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Playboy intervista il vulcanico Mel Brooks - Parte 1 di 3

Una conversazione sincera con l’imperatore della comicità bizzarra

Siamo nel mese di febbraio 1975 e il comico e cineasta Mel Brooks - dopo i grandi successi di Mezzogiorno e mezzo di fuoco e Frankenstein Junior, usciti entrambi nel 1974 - non si è ancora reso conto di essere appena diventato una delle personalità più di spicco a Hollywood.

 

Fu così che il giornalista Brad Darrach, per conto della rivista Playboy, decise di andare nel suo ufficio per conoscere tutto sulla vita di quel piccolo ebreo dalla vena comica folle.

L’intervista diventò successivamente molto popolare, vinse un Playboy Non-Fiction Award e venne stampata più volte in alcuni libri e riviste.

 

I suoi contenuti sono esilaranti, profondi e completamente fuori di testa.

Resta a oggi, senza ombra di dubbio, l’intervista più bella che Mel Brooks abbia mai rilasciato.

Per questa ragione ho pensato valesse la pena tradurla per i lettori di CineFacts.it e aggiungerci anche un’illustrazione fatta da me.

 

Buona lettura!

 

Isabella Di Leo

________________ 

 

 

[Dalla prima pagina dell'intervista a Mel Brooks su Playboy] 

 

 

"I ricchi", secondo un proverbio spagnolo, "ridono con attenzione."

 

Hanno molto da perdere.

I poveri, d'altra parte, hanno bisogno di ridere per dimenticare quanto poco hanno da ridere - che può essere il motivo per cui la Depressione è stata l'ultima età d'oro della commedia nei film americani.

 

L'attuale recessione economica provocherà un altro boom comico?

I produttori cinematografici la pensano così; la lista di produzione del 1975 è piena di sceneggiature comiche.

I produttori cinematografici riconoscono anche che l'impulso creativo più forte dietro questo boom è l'immaginazione maniacale e l'energia di uno dei pochissimi cineasti, dopo Charlie Chaplin, che è senza dubbio un genio comico: Mel Brooks.

 

Mel Brooks è un Rabelais americano.

Basso e robusto, ha un naso che una volta descrisse come "una piccola frana", un ghigno che va da un orecchio all'altro e l'energia di una fuga di bufali.

La sua immaginazione è violenta e sconfinata; e secondo l'opinione di altri sceneggiatori di commedie, nessun cervello sul pianeta contiene una tale profusione di idee così furiosamente divertenti.

Mel Brooks può scambiare "vun-liner ebrei" con qualsiasi persona, ma il suo mestiere naturale è lo sketch. Vede l'assurdo in personaggi, situazioni e temi e negli ultimi dieci anni ha imparato a intrecciarli tutti in narrazioni drammatiche.

 

In Per favore, non toccate le vecchiette (1968), il suo tema era il mito del successo ed esporre le sue assurdità, Brooks ha raccontato una storia gloriosamente squallida su una coppia di perdenti che non riusciranno nemmeno a fallire.

Il mistero delle 12 sedie (1971) era una grande risata cavallina alla politica di sinistra, un racconto picaresco in cui l'avidità di un uomo prende allegramente a calci i suoi ideali sociali.

In Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974), una pazza farsa antirazzista, Brooks ha usato l'America centrale come cittadinanza per un film western e per vedere cosa sarebbe successo se si fosse presentato loro uno sceriffo molto nero.

 

E ora, in Frankenstein Junior, ha affrontato la farsa operistica dei grandi film horror degli anni '30, ha intrapreso il tema più ambizioso che abbia mai esplorato: il folle ma magnifico tentativo dell'uomo di prendere il posto di Dio come creatore della vita.

 

Ora 47enne, Mel Brooks apprezza il suo successo nei cinema proprio perché è arrivato così tardi.

 

Nato nel quartiere più povero di Brooklyn, ha perso suo padre presto, è stato cresciuto da una madre laboriosa, a 14 anni è diventato un intrattenitore nella Borscht Belt e a 21 è entrato in televisione come gag man per Sid Caesar.

