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Sotto le nuvole è l’ultimo documentario di Gianfranco Rosi presentato in anteprima all’82ª Mostra del Cinema di Venezia, dove ha vinto il Premio speciale della giuria.
Il film è ora nelle sale e offre il ritratto di una Napoli colta come zona liminale, sospesa, in cui convergono le linee del tempo e dello spazio.
[Trailer ufficiale di Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi]
"Questa è una macchina del tempo e noi stiamo tornando indietro."
Nella prima sequenza ci troviamo a bordo della Circumvesuviana in partenza per un itinerario che non è solo geografico, ma assume anche i tratti di un viaggio nel tempo, una catabasi che ci porterà prima nelle profondità della memoria, per poi risalire oltre le nuvole fabbricate dal Vesuvio, come recita la citazione di Jean Cocteau che ispira il titolo del film.
Il martellare meccanico e ripetitivo del convoglio richiama così da vicino quello del treno che in Stalker di Andrej Tarkovskij traghettava i tre protagonisti verso la misteriosa Zona, in quella lunga sequenza in cui il ritmico suono del vagone si trasfigura per sottolineare la dimensione metafisica del viaggio.
[Sequenza tratta da Stalker, di Andrej Tarkovskij]
Le immagini della città e del paesaggio depurate dai colori si trasformano in simulacri eterni.
L’imponente figura del Vesuvio richiama quella dell’enorme cumulo di grano ucraino ammassato nell’immenso magazzino, che a sua volta evoca potentemente la forma di un’immensa clessidra.
Lo "sterminator Vesevo" (Giacomo Leopardi, La Ginestra, v. 3), minaccia costantemente monitorata da chi vive alle sue pendici, diventa simbolo della storia e del tempo, un Kronos feroce che divora i suoi stessi figli, una potenza ctonia che "tutto distrugge ma tutto conserva, restituendocelo in combinazioni impreviste", come osserva l’archeologa del MANN che all’inizio del documentario si muove nell’ombra dei sotterranei, catalogando statue senza nome.
Il film di Rosi gioca sui contrasti: dalle altezze dei cieli solcati dagli elicotteri, sprofondiamo nelle viscere della città, custodi di tesori ancestrali e dilaniate dai tunnel dei tombaroli, dove l’intimo dialogo che l’archeologa intesse con le statue rende vivo e palpitante un passato che è presenza silenziosa.
[Un'immagine di Sotto le nuvole che ritrae l'archeologa del MANN mentre cataloga le statue]
Su tutto suoni e silenzi.
Ed è su quest’ultima dicotomia che si gioca la colonna sonora del documentario.
Possiamo davvero parlare di colonna sonora per un film come Sotto le nuvole?
Sì, se la intendiamo nel senso tecnico come la componente audio di un film, comprensiva di musica, dialoghi e rumori.
No, se adottiamo l’accezione più comune che identifica la colonna sonora con il solo elemento musicale vero e proprio, caratterizzato da temi e timbri chiaramente identificabili.
Sotto le nuvole, in effetti, sembra piuttosto una sinfonia di rumori e silenzi sapientemente orchestrati.
Quello che accompagna le immagini di una Napoli trasfigurata è un paesaggio sonoro che chiede di re-imparare ad ascoltare, intendendo con ascolto "non un fatto fisiologico, ma un atto di coinvolgimento con il mondo" (Salomé Voegelin, Listening to noise and sound. Toward a philosophy of sound art, Continuum, New York, 2011, pag. 3): la vista impone una distanza dall’oggetto, l’ascolto invece porta all’immersione in esso.
[Un'immagine di Sotto le nuvole]
Nella sinfonia di Sotto le nuvole l’acqua appare in tutte le sue forme sonore: il gocciolìo dell’umidità che cade dai soffitti dei sotterranei e che sembra scandire il tempo come un orologio naturale; il crepitìo della pioggia a Pompei sui calchi di quei corpi antichi che sembrano "addormentati sopra i guanciali della terra"; e poi il "mare dal fragore infinito", quel polyphloisboio thalássēs dei poemi omerici, elemento fondamentale del paesaggio sonoro originario.
Ai suoni dell’acqua seguono quelli delle esalazioni gassose del Vesuvio che somiglia a quel "loco d’ogne luce muto" di cui parla Dante; e il fruscìo sabbioso del grano accumulato negli immensi magazzini.
E poi i suoni della civiltà: gli scavi, le voci allarmate dei cittadini, il fragore della metropoli a cui segue il silenzio assoluto nella stanza del maestro di strada, contrappuntato dal solo ticchettìo dell’orologio che torna ciclicamente a ricordarci il tema centrale del film: il tempo.
Accanto a questi suoni, ad un ascolto attento, emergono anche delicati interventi musicali per i quali Gianfranco Rosi si è rivolto al musicista sperimentale Daniel Blumberg, reduce dal successo per la colonna sonora di The Brutalist di Brady Corbet, che gli è valso l’Oscar e il BAFTA per la Miglior Colonna Sonora.
[Il compositore Daniel Blumberg, autore della colonna sonora di Sotto le nuvole, con l'Oscar vinto per le musiche di The Brutalist]
Per accompagnare la vita dell’architetto Lázló Tóth nella sua personale odissea dopo essere scampato all’Olocausto, Blumberg aveva utilizzato un linguaggio minimale che univa pochi strumenti della tradizione classica a sonorità ottenute tramite tecniche estese ed elementi di musica concreta, dando vita a un edificio sonoro fatto di contrasti: delicato e potente, armonioso e dissonante.
Per Sotto le nuvole, invece, la presenza della musica è appena percepibile.
Accanto a tutti i suoni e i silenzi del mondo scorre una voce sotterranea flebile eppure presente, una frequenza sottile e profonda emerge dai rumori naturali: il Vesuvio, come il mare in Solaris di Andrej Tarkovskij, si manifesta come una presenza incombente la cui voce è resa da un suono elettronico continuo, ma "depurato della sua origine chimica" perché venga percepito come "l’organico risuonare del mondo", per usare le parole del regista russo (Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Roma, 1995, pag. 46).
Una voce che si muove ma è statica allo stesso tempo, priva di una vera evoluzione musicale, perfetta immagine dell’eternità.
[Il compositore Daniel Blumberg mentre registra un brano per Sotto le nuvole]
Per il brano che compare sulla scena finale, l’unico ad avere una vera struttura musicale riconoscibile, sono stati utilizzati dei sax registrati seguendo una prassi piuttosto originale: la loro esecuzione è stata catturata sott’acqua.
In questo modo il suono non è identificabile e si trasforma in qualcos’altro, seguendo un principio che anima tutto il film per cui ogni immagine, ogni protagonista e ogni suono rappresenta se stesso, ma indica anche una realtà che va oltre.
Qui tutto è sospeso in una falsa quiete, il gigante dorme ma è vigile allo stesso tempo, un titanico memento mori stagliato a pochi metri di distanza dalla civiltà, una divinità temuta e adorata con cui si è imparato a convivere e che si finge di non vedere, ciascuno immerso nella sua corsa quotidiana.
[Un'immagine di Sotto le nuvole]
Ma in fondo non è forse questa la condizione di tutti?
Quella rappresentata in Sotto le nuvole da Gianfranco Rosi non è che una grande metafora della condizione umana, in cui però c’è qualcosa di positivo che rimane oltre la distruzione, ed è la cura: la cura dell’archeologa per le sue statue, la cura dei vigili del fuoco per i cittadini talvolta petulanti, la cura del maestro di strada per i suoi studenti.
"Tutto ciò che ci affascina del mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore."
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