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Crudelia - Recensione: uno stilosissimo involucro vuoto

Recensione di Crudelia, film diretto da Craig Gillespie con Emma Sone

Personalmente provavo un sincero interesse nei confronti di Crudelia, l’ultimo film targato Disney con al centro la figura di uno dei cattivi più amati dalla Casa del Topo.

 

Una curiosità dovuta dal fatto che il regista Craig Gillespie aveva diretto l’ottimo I, Tonya e che la sceneggiatura fosse stata scritta a quattro mani da Tony McNamara (La Favorita) e Dana Fox (Non è romantico?); se poi nel cast troviamo Emma Stone, Emma Thompson, Paul Walter Hauser, Joel Fry e Mark Strong la possibilità di realizzare un film poco riuscito era veramente bassa, e così infatti non è stato.

 

Più o meno.

 

[Il trailer internazionale di Crudelia]

 

 

Crudelia narra la storia delle origini di Crudelia De Mon, la perfida stilista di moda che ne La carica dei 101 - lungometraggio d’animazione del 1961 - organizza il rapimento di un gruppo di cuccioli di dalmata per poterne ricavare una pelliccia.

 

Il film si apre quindi con la piccola Estella (Emma Stone), orfana di madre e padre e una passione smisurata per la moda, che per sopravvivere si unisce ad altri due ragazzini: Jasper (Joel Fry) e Horace (Paul Walter Hauser).

Crescendo Estella riuscirà a lavorare per la grande Baronessa (Emma Thompson), una delle stiliste più importanti e famose del Regno Unito. 

Ma una scoperta sconcertante farà precipitare ogni cosa.  

 

A mio avviso il film di Gillespie è completamente vittima della sua stessa confezione.

 

I costumi della due volte Premio Oscar Jenny Beavan (Camera con vista, Mad Max: Fury Road) sono semplicemente fenomenali ed estrosi al punto giusto nel rappresentare le personalità delle proprie muse.

 

Si passa perciò continuamente dallo sfarzo della Baronessa al look punk e aggressivo di Estella/Crudelia, in una lotta senza esclusione di colpi fino all’ultima toppa.

 

 

[Uno dei momenti più interessanti del film]

 

La regia di Gillespie è funzionale nell'esaltare i momenti in cui le due protagoniste sfoggiano con stile i propri abiti, così come la colonna sonora martellante - in 134 minuti di durata ce ne saranno al massimo una decina senza musica - rende l’atmosfera elettrizzante e figlia del glamour della Londra degli anni ‘70.

 

Oltre a questo, però, ho trovato ben poco.

 

La storia dovrebbe narrare la nascita di un personaggio cattivo, avido, di una villainess cinematografica divenuta iconica, ma la sensazione - una volta terminato il film - è quella di aver assistito al concepimento di una, a tratti antipatica, stilista di moda.

 

Colpa di una sceneggiatura che ho trovato abbastanza fiacca, il personaggio di Emma Stone non riesce mai completamente a passare come persona negativa, nonostante più volte ci venga ripetuto che lei è “Crudelia.”

 

Se togliamo qualche battuta scortese rivolta a Jasper e Horace, le motivazioni e le azioni che portano Estella a sfidare la Baronessa sono più che comprensibili.

Vi è quindi una scrittura funzionale nel creare empatia con il pubblico - un errore che secondo me accade anche in Joker (omaggiato in Crudelia con la scelta di un brano facente parte della colonna sonora di entrambi?) - e che poco si addice alle intenzioni su carta del personaggio originale.

 

Dall’altra parte invece la Baronessa è totalmente perfida, senza sfumature: la vera Crudelia del film.

  

 


 

Nonostante Gillespie cerchi di esaltare con ogni mezzo a sua disposizione Estella, negli scontri verbali e nella performance delle due attrici è la Baronessa - Emma Thompson è perfetta nel suo ruolo - che ruba la scena alla protagonista del film, vincendo lo scontro tra le due.

 

C’è da dire che Emma Stone è bravissima a reggere sulle proprie spalle Crudelia, ma né il talento dell’attrice Premio Oscar né il magnetismo degli abiti da lei indossati riescono a sopperire alla superficialità del personaggio.

 

Sembra quindi che gli sceneggiatori abbiano scelto la via più comoda per raccontare le origini di Crudelia, facendo in modo che il regista sacrificasse le proprie idee di messa in scena in funzione di un film diretto, facilmente assimilabile da parte dello spettatore, ma che al suo interno ha ben poco.

 

La voce fuori campo della Stone che spiega ogni passaggio, unito alla persistente colonna sonora, sembrano atti a mantenere costante l’attenzione di chi guarda per nascondere il ritmo lacunoso di un film che ci ricorda solo una cosa: l’abito non fa il monaco. 

 

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1 commento

Emanuele Antolini

2 anni fa

Il film intrattiene, questo è senza dubbio!

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