Dopo essersi prepotentemente ritagliato un posto come capo-sceneggiatore finisce al verde quando Caesar fu messo fuori onda, in seguito si risolleva economicamente con un disco, la classica commedia The 2,000-Year-Old Man e una serie televisiva di spionaggio (Get Smart!).

Ha raggiunto di nuovo il fondo quando i suoi primi due film falliscono al botteghino. Si salva grazie all’imprevedibile successo di Mezzogiorno e mezzo di fuoco (Warner Bros. pensò che il film fosse un disastro che potesse essere rivenduto al massimo per i drive-in), Brooks è ancora superstizioso riguardo la sua fortuna.

 

“Ci crederò solo quando sarò morto”, dice con un ghigno preoccupato, “tra 5 anni potrei essere di nuovo nella merda.”

 

L’ansia bracca Mel Brooks da sempre.

Dice un amico: "Mel va in ansia facilmente. Perdere una qualsiasi cosa è come perdere tutto.

È un ragazzo estremamente affettuoso e amorevole, ma deve fare a modo suo. Deve essere sicuro."

 

Mel si rassicura istituendo quella che lo stesso amico definisce una "tirannia di gentilezza."

Controlla il mondo intorno a sé facendo la mamma ebrea con chiunque sia in vista.

Nei modi più amichevoli e divertenti dice al suo produttore, al suo cameraman, ai suoi attori e ai suoi amici cosa mangiare, cosa indossare, quando attraversare la strada, quando andare da un medico, che tipo di auto è meglio per loro, come affrontare i loro problemi personali e commerciali.

 

“E un consiglio di Mel è sempre ottimo”, dice uno dei suoi produttori. “è il maniaco più sano che abbia mai conosciuto.”

 

Mel Brooks mantiene la sua sanità mentale con un attento equilibrio di duro lavoro e cucina casalinga.

Alle sei di mattina, quando gira un film, afferra una tazza di caffè veloce, si infila in bocca una manciata di gomme da masticare Trident e parte a masticarle come una sega circolare.

 

“Mel Brooks respira ossigeno puro”, dice uno dei suoi assistenti. 

“Quando I nostri menti cascano sul tavolo, lui sta ancora camminando sul soffitto.”

 

Dopo la fine delle riprese di Frankenstein Junior, ne ha curato il film fotogramma per fotogramma almeno 12 volte e nell'ultima settimana di produzione ha trascorso diverse ore in una sala di registrazione sniffando, grugnendo, ringhiando, gemendo, sospirando per riempire le piccole lacune della traccia audio.

 

"Quell’uomo è un demone", dice uno dei suoi redattori.

"Nient’altro che la grandezza lo soddisferà. Ha la solitaria passione per la perfezione."

 

Mel Brooks ha anche una passione per la vita familiare e vive in un notevole ménage.

È sposato con Anne Bancroft, considerata da molti critici l'attrice americana più talentuosa oggi al lavoro.

 

"Anne è un'attrice al 1000%", dice un'amica di famiglia, "e una moglie al 1000%.

È la donna di Mel Brooks fino al midollo. Una volta, mentre giravamo in Jugoslavia, i piedi di Mel si sono congelati per via delle basse temperature.

Riesco ancora a vederla lì sul pavimento, il suo viso scioccata e i suoi grandi occhi scuri pieni di orrore, mentre sfrega i suoi piedi e singhiozza come se il suo cuore si fosse spezzato."

 

La devozione di Anne viene restituita.

Tranne quando il calendario delle riprese richiede più ore, Mel Brooks stacca dal lavoro alle 6 di sera e si dirige verso casa. Solo gli amici intimi sono invitati a visitare la casa dei Brooks.

"Dove si mangia", dice semplicemente, "è sacro."

 

Brad Darrach, un giornalista freelance, è stato assegnato da Playboy per intervistare Mel Brooks.

Brooks ne è stato lusingato.

Fu già intervistato da Playboy nell’ottobre 1966, quindi stava per diventare la prima persona intervistata due volte dalla rivista. Tuttavia, anche se sempre amichevole e affascinante, Brooks ha rifiutato categoricamente, all'inizio, di discutere qualsiasi aspetto della sua vita privata e, per più di un mese dopo l'arrivo di Darrach a Hollywood, disse che era troppo impegnato a montare Frankenstein Junior per prendersi del tempo per interviste formali.

