.

Un uomo pieno di rabbia, ammalato della febbre di chi si lascia consumare dal riflesso decadente oltre lo specchio della realtà, dal lato peggiore dell'ira, uno dei vizi capitali, e il cui personale giaciglio oscuro non può altro che essere lo scantinato di una chiesa.  

 

Simbolismi potenti, densi, che danno spessore alla profondità di un eroe tormentato, così umano da affrontare la sua rinascita e crisi mettendo in dubbio le fondamenta e i pilastri più delicati della sua morale: la sua fede e il suo credo.  

 

 

 

 


Matt Murdock sembra aver perso se stesso non dietro la maschera del diavolo, ma in quella di un ombra senz’occhi, incapace di credere in quello che desidera essere, costretto a rinascere per cercare soluzione alle parti difettose della sua umanità, curando le ferite lasciate non dalla crudeltà di un uomo, ma dall’imperfezione di uomini e donne comuni.  

 

Parlando di rinascita, seguendo le orme di Frank Miller, andiamo quindi a ritroso per scrivere la genesi di Daredevil e non la sua nascita.

Quest’azione, questo trigger, non può fare altro che mettere in moto una legge universale, qualcosa che tutti sappiamo e che spesso ignoriamo: il bene e il male sono fratelli nati da una stessa madre, opposti naturali inscindibili e destinati a confrontarsi in eterno senza soluzione di continuità.  

 

E così, mentre Matthew si rialza, cercando d’imparare a essere un nuovo se stesso, Wilson Fisk, il peccato originale dietro il male degli uomini, quello che Frank Castle vuole estirpare alla radice, deve ritornare.  

 

Daredevil e Kingpin sono lo yin e yang dell’equilibrio universale, opposti eppure complementari, mali necessari a bilanciare il creato e potenzialmente tanto simili, quanto differenti, condannati alla vicendevole autodistruzione.  

 

Citando il Goblin dello Spider-Man di Raimi:

“...potremmo distruggere ogni cosa! Causare la morte di innumerevoli innocenti battendoci egoisticamente, ancora e ancora e ancora, fino a morire entrambi!

È questo che vuoi? Pensaci bene, eroe!“  

 

Wilson Fisk, il principe delle tenebre, il male puro, scivola silenzioso tra le maglie di una società convinta di avere regole e strutture, di essere infallibile, di potersi tutelare grazie alla fame di uomini integerrimi e incorruttibili.

Il diavolo, non esiste.

Eppure Fisk, Kingpin, prende forza senza che nessuno se ne possa davvero accorgere, riscrivendo se stesso nella figura di un uomo pentito, un indifeso, vittima degli eventi, di un uomo risoluto e innamorato, comunicando con il mondo da una fortezza dorata, vestendosi di bianco, mentre il bene, costretto ad agire nelle ombre, rifugiato nello scantinato umido di una chiesa, usa il nero per passare inosservato e silenzioso.  

 

Wilson riscrive la sua immagine, cambia pelle, e come Matthew torna al martello impugnato da bambino, alle origini del male, al fine di leggere, tra gli uomini che gli si muovono attorno, le più recondite debolezze e farne forza per nutrire il suo subdolo esercito.  

 

L’agente Pointdexter, il nostro Bullseye, è la vera origine del male, il punto zero verso la conclusione di un universo narrativo dove, contrariamente al comic, si renderà necessario tirare le fila del discorso, per giungere alla fine del viaggio dell’eroe.  

 

Dex, come pretende essere chiamato, è la vera mano destra di Dio, anomalia in terra che segue un istinto atavico, esaltazione massima delle capacità umane usate a fini edonistici, un american psycho alla ricerca di una struttura che sappia contenere una natura inarrestabile.  

 

Fisk, il diavolo, è così determinato nella sua missione, da non riuscire davvero a leggere le intenzioni di un uomo che non ha un’agenda, non ha uno scopo e non può essere comprato, ma che desidera soltanto fermare il roboante mormorio nella sua testa.

Un elemento anarchico in un caos controllato da un solo uomo, opposto a un Daredevil che, ferito e quasi incapace di essere nuovamente se stesso, ritrova la sua bussola morale quando si trova a fronteggiare il male nella sua forma più pura.  

