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Together - Recensione: Keep Calm and Stay Congiunti

Dall'Australia con furore un coraggioso Michael Shanks batte il forte ma non sempre chiarissimo ciak di una morbosa allegoria dedicata all'orrore di coppia, nella quale l'unione fa più ribrezzo che la forza 

Together è un film diretto da Michael Shanks con protagonisti Dave Franco e Alison Brie, presentato al Sundance Film Festival 2025 e distribuito in Italia da I Wonder Pictures a partire dal 1° ottobre. 

 

Lasciate che vi racconti una storia, vi va? 

 

Anzi, dato l’assai scottante tema che ci troviamo qui a maneggiare, lasciate magari che ve ne racconti due. Un paio di bizzarre storielle destinate inevitabilmente a scontrarsi e visceralmente compenetrarsi per dar vita a un brulicante e a suo modo intrigante corpus.

 

[Il trailer ufficiale di Together vi farà passare la voglia di ballare guancia a guancia]

 

 

In primis lasciate che vi parli a grandi linee di Together: un curioso, ambizioso e per taluni forse anche un tantinello pretenzioso battesimo del fuoco che, oltre a ben due (insoliti) sospetti di plagio - pardon, intendevo dire d’influenza - ancora da dissipare, si ritrova sul groppone tutte le luci e le ombre fisiologicamente tipiche di una qualsivoglia opera prima.

 

In secundis, invece, permette che spenda due veloci paroline a proposito di un losco figlio della terra dei canguri come Michael Shanks; svezzatosi alla nutriente mammella di YouTube prima di passare velocemente davanti all’obiettivo quale volto ben noto della seriale fanta-comedy The Wizard of Us, ritornando tuttavia nuovamente a posare il deretano sulla comoda seggiola di regia con due premiatissimi corti quali Time Trap e Rebooted

Un australiano di grandi speranze più che - almeno per il momento - di grande spessore, non trovate? 

 

Esattamente come quegli scalmanati Fratelli Philippou che, assieme alla pionieristica Jennifer Kent e alla strana coppia formata da Indianna Bell e Josiah Allen, da qualche tempo a questa parte sono riusciti a far calare parecchi nuovi incubi fra le aride sterpaglie e gli infidi nugoli di scorpione che popolano il tutt’altro che ridente outback. 

Viste le circostanze, dunque, Together parrebbe proprio un'opera destinata spiritualmente, nonché soprattutto carnalmente, a unirsi al proprio giovane e irrequieto autore; così come a suo tempo provocatoriamente filosofeggiato dal quell’anarchico buontempone di Lars von Trier tra un Dogma 95 e l’altro.

 

Ma a fondersi e confondersi in un’unica ribollente entità saranno ovviamente anche coloro che un corpo e un’anima – così come canticchiava Dori Gezzi in compagnia dell’ormai dimenticato Wess – tali già lo sono, tanto dentro quanto fuori dallo schermo.

 

 

[Dave Franco e Alison Brie catapultati nell'oscura tana del Bianconiglio di Together]  

 

 

Nonostante infatti l’apparente chimica che li unisce ancor prima di qualsivoglia sovrannaturale forza, i nostri Tim (Dave Franco) e Millie (Alison Brie) si presentano fin dal principio di Together come due autentici corpi estranei.

 

Un complessato, infantile e semi-fallito musicista con parecchi traumi sulle spalle contrapposto a una compita, insoddisfatta e sessualmente repressa maestrina costretta, suo malgrado, a compiere sempre e comunque il primo fatidico passo; sia esso la scelta di una nuova isolata alcova nella quale tentare d’imbastire una precaria familiare vitaccia o una coraggiosa quanto irrituale proposta di matrimonio, destinata sul momento a tramutarsi nella più cocente figura di melma della Storia della celluloide.

 

Una tesissima e assai problematica dinamica quella che lega a doppio filo – e come si vedrà in seguito persino a doppia pelle – i due tribolati protagonisti di questo Together, non c’è che dire. 

Uno schema che, senza andar troppo indietro con gli occhi della mente, già si intravedeva ben bene alla base del suggestivo seppure irrisolto Wolf Man di Leigh Whannell; laddove la sempre più evidente crisi della mascolinità “classica” – in favore di un’inevitabile inversione dei ruoli con al centro un doppio cromosoma X ormai determinante per il sostentamento e l’identità domestica – non poteva che condurre, dentro e fuor di metafora, a conseguenze decisamente mostruose.