 

Ha permesso a Darrach di guardare il processo di montaggio, tuttavia, e gradualmente lo ha ammesso nella sua famiglia di lavoro.

 

Ecco il resoconto di Darrach:  

"Dopo cinque settimane, le interviste sono iniziate.

Si sono svolte presso l'ufficio di Mel Brooks, nel palazzo principale della 20th Century Fox.

Abbiamo avuto 12 sessioni in tutto, per un periodo di tre settimane.

Iniziavamo ogni giorno verso le 11:45 e finivamo intorno all’una.

 

Per la prima sessione, la segretaria di Mel Brooks, Sherry Falk, e io abbiamo riunito un pubblico di sceneggiatori, registi, produttori e le loro segretarie.

Dopo questa prima sessione però non c’è stato più alcun bisogno di invogliare la gente a partecipare. Ruotando e sorridendo da dietro la sua grande scrivania ricurva, piena di fogli, mentre ci saltava su e gridava e si agitava per la stanza mentre sparava cose con e senza senso, Brooks ha fatto cadere la gente dalle loro sedie fin dall’inizio dell’intervista.

 

Sentendo il trambusto, altre persone sono arrivate correndo da tutto l'edificio.

Durante ogni sessione, 15 o 20 persone andavano e venivano, mentre una mezza dozzina sorrideva dalla porta.

Per preservare il sapore frenetico della scena, ho lasciato nell'intervista alcune di queste interruzioni.

 

Nelle ultime due sessioni di registrazione, che sono state condotte in privato, Brooks ha finalmente rivelato i dettagli della sua vita personale e ha fatto delle potenti dichiarazioni su se stesso e la sua filosofia che concluderanno l'intervista.

 

‘Spero che tu ne abbia avuto abbastanza,’ ha detto quando l'ultima sessione è finita. ‘La mia lingua è morta. 

Playboy dovrà pagare il funerale e mettere una statua della lingua di Mel Brooks a Central Park.' "

_____________

 

 

[Mel Brooks]

 

Mel Brooks: [mentre succhia una manciata di Raisinet ricoperti di cioccolato e li mangia da dietro un ghigno da ragazzino di Brooklyn]

Va bene, chiedi pure, ragazzo ebreo, o qualsiasi cosa tu finga di essere.



 

Playboy:

Da un episcopaliano a un altro, che ne dici di dare ai nostri lettori un'idea di come sei veramente? 

Ci saranno tre tue foto sulla prima pagina di questa intervista, ma non ti renderanno giustizia.



 

Mel Brooks: 

Non voglio essere vanitoso, ma potrei anche essere onesto. Sono alto un metro e ottanta.

Ho una massa di capelli biondi dritti che arriva dall’attaccatura dei capelli fino agli occhi. Sensazionali occhi blu-acciaio, più blu di quelli di Newman.

Muscoloso ma stravagante, come Redford. L'unico problema è che non ho il culo.

 

Playboy: 

Che fine ha fatto?



 

Mel Brooks: 

È caduto durante la guerra. Ora al suo posto ho una scatola della United Fruit e cago pere.



 

Playboy:

Parlaci delle tue orecchie.

 

Mel Brooks: 

Le mie orecchie sono molto simili a quelle di Leonard Nimoy, sai, Mr. Spock su Star Trek, il ragazzo con le orecchie a punta.

È andata così: una sera io e Leonard siamo usciti e prima di cena abbiamo bevuto 35 margarita. Ci siamo svegliati in un canile.

C'erano quattro grandi danesi, due per ogni lato. Le loro orecchie erano già state tagliate. Pure quelle di Leonard.

Mi sono alzato, mi sono toccato le orecchie e, ahimè, anche le mie.



 

Playboy:

E di quel naso che mi dici?

 

Mel Brooks:

Ti sei visto il tuo? Il mio è aquilino, manca solo una piccola lampadina alla fine.



 

Playboy: 

Vorresti avere una lampadina?

