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La 21ª edizione del Biografilm Festival, kermesse dedicata al documentario e alle storie di vita, arriva anche online grazie alla collaborazione con la piattaforma streaming di MYmovies ONE.
Qui di seguito alcuni titoli imperdibili, tre storie che meritano di essere raccontate e ascoltate.
[Mr. Nobody against Putin, di David Borenstein e Pavel Talankin]
Mr. Nobody against Putin
Il film è stato presentato anche al Sundance Film Festival, dove ha vinto il World Cinema Documentary Special Jury Award, premio speciale assegnato dalla giuria nella sezione documentari.
Il protagonista e narratore è Pavel Talankin, un insegnante di una piccola scuola di Karabash, città russa considerata una delle più inquinate al mondo a causa dell’alta concentrazione di fabbriche che lavorano metalli pesanti.
Con l’inizio della guerra, Talankin documenta i cambiamenti all’interno delle sue classi e di una piccola cittadina già piena di problemi.
Ai bambini viene fatto il lavaggio del cervello fin dalla tenera età e lo stesso vale per gli insegnanti, costretti a tenere lezioni basate su programmi imposti dal governo.
I ragazzi più grandi sono entusiasti di andare in guerra, sono convinti che sia questa la cosa più giusta per il loro Paese, ma come è possibile scegliere davvero se alla base delle proprie convinzioni ci sono solo bugie? Molti di quei giovani uomini non faranno mai ritorno a casa, non potranno mai diventare adulti ed è una realtà straziante.
Una storia di resistenza e speranza, in grado di portarci dall’altra parte del mondo e mostrarci, da un piccolo buco nella serratura, tutto ciò che non siamo abituati a vedere.
La resistenza in Russia esiste e in questo documentario trova una voce, voce che si spera possa essere abbastanza forte da portare a un cambiamento.
[Like Tears in Rain, di Sanna Fabery de Jonge]
Like Tears in Rain è un documentario che ripercorre la vita di Rutger Hauer, diventato celebre per il ruolo di Roy Batty in Blade Runner, mostrandone un lato inedito.
Un uomo riservato ma dai solidi principi, gli stessi amici di una vita e una moglie che ha amato alla follia fino alla fine dei suoi giorni.
Per quanto ci abbia provato Hollywood non lo ha mai cambiato e lo scopriamo dalle voci dei suoi colleghi, tra i quali ci sono anche Whoopi Goldberg e Mickey Rourke.
Hauer aveva l’abitudine di riprendere tutto ciò che accadeva nella sua vita con una piccola videocamera e Sanna Fabery de Jonge, sua nipote e regista del documentario, decide di aprire al pubblico il loro grande album di famiglia: scopriamo così della sua passione per la natura e per qualsiasi mezzo che avesse un motore, delle lotte per dare voce ai più deboli, della creazione di una sua Scuola di Cinema - la "Rutger Hauer Film Factory" - per giovani desiderosi di lavorare nel mondo della Settima Arte.
La persona dietro al personaggio, in questo caso, è più interessante del personaggio stesso.
Per molti di noi rimarrà il volto protagonista di film iconici come Blade Runner, The Hitcher, Ladyhawke e Soldato d'Orange, ma il desiderio di chi lo ha conosciuto sembra essere uno solo: che questi momenti non vengano dispersi come lacrime nella pioggia, che Rutger Hauer non venga dimenticato o ricordato per un solo monologo.
Amava la vita in ogni sua forma, che fosse davanti alla macchina da presa o fuori dal set.
[Flophouse America, di Monica Strømdahl]
Monica Strømdahl, regista e fotografa norvegese, documenta la vita di un pezzo di Stati Uniti tanto reale quanto sconosciuto al grande pubblico, quello che testimonia il fallimento dell'American Dream.
Lo fa entrando fisicamente nella vita di chi non si preoccupa solo di come arrivare a fine mese, ma di arrivare alla fine della giornata.
Il risultato è Flophouse America.
Mikal è un ragazzo di 12 anni come tanti altri, ma a differenza dei suoi compagni di classe si ritrova a vivere in una “flophouse”, un albergo con camere a basso prezzo e servizi centralizzati. L'adolescente vive con i suoi genitori, entrambi dipendenti dall’alcol e in ristrettezze economiche e un piccolo gatto come animale domestico.
Ogni giorno in quella piccola prigione sembra uguale al precedente e non sembra esserci via d'uscita; una famiglia divisa tra momenti di sincera tenerezza e attimi di realizzazione: così non è possibile andare avanti e l'epilogo non potrà che essere tragico.
La macchina da presa non si fa vedere né riconoscere e per tre anni (racchiusi in un’ora e mezza di film) viviamo tra le strette mura di quella che per tanti statunitensi è ormai una casa a tutti gli effetti.
Non c’è mai giudizio, solo una cruda rappresentazione.
L’aumentare della povertà e del divario sociale negli Stati Uniti è inarrestabile e a farne le spese sono sempre i più fragili.
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