 

Al di fuori tuttavia di una disturbante nonché suggestiva Cosa di evidente carpenteriano lignaggio che apre di gran carriera e sotto i migliori auspici le filmiche danze, nessuna invereconda amenità degna di questo nome farà seguito alle disavventure di codesti giovani disadattati, da poco giunti nella loro nuova dimora sperduta ai margini di una dantesca selva oscura.

 

Tenendo conto che proprio nel fitto di tali fresche e tenebrose frasche, nemmeno troppo tempo addietro un’allegra coppietta-carbone già aveva fatto misteriosamente perdere le proprie tracce, dopo aver postato sui social network il solito zuccheroso aforisma da nemmeno una trentina di like.

 

 

[Dave Franco zitto e mosca in Together]

 

 

Caso o, piuttosto, nera sfiga vuole che a nemmeno mezz’ora dall’inizio di Together, anche gli incauti Tim e Millie si ritroveranno impelagati in guai parecchio seri – oltre che evidentemente sovrannaturali – quando nel corso di un’azzardata passeggiata Into the Woods nel pieno di un pomeridiano diluvio universale, i nostri si ritroveranno a ruzzolare nel ventre di un’insidiosa grotta sotterranea.

 

Grotta al cui interno, oltre che ai resti ormai collassati di un antico campanile – residuo, secondo le parole del nuovo collega di cattedra e cordiale vicino Jamie (Dan Harriman), della solita malintenzionata setta in odor di collettivo suicidio – scoveranno una grossa e decisamente insidiosa pozza d’acqua 

 

Così come affermava lo stranito Kenneth Branagh protagonista dell’alleniano Celebrity, più che chiedersi per chi suona l’hemingwayana campana converrebbe a questo punto domandarsi piuttosto a chi tocca tirare lo sciacquone, giusto? Pertanto, dopo aver seguito il tutt’altro che saggio consiglio del Vate D’Annunzio ed essersi abbeverati alla (stra)maledetta fonte, ecco che da qui in poi i due sposini mancati si ritroveranno preda tutti e Dos – recuperare per credere il carnale body horrorino targato Mar Taragona di qualche anno fa – di un’irresistibile quanto potenzialmente letale reciproca Attrazione Fatale

 

Al di là di qualche surreale scappatella da bagno scolastico al limite dell’hard (trash) core, di amplessi notturni conditi da temibili assortite visioni e, dulcis in fundo, di bacioni a stampo degni dei cronenberghiani tête-à-tête germogliati a tradimento dal lisergico Queer di Luca Guadagnino, Together ci pone davanti a un’autentica co-dipendenza che, col progredire di questi 100 chimerici minuti, finirà per inseguire un metaforico too much e, a tratti, un rischioso over the top. Due eccessi i piena regola, insomma, destinati, nel bene e nel male, a imprimersi indelebilmente e in profondità su di una già martoriata almodovariana Pelle che abito.

 

 

[Alison Brie sente sulla propria pelle il brivido di Together]

 

 

“Un bel film, non c’è che dire. A patto ovviamente di essere strafatti come una pigna!”.

 

Non me ne voglia troppo il buon zio Woody se mi sono preso l’ardire di scomodarlo nuovamente, parafrasando una delle più caustiche fra le celebri massime contenute nel suo intramontabile Io e Annie.

 

Semplicemente credo sia il miglior modo tramite cui tentare di render conto di un film come Together, che almeno secondo il mio modesto e certamente non richiesto parere può sperare di essere in parte compreso e apprezzato solamente con una buona dose di psicotrope sostanze, pronte a sguazzare allegramente su e giù per il nostro scombussolato apparato circolatorio.

 

Nessuna specifica istigazione ad abbandonare la sana e retta via, sia chiaro!

Piuttosto una mordace e - spero vivamente - auto-ironica iperbole utile a comprendere quanto, secondo sempre e comunque me medesimo, l’opera prima di Michael Shanks rappresenti a pieno quel tipo di esperienza filmica capace di entrare con forza dritta nel cuore e, tuttavia, infine fuoriuscire da ben altro e profano locus

 

Come accennato in apertura di questa analitica colonscopia filmica, da più occulte e spettegolanti parti è stato fatto notare come alla base del carnoso e carnale cuore di Together incomberebbe la lunga e ingombrante ombra di ben due ipotesi di plagio. 