 

Mel Brooks: 

Certo, ne vorrei una accesa da 60 watt. Attrarrebbe le falene.

E mi avrebbe aiutato a leggere di notte sotto le coperte al campo estivo.

Vuoi dei Raisinets? Abbiamo menzionato Raisinets in Mezzogiorno e mezzo di fuoco e ora la società me ne invia una vagonata ogni mese.

Una vagonata di Raisinets! Prendi 50 scatole. I miei amici mi stanno evitando. Sono la causa principale del diabete in California.

Seriamente, sono comodi tappi per le orecchie. O si potrebbe iniziare una nuova scuola di scultura Raisinets. No?

Lo sapevi che Playboy in yiddish è Spielboychick?

È vero che sono l'unica persona che sia mai stata intervistata due volte [fischio spaccatimpani] da Playboy?

 

Playboy:

Sì, e cominciamo a pensare di aver fatto un terribile errore.

Tra l’altro, a cosa attribuisci questo onore?

 


Mel Brooks:

Al mio momento artistico più alto, a differenza della mia statura.



 

Playboy:

Dal momento che ne hai parlato, perché così piccolo?

 

Mel Brooks:

Intendi me o alcune parti di me?

Ok, vuoi che ammetta che sono una persona di un metro e quaranta, lentigginoso di estrazione ebraica? Lo ammetto.

Tutto tranne l'estrazione. Ma essere basso non mi ha mai dato fastidio per più di tre secondi.

Il resto del tempo volevo suicidarmi.



 

Playboy:

Ora sappiamo che aspetto hai. Cosa fai per vivere?

 

Mel Brooks:

Faccio ridere la gente.

Credo di poter dire oggettivamente che quello che faccio lo faccio bene come chiunque altro.

Ma posso dire senza ombra di dubbio di essere uno dei migliori corridori mai esistiti. Ho iniziato nel '38 e vado ancora forte nel '75.

Per 35 anni sono stato un eroe cult, underground. Prima ero un comico di comiche, poi sono diventato uno sceneggiatore comico di sceneggiature comiche. Quando andavo dove lavoravano, i comici famosi diventavano bianchi. "Mio Dio, è qui! Il Maestro!"

Ma non sono mai stato un grande nome per il pubblico. E poi improvvisamente sono riemerso.

Mezzogiorno e mezzo di fuoco mi ha reso famoso. Brooks il Pazzo.

Più risate al minuto di qualsiasi altro film, almeno fino a Frankenstein Junior.



 

Playboy: 

Cosa c'è di così speciale nella tua comicità?

 

Mel Brooks: [tirando su la cornetta mentre squilla il telefono]

Qui Mel Brooks. Vogliamo 73 cappellini da festa, 400 palloncini, una torta per 125 e una qualsiasi delle ragazze che sono disponibili in quei costumi che hai mandato prima.

Grazie! [Sbatte la cornetta] 

Stavi dicendo?

 

Playboy:

Cosa c'è di così speciale…

 

Mel Brooks:

La mia comicità è blu notte. Non nera, voglio troppo bene alle persone.

Blu notte, e puoi trasformarla in un cappotto se sei di guardia sulla prua di una nave che solca l'Atlantico settentrionale.

I bottoni sono molto neri, molto lucidi e molto grandi.



 

Playboy:

A proposito, sei stato accusato di volgarità.

 

Mel Brooks:

Stronzate!

 

Playboy:

E di essere indisciplinato nelle commedie che scrivi e dirigi.

 

Mel Brooks:

Anarchico, dicono i critici.

Mia madre dice, "Un archi?" Lei pensa che io sia un architetto.

La mia comicità è da grandi città, ebraica, o qualunque cosa io sia. È energica. Nervosa. Pazza. Ma si può sapere cosa importa ai lettori di Playboy della comicità?

Non stanno leggendo questa intervista.

Sono tutti seduti sul water col poster centrale aperto, a fare Dio solo sa cosa.

 

Playboy:

Da dove viene il tuo senso dell’umorismo?

 

Mel Brooks:

L'ho trovato tra la South Third e la Hooper.

Era in un minuscolo pacchetto avvolto da nastro isolante ed etichettato come “Buon Umorismo”.

