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La Doppia Vita di Veronica - Ricordo, Sogno e Futuro

Di quale "doppia vita" si parla?

La doppia vita di Veronica, di Krzysztof Kieślowski: il titolo di questo film può lasciare intendere varie possibilità narrative, a prima vista.

 

Si tratta forse della storia di una ragazza che tra giorno e notte conduce due vite parallele e opposte tra loro?

Si tratta della messa in scena del classico concetto delle sliding doors, fermi a un bivio, sapendo che ogni scelta aprirà ad opportunità diverse?

 

Si tratta della storia di una dissociazione, di una nevrosi?

Si tratta di realtà e sogno, un viaggio onirico tra i desideri e le paure della protagonista?

 

Nulla di tutto questo. O, almeno, solo in parte.  

 

 

 

Weronika è una ragazza polacca che possiede straordinarie doti nel canto lirico; Veronique è francese e con il canto ha smesso, perché cardiopatica, ed ora insegna musica in una scuola.

 

 

Anche Weronika soffre di cuore, ma non se ne cura.  

Il tema del doppio è prominente, in un continuo gioco di specchi, di immagini capovolte, di rimandi tra le due realtà.

 

Le due ragazze si influenzano a vicenda, pur senza conoscersi: quando Weronika, al termine della propria esibizione, muore sul palco, Veronique avverte un senso di mancanza, sente di aver perso qualcosa; e quando scoprirà cosa ha perso, nel momento in cui le verrà rivelata sé stessa, scoppierà a piangere, un pianto catartico dalla quale rinascerà più consapevole.

 

Allo stesso tempo Weronika, inconsciamente, sa di non essere sola, e quando scorge sul bus Veronique le sorride, intuendo allora che è per lei possibile anche quel futuro. 

 

 



Il momento dell'incontro tra le due ragazze infatti ha un duplice significato.

 

Se Veronique inizialmente non si accorgerà di nulla, successivamente tramite la fotografia di quel momento avrà la certezza che quella vita era possibile, che quella parte di sé esisteva ed è stata persa: mentre per Weronika, sulla quale significativamente la macchina da presa compie un giro circolare e surreale nella stessa scena, il tutto avrà un significato immediato, e infatti di lì a poco morrà.

 

Il titolo va dunque inteso soprattutto come un processo di auto-coscienza, di consapevolezza, di maturazione.

Mentre Weronika era ingenua e dolce, restituendoci un pezzo di Cinema di valore inestimabile e persino raro nella sua semplicità, Veronique ha compiuto il passo che l'ha fatta entrare in un mondo più inquieto, più adulto: Weronika lascia il ragazzo e trascura i suoi problemi fisici in virtù del sogno che sta percorrendo, Veronique deve scendere a compromessi.

 

Eppure Weronika è dentro Veronique, e la sua morte è una perdita straziante: è la fine di qualcosa che le apparteneva, un pezzo della sua anima. 

 

È significativo, in tal senso, che la prima scena del film veda Weronika toccare la foglia di un albero, mentre l'ultima con la mano poggiata sul tronco: un altro esempio di circolarità - una circolarità progressiva, indice di una crescita, della perdita della fragilità e innocenza giovanile per una vita più solida, come solido è il tronco.

 

Ma non è così semplice, la transizione non è mai netta.

Non può esserlo.

 

Perché nella scena finale, con la mano poggiata sul tronco, proprio allora, c'è di nuovo il canto lirico, che è il tema di Weronika. 

 

Nella scoperta di sé, Veronique è guidata dal burattinaio, plausibilmente un'allegoria dello stesso Kieslowski, che la rende spettatrice della propria esistenza.

 

Egli arriverà infine a mostrarle se stessa, con la foto dell'incontro a Cracovia, in un ultimo atto di ricongiungimento con il suo passato, o con quello che sarebbe potuto esserlo.

 

 

 

 

Lo stesso Kieslowski pochi anni prima si era trasferito dalla Polonia in Francia, e la ripresa estremamente soggettiva, con la cinepresa costantemente fissa su Weronika/Veronique, che riempie ogni scena, mette in luce la natura fortemente personale dell'opera, e non è escluso che la protagonista possa essere un alter ego del proprio autore.

 

Le connessioni tra le due sono ovunque, nell'intricato gioco, criptico eppure immediato, di specchi che il film ci propone, nel sogno, nell'aria vagamente onirica che permea il film, silenzioso ed estremamente comunicativo.

 

Ad ogni rimando, come nella costruzione di un mosaico, si vanno ad inserire le lenti della filtrazione dello sguardo, come quando Veronique osserva il burattinaio muovere le sue creazioni, attraverso però un vetro che ne distorce l'immagine, mentre lui a propria volta la osserva: anche la palla di vetro che ci restituisce la prospettiva capovolta, opposta, a indicare le soggettive alterazioni percettive che si hanno del sé.

 

Il momento in cui infine Veronique osserva la fotografia che ritrae Weronika a Cracovia vale secondo il parere di chi scrive intere filmografie, ed è l'unione da brividi, dolorosa ed emozionante che ognuno ha con gli orizzonti ormai andati perduti, veri o immaginari che fossero, del proprio passato, e con un sé che poteva essere e forse è stato, ma che non sarà mai più.

 

A farle da contraltare, la scena finale è invece il rapporto, maturo e consapevole, ma non per questo meno sognante, con quello che, dopotutto, potrà essere il futuro. 

 

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4 commenti

Drugo

5 anni fa

Volevo recuperarmi tutti i suoi film, però sono riuscito a trovare solo la trilogia dei colori e la doppia vita di veronica, non so dove cercare il Decalogo e i suoi altri film.

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Gioze

5 anni fa

Stessa cosa

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Gianluca Murru

5 anni fa

No, nel Blu c'era la Binoche

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Simone Braca

5 anni fa

sì; e pensa che tra il decalogo - che è un'opera concettuale gigantesca - e la trilogia dei colori... per me questo rimane, comunque, il suo miglior lavoro

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