Oppure, volendo essere di cuore e manica ben più larghi, si potrebbe parlare giusto di un paio di pesantissime influenze esterne.

 

Dando infatti anche solo una rapida occhiata ai neanche 20 minuti che danno forma al cortometraggio A Folded Ocean di Ben Brewer, così come agli striminziti 80 minuti del simpatico Better Half di Patrick Henry Phelan, diciamo pure che il déjà vu non può che essere la prima fra le sensazioni che si sarà tentati di spuntare sulla lista del buono, attento e intellettualmente onesto osservatore. 

 

 

[Together: due occhi sono decisamente meglio di uno]  

 


Tenendo inoltre conto che entrambi i titoli hanno avuto scarsa distribuzione sin dal principio del 2023 - e per quanto riguarda specialmente il secondo pare addirittura esserci stata un’indiscreta preventiva sbirciatina da parte nientemeno che di Dave Franco e Alison Brie in persona - più che alla fisiologica dipartita del concetto di “originalità” tanto decantata dal mitico Jim Jarmusch, personalmente tenderei ad accordare maggior credito al leggendario Pablo Picasso quando affermava come il vero autore, oltre ad appropiarsi di straforo delle altrui opere, spesso e volentieri tende addirittura a rubacchiare senza remore le medesime cornici che le contengono.

 

Non so voi, ma per me qui gatta ci cova.

O rimanendo nello specifico di Together, piuttosto direi che ratto ci puzza e anche parecchio, non credete? 

 

Lasciando ovviamente tali questioni di giuridica lana caprina alle competenti autorità e al buon critico giudizio di ciascuno, ciò su cui varrebbe realmente la pena interrogarsi a questo punto riguarda ciò che un film come Together aspira realmente a essere: romantico? Erotico?

Ironico? Filosofico?

Mostruoso?

 

Everything Everywhere All at Once, direbbero senza alcuna esitazione gli scalmanati Daniels.

Senza però rendersi conto che, in barba al programmatico titolo di qui sopra, far di tutta l’erbetta un fascio non è quasi mai cosa buona e giusta; nella vita così come sullo schermo.

In tutta onestà, data la giovinezza anagrafica e la scarsa filmografia a suo carico, personalmente non mi sentirei proprio di affibbiare al caro Shanks e al suo Together le rispettive etichette di "autore" e "capolavoro".

 

Credo infatti che, raffreddati ben bene quei bollenti spiriti che i radi (body)orrorifici amplessi sono ruffianamente stati qui programmati per suscitare, ciò che per decantazione rimane negli occhi e nella mente una volta riaccese le luci in sala altro non è che una suggestiva - seppur alla lunga assai didascalica - analisi riguardante il perturbante dietro le quinte di un maldestro - più che genuinamente malsano - rapporto di coppia vissuto nel pieno della buia epoca del dis-impegno amoroso.

 

 

[Francesca Waters se la ride da morire in Together]

 

 

Al caro vecchio “finché morte non ci separi” il giovane e affamato cineasta australiano di Together pare voler dunque professare un ben più viscerale Se mi lasci ti sfracelli.

 

Ben conscio del fatto che il medesimo solleticante sunto - imperniato, seppur fugacemente, sulla latente tossicità insita in un qualsivoglia disfunzionale love affaire - avrebbe forse potuto dare maggiori e ben più raffinati frutti se affidato a mani, se non esperte, quantomeno più coraggiose.

Un Bruce LaBruce, un Panos Cosmatoso anche un Joe Begos avrebbero a mio avviso aiutato a chiarire ciò che intendo dire.

 

Non è infatti un mistero che, scavando un minimo sottotraccia al grottesco accadimento che finirà letteralmente per (con)fondere i destini e le membra dei nostri due poveri innamorati, per metaforica ammissione del suo stesso plot si possa intravedere in quel di Together l’androgino Mito di Aristofane narrato dallo scafato Platone nel suo celeberrimo Simposio, per il quale il ricongiungimento delle primordiali umane metà rappresenta un auspicio che va ben oltre la semplice filosofeggiante allegoria.

Un’anima divisa in due, stando al romantico verbo del nostro amato Silvio Soldini.