Quando l'ho aperto, è saltato fuori un grande genio ebraico.

"Ti darò tre desideri", ha detto. "Uh, facciamo due."

 

Playboy:

Dove si trovano South Third e Hooper?

 

Mel Brooks:

A Brooklyn. Sono nato a Brooklyn il 28 giugno 1926, al dodicesimo anniversario dell'esplosione dell'arciduca Ferdinando d'Austria.

Vivevamo al 515 di Powell Street, in un condominio. Sono nato sul tavolo della cucina.

Eravamo così poveri che mia madre non poteva permettersi di avermi; mi ha dato alla luce la signora della porta accanto.

 

Il mio vero nome era Melvin Kaminsky.

L'ho cambiato in Brooks perché Kaminsky non ci stava su un tamburo quando facevo il batterista.

Il nome da nubile di mia madre era Kate Brookman. È nata a Kiev. Mio padre è nato a Danzica. Maximilian Kaminsky. Era un ufficiale giudiziario e morì quando avevo due anni e mezzo di tubercolosi del rene. 

Non sapevano come guarirlo, niente antibiotici a quei tempi.

 

Ancora oggi mia madre si sente in colpa per il fatto che siamo rimasti orfani così presto. 

 

 

[Mel Brooks appena nato e già con un sorriso furbetto]

 

 

Playboy:

Com'è tua madre?

 

Mel Brooks:

Mia madre è bassissima, sarà 1 metro e 25. Può camminare sotto i tavoli e non sbattere mai la testa.

Era una vera eroina.

Si ritrovò sola con quattro ragazzi e senza reddito, così ha ottenuto un lavoro al Garment District. Lavorava dieci ore e poi portava il resto del lavoro a casa.

Faceva le fasce dei costumi da bagno fino all'alba, poi dormiva qualche ora, ci svegliava per portarci a scuola e poi tornava al lavoro.

Mia zia Sadie, che Dio la benedica, ci ha dato una specie di stipendio che ci ha tenuto in vita. E poi i miei fratelli hanno cominciato a lavorare. Irving era il più grande, poi Leonard, Bernie e io.

Irving e Lenny andarono al lavoro a 12 anni, si poterono permettere la scuola e portarono la famiglia fuori dalla rovina grazie a cibo e vestiti.

 

Peter Hyams: [un giovane elegante con i capelli neri, infila la testa nella porta e guarda confuso]

Scusate, è questa la classe di educazione sessuale?

 

Mel Brooks:

Ecco che arriva Peter, gente, il noto regista di Mani sporche sulla città e Una valigia piena di dollari.

Tu conosci tutti qui, penso, Peter, e tutti ti conoscono e ti disprezzano [si alza e urla] COME UN MOLESTATORE DI BAMBINI SCHIFOSO E DEGENERATO!

Senza offesa. [si siede, sorridendo dolcemente]

 

Peter Hyams:

Mel, perché ti trattieni?

 

Mel Brooks:

Non sopporto ferire i sentimenti delle persone.

 

Playboy:

Mi stavi parlando di Irving e Lenny.

 

Mel Brooks:

Giusto. Irving lavorava tutto il tempo: ecco come ha fatto a inserirsi alla scuola serale del Brooklyn College.

Quasi dieci anni per laurearsi. È un chimico e se la passa molto bene ora.

Ha la sua azienda, fa attrezzature paramediche. Irving è stato come un padre, molto severo. Nessuna imprecazione quando si stava in famiglia.

Anche se dicevo la parola “chiappe” Irving mi avrebbe dato un ceffone. Bernie era basso, ora è alto 1 metro e 67, ma era un grande lanciatore di softball.

Anche un grande battitore. Mio fratello Lenny era alla sua altezza. Lenny ha una personalità gioiosa e affascinante. Buon cantante. Avrebbe dovuto essere nel mondo dello spettacolo.

Bernie ora possiede una libreria a Riverside, California. Lenny lavorava per l'Amministrazione dei Veterani, ora è in pensione e vive a Fort Lauderdale.

 

Playboy:

Tua madre ha avuto il tempo di badare a te?