 

 

 

 


Allo stesso modo la serie porta tutto al Punto Zero.  

 

Matthew non è il solo a dove fare i conti con quelle che sono le sue origini e i traumi che lo hanno portato ad assecondare la sua natura, e lo show riesce a giustificare un personaggio, ridondante, come quello di Karen.  

Kare Page è il punto debole dell’eroe.

La bad girl condannata a compiere ogni scelta sbagliata al fine di distruggere se stessa, in un egoistico circolo del martirio. La ragazza che va salvata da un esterno che è diretta conseguenza delle sue azioni e della sua natura.

Si torna quindi all’ennesima genesi, grazie a un episodio che è il Winter’s Bone - aka Un Gelido Inverno, splendido thriller diretto da Debra Granik - personale di Miss Page, dove scopriamo la vera faccia di una ragazza piena di talenti, ma altrettanto danneggiata.  

 

Il vero compasso, la stella del nord dei nostri paladini è, ovviamente, il nostro Foggy Nelson.

La spalla comica, il personaggio leggero e umano dello show, nella sua ricerca di una connessione con le sue radici, trova, prima di tutti, le risposte, ovvie, alla morale di ogni personaggio, diventando quindi punto di connessione del presente di Karen e Matthew.

 

L’Agente Nadeem è poi il tassello mancante di una storia dove l’uomo della strada, l’uomo comune, il Foggy Nelson, si romanza come figura eroica tragica, arrivando a compiere il sacrificio più alto, al fine di mandare un segnale simbolico che serva da monito a tutti gli altri.  

 

L'Uomo Senza Paura è tornato in tv con il suo mito, celebrando se stesso e il suo universo e lo fa splendidamente.

La fine della stagione mette una sorta di reset al serial, funzionando sia da rampa di lancio per una quarta stagione, che non può sbagliare come ha fatto la seconda, sia da punto di fermo.  

 

L’iconografia del Diavolo di Hell’s Kitchen è stata celebrata sfruttando tutti i suoi significati, le dietrologie, i simbolismi e configurandosi nell’eroe televisivo più denso di sempre, andando oltre le righe dell’eroe senza macchia e senza paura.

Cosa sarà di Daredevil da qui in avanti? 

 

 

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7 commenti

Grazie, Francesca, commento stra positivo e fa tanto piacere vedere come tu abbia seguito DD tra carta ed adattamento a schermo - piccolo e grande.
Sì, della stagione 4 abbiamo tutti un profondo timore. Quel finale alla Doc Ock dello Spiderman 2 di Raimi è tanto bello, ma fa tanta paura per quello che potrebbe venire dopo. Il pitch della stagione 4 c'è stato - proprio in questi giorni - e chissà cosa succederà.
Staremo a vedere.

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Ciao Peter, contento tu abbia apprezzato l'articolo. Speriamo portino avanti la serie con altri temi, perchè volendo c'è molta carne al fuoco.

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Ciao Antonio!
Contento tu abbia apprezzato l'articolo. Il buon D'Onofrio ha portato in scena il Kingpin migliore possibile, spero che per un'eventuale quarta stagione DD si sposti verso altri temi e lo faccia alla grande.

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Ciao Rossella, grazie a te per i complimenti e per esserti interessata all'articolo.

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Ciao Maatz, sono contento tu abbia gradito l'articolo. Se non conosci i fumetti, puoi sempre recuperare qualche albo storico. La Marvel ha realizzato alcune versioni interessanti dedicate ai cicli più storici di Daredevil - compreso ovviamente Born Again.

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Ciao Dottore, grazie mille per i complimenti.
Dentro batte un cuore di Diavolo.

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Ciao Martina! Grazie mille per il commento positivo. Mi fa piacere che il pezzo abbia alimentato la tua conclusione verso Daredevil.
Spero anch'io in una quarta stagione interessante e qualora non dovesse ritornare mi butterò a pesce sui miei albi da collezione per godere, come se non lo avessi mai letto prima, del personaggio in tutto il suo splendore.

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