 

Anche se, con buona pace della caustica attitudine allo sfottò, tipica della compianta Lina Wertmüller, la buñueliana love (horror) story qui apparecchiataci potrebbe essere invece cucita su misura per due giovani, carini e parecchio disgraziati naufraghi Compenetrati da un insolito destino nella verdeggiante campagna australiana

 

 

[Damon Herriman è il vicino che suona sempre due volte di Together]  

 

 

Più che di filosofia, teologia o di qualsiasi alta masturbazione mentale, spogliata della sua innegabilmente ammaliante confezione da weird d’autore - o se vi aggradano le etichette, addirittura di "elevated horror" - l’ossatura di Together mostra di volersi mantenere a pelo d’acqua del proprio provocatorio significato; giocando coraggiosamente, seppure a tratti anche assai maldestramente, sul filo sottile di un grottesco più che esplicitamente nerissimo humor, oggigiorno imprescindibile ogni volta che si tenta di evocare brividi e raccapriccio.

 

Se tuttavia le uniche stoccate di vero orrore in Together paiono provenire dagli incubotici rigurgiti del traumatico passato del nostro indolente protagonista - orchestrati dalla nottambula fotografia di Germain McMicking con il preciso intento di sfiorare l’altrettanto mortifero family drama vissuto dalla depressa Florence Pugh in esergo al folkloristico Midsommar di Ari Aster - la restante epidermide del filmico organismo plasmato a suon di voyeuristici close-up tanto cari a questa regia viene piuttosto graffiata dalle unghie di un succoso simbolismo che, una volta decrittato, esaurisce davvero troppo presto la propria fascinosa carica propulsiva.

 

Più che una chimica a scoppio ritardato, quella che interconnette le membra e le performance dei due antieroici protagonisti di Together somiglia piuttosto a un incostante tira-e-molla, nel quale i contrapposti fulcri di tensione finiscono progressivamente per allentarsi mano a mano che il tanto agognato climax si approssima al suo inevitabile quanto, mi pare, assai telefonato punto di fusione. 

 

Credo di non scadere nell'ovvietà dicendo che ciò che Dave Franco e Alison Brie combinano sotto le lenzuola del loro domestico lettone a cineprese spente sia affare integralmente loro, no?

Basandomi tuttavia sulle di loro altalenanti pose, imbastite rigorosamente entro i limiti di questo schermo, per quanto mi concerne non ho alcuna difficoltà a comprendere per quale motivo la spina dorsale della loro diegetica liaison pare avere la medesima consistenza di una scodella di porridge lasciato macerare al sole.

 

Non si tratta in realtà soltanto del ridotto peso specifico di due personaggi la cui presenza scenica, spiace dirlo, sembra a più riprese avere il carisma di un termosifone di ghisa, quanto piuttosto del fatto che da un film come Together - che sul concetto di “unità” basa il proprio titolo, così come le aspirazioni parecchio elevate - una maggiore omogeneità di sostanza più che di forma sarebbe forse risultata auspicabile, che dite?

 

 

[Dave Franco e Alison Brie uniti per la vita e polpacci in Together]  

 


Anche se quello della critica è uno sporco lavoro e, come si suol dire, qualcuno deve pur farlo, credo sinceramente che essere troppo duri con un così brulicante, multiforme e indubbiamente suggestivo first strike non sia affatto il modo più corretto né tantomeno onesto di guadagnarsi, seppur solo spiritualmente, il cinematografico pane quotidiano.

 

“Provare rancore nei miei confronti non ti rende più coraggioso o meno colpevole di me!”

 

Grande lezione di vita - non solo di coppia - quella impartita in raggelante dormiveglia dall’inquietante doppelgänger della nostra rancorosa Millie al suo stunnato compagnuccio di materasso. 

Lezione di cui, forse e dico forse, anche noi bacchettoni della Settima Arte dovremmo far tesoro nell’analizzare e così impudentemente giudicare un titolo come Together.

 

Fino a una quindicina d’anni fa, infatti, film del genere - oltre che di questo specifico genere - ce li saremmo certamente sognati, su questo non ci piove.

Oggi, tuttavia, credo sinceramente che film con questo andazzo siamo giunti a sognarcene sin troppi e, forse, anche un po’ troppo spesso.

Sarà allora il caso di prendere al volo l’esempio del nostro bambinesco Tim e, dopo esserci cacciati in gola una bella e sostanziosa ciocca di capelli - nell’unica sequenza genuinamente disturbante seppur, almeno a grandi linee, occhieggiante quel nero gioiellino di Talk to Me - contare fino a dieci prima di vomitare nuovamente la nostra opinione.

