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The Fall - Recensione: la violenza sociale secondo Glazer - RNFF 2020

The Fall, corto di Jonathan Glazer, è una delle perle del Ravenna Nightmare Film Festival 2020

Raccontare una storia, mandare un messaggio e insinuarsi nella mente dello spettatore: The Fall, penultima fatica di Jonathan Glazer, riesce perfettamente in ciascuno dei principali intenti al quale ciascun cortometraggio che voglia dirsi riuscito è obbligato ad attenersi.

 

In uno spazio all'apparenza cinematograficamente ristretto, però, l'autore britannico va anche oltre.

 

Il corto, uno dei fiori all'occhiello del programma del Ravenna Nightmare Film Festival 2020, dura all'incirca 6 minuti, ma possiede una potenza filmica e narrativa debordante, in grado di trasmettere il malessere che ne caratterizza le atmosfere anche a visione finita, imprimendo a chiare lettere nell'immaginario degli osservatori il proprio intento.

 

[35 secondi per lasciarvi sovrastare dall'oscurità di The Fall

 

 

The Fall ci mostra il martirio di un uomo solo e mascherato, braccato in una foresta oscura da una schiera di figure mascherate esattamente come lui, che intendono per una non meglio precisata ragione calarlo in un pozzo senza fondo.

 

Jonathan Glazer - regista divenuto noto grazie ai suoi videoclip negli anni '90 e ai soli tre film diretti negli ultimi 20 anni: Sexy Beast, Birth e Under the Skin - sa perfettamente come condensare un'opera cinematografica fatta e finita in uno spazio angusto e, in questo caso, si serve dell'horror per mettere in scena una potentissima allegoria della violenza sociale dei nostri tempi.

 

 

[Vittime e carnefici, collettività e individuo: in The Fall presentano tutti la stessa maschera, a cambiare è solo l'espressione]

 

 

The Fall è, infatti piantato saldamente nel genere lungo tutto il suo svolgimento.

 

Ciascuno degli elementi del mezzo cinematografico è perfettamente utilizzato con le finalità di generare inquitedine: la fotografia cupissima, i colori desaturati, i costumi e l'uso sapiente di montaggio e comparto sonoro ci catapultano in un'inequivocabile atmosfera orrorifica.

Il regista britannico inisiste nel proporci inquadrature dal basso e più rare plongée, con l'intento di farci percepire quel senso di vertigine essenziale all'interno del corto.

 

Dietro il terrore indotto dall'opera, però, si cela un potentissimo disagio ancorato nella realtà dei nostri giorni: la necessità di indossare maschere e appartenere a un branco, la violenza reciproca da parte di individui all'apparenza simili, la mancanza di punti di riferimento a cui ciascuno può essere soggetto, la scelta arbitraria dei motivi per i quali punire un individuo.

 

E poi la caduta.

 

 

[Bastano poche inquadrature per comprendere quanto sia essenziale il concetto di verticalità in The Fall: esattamente come nella nostra società iper competitiva]

 

 

Lo sconfinato pozzo nel quale viene calato il protagonista di The Fall è un luogo universale, nel quale ciascuno rischia di precipitare con modalità e tempistiche diverse.

 

Per la violenza del prossimo ma anche, forse, per colpa dell'oscurità del contesto in cui siamo immersi.  

L'individuo è portato a lottare da solo, ad ancorarsi alla vita, a tentare da solo una risalita due volte rischiosa. Una scalata che espone sia al rischio di cadere che alla possibilità, una volta risaliti, di incontrare di nuovo quella violenza annientatrice. 

 

La possibilità di sopravvivere, dopo un'aspra lotta, è rappresentata dalla tesione umana verso la vita.

 

Ecco spiegato il finale apparentemente tronco di The Fall: la necessità di mostrarci un'incognita per Glazer prevale sulla scontata possibilità di darci una risposta.

 

 

 

 

La bellezza di The Fall risiede anche e soprattutto in questo, nella sua capacità di cominciare davvero ad aver effetto su di noi nell'esatto momento in cui partono i titoli di coda.

 

In quel preciso istante tocca a noi uscire dall'abisso.

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