O alla peggio soccombere a una punitiva asfissia nel disperato tentino di avere ancora l’ultima stramaledetta parola.

 

Citare il sommo H.P. Lovecraft, seppur tardivamente e per pochi fotogrammi, è certamente cosa buona, giusta e ben accetta.

Meno lo è il lanciare parecchi succulenti sassolini nel mezzo del dissestato campo da gioco di Together per poi tirare subito indietro la mano, lasciando che la maggior parte di essi vadano a infrangersi fuori trama e, peggio ancora, fuori campo.

 

È pur vero che, per far onore al buon Gesù e alla sua celebre biblica ramanzina, essendo io stesso non certo immune da qualsivoglia peccatuccio non mi azzarderei affatto a scagliare per primo la pietra del rimprovero su quelli che, più che veri e propri buchi di sceneggiatura, somigliano piuttosto a piccoli squarci sull’horribus di Togetherdestinati a rimarginarsi ben prima di aver spurgato i promettenti orrori in essi suppurati.

 

 

[Dave Franco è Mr. Maglietta Insanguinata 2025 in Together]  

 

 

Rispetto ai freudiani Riflessi sulla pelle di Philip Ridley o alle immonde Wounds di Babak Anvari, le lacerazioni (auto)inflitte a suon di seghetto elettrico dalla Première Dame e dal Petit Homme (con)fusi al centro di Together hanno piuttosto tutto l'ardore e la messa in scena di una dolorosa extrema ratio, necessaria a dare un letterale taglio all’impellente e sovrannaturale voglia di restare viscini viscini

 

Fossi uno di quei cattivoni con il cuore di pietra e la tastiera grondante livore, direi che qui ci ritroviamo con tanti spunti e ben poco arrosto. 

 

Dato che però il "famolo strano" è per me un vero e proprio mantra ogni qual volta mi accingo a (s)parlare di quel Cinema strambo, imperfetto e visceralmente affascinante che a me garba tanto, dirò piuttosto che con Together siamo al cospetto di un piccolo rutilante barbatrucco; le cui succulente promesse su carta superano di gran lunga la Final Destination a favore di obiettivo.

 

Together diventerà un cult?

Avessi qualche baiocco oltre che briciolo di (in)sana incoscienza in più, mi verrebbe da scommetterci senza alcun dubbio.

Il vero problema si presenterà piuttosto nel momento in cui, posatasi ben bene la polvere dell'hype e perse nel vento le urla all'ennesimo "horror del secolo", tornati finalmente a occhieggiare il vasto panorama circostante dovremo dunque capire se un film come Together riuscirà a essere inglobato e digerito dal nostro cinefilo metabolismo - andando dunque a nutrire ulteriormente la nostra vorace e verace immaginazione - piuttosto che finire espulso nello sciacquone della mediocrità come un qualunque altro audiovisivo corpo estraneo.  

 

A ben guardare i buoni e grandguignoleschi propositi per fondare un’ennesima yuzniana Society con parecchi lucrosi scopi c’erano eccome. Ma poiché oggigiorno i brividi sembrano decisi a solleticarci le profondità del cervello piuttosto che quelle dell’antico basso ventre, con buona pace di qualche sbiadito Colore venuto dallo spazio - tanto per scomodare, tutt’altro che a sproposito, il Genio di Providence riveduto e corretto dalle rinvigorite manone di Richard Stanley - il cuore del discorso pare stavolta viaggiare su di un torbido e osmotico volo pindarico.  

 

Alzino le mani quanti ancora rammentano quel folle oggettucolo filmico non meglio identificato che risponde al titolo di Doppelgänger; per noi ex giovani italici spettatori dei primi anni '90 noto come Alter Ego.

Non molti, a quanto vedo.

Gran peccato, perché ancor prima della sensuale accoppiata Demi Moore-Margaret Qualley - oltre che alla cronenberghiana ammucchiata dei futuri sposini di cui sopra ovviamente - già una mostruosa Drew Barrymore aveva tentato di giungere all'unica vera The Substance della questione. 

 

Vale a dire che l'Unione - così come la celeberrima Vita decantata da Frank Capra - è sicuramente una cosa meravigliosa; ma spesso e volentieri, più che la Forza, mostra di fare decisamente ribrezzo oltre i limiti della (sovra)umana comprensione.

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