 

Mel Brooks:

Ero adorato. Ero sempre per aria, lanciato, baciato e gettato di nuovo per aria.

Fino all'età di sei anni i miei piedi non hanno toccato il pavimento. "Guarda quegli occhi! Quel naso! Quelle labbra! Quel dente! Allontana quel bambino da me, presto! Altrimenti me lo mangio!"

Rinunciare a tutto questo è stato molto difficile più tardi, nella vita.

 

Mia madre era la migliore cuoca del mondo. "Faccio le matzoh balls", diceva sempre, "ti piaceranno da matti!"

Poi tutta la notte si sedeva a cucire, premendo strass, perdendoci la vista. Donna meravigliosa!

Ora ha 78 anni ed è pimpante come un grillo. L'ho portata a Las Vegas non molto tempo fa.

Ama le lobby, al diavolo le grandi stelle del Cinema e il gioco d'azzardo. A lei piacciono le lobby.

Agli ebrei piacciono le lobby.

 

Playboy:

Hai preso il senso dell'umorismo da tua madre?

 

Mel Brooks:

Più da mia nonna. Parlava a malapena inglese, ma inventava barzellette bilingue.

"Melbn? Es var a yenge mann gegange a fare una visita, OK?" Un giovane è andato a fare la visita medica per entrare nell’esercito.

"Geht Zürck und Sagt, ‘Mamma, ich bin Vun-A!'" dice a sua madre che ha un-A.

"Alla mamma è saltato il cappello dalla gioia 'Vunderbar! Allora non partirai per esercito!'

‘Ma, Mamma! un-A significa perfetto! Vado!’

‘Bubele! Che dici? Come possono prenderti con un-A?’"

 

Be’, alla fine ho capito che voleva dire sta barzelletta: A suonava come Ei in yiddish.

Ei significa uovo, e uovo significa testicolo.

Forte la nonna, eh?

 

Playboy:

Non male. Hai qualche altro-

 

Mel Brooks:

Fermo! Non muoverti! È il momento di una nota citazione dal vinile “2013-Year-Old Man” del presidente Mel.

Ta-daaaa!

"SE I PRESIDENTI NON LO FANNO ALLE LORO MOGLI, LO FARANNO AL PAESE!"

Stavi dicendo?

 

Playboy:

Qualche altro parente memorabile?

 

Mel Brooks:

Sì, zio Joe. Lui era un filosofo, molto profondo, molto serio.

"Mai mangiare cioccolato dopo il pollo", ci diceva, agitando il dito. "Non comprare una cintura di cartone", diceva.

 

O ci avvertiva - avevamo 5 anni - "Non investire. Metti i soldi in banca. Anche la terra potrebbe affondare."

Ti veniva a toccare il braccio mentre giocavamo a stickball.

"Sposa una grassa figliola", bisbigliava. "Sono forti. Lavorano per te. Non sposare una faccia. Ti mettono sotto."

 

Aveva grandi similitudini. "Intelligente come un pollo" era una di queste.

"Quel ragazzo ha gli occhi di un pipistrello. Non sbaglia un colpo!"

Più tardi, eravamo adolescenti, giravamo intorno al negozio di caramelle e si avvicinava.

"Di cosa parlate, ragazzi?"

"Auto nuove."

 

"Hmmmm." Si accarezzava il mento.

"Per quanto mi riguarda", diceva finalmente, "van bene tutte!"

 

 

[Mel Brooks e i suoi fratelli negli anni ’30]

 

 

Playboy:

come passavate il tempo tu e i tuoi amici?

 

Mel Brooks:

Giocavamo a stickball, inseguivamo i gatti. Correvo sempre.

Ero un secco e fibroso piccolo ebreo dall’energia infinita.

Un giorno stavamo giocando a punchball, che è tipo stickball, solo che con un pugno colpivi una palla di gomma o una palla da tennis liscia.

C'era una Chevrolet del '36 parcheggiata sulla nostra strada e mi sono tolto il mio nuovo maglione peloso come un cammello datomi allo Yom Kippur e l'ho appoggiato con molta attenzione in quel bell’avvallamento davanti al parafango dove c'era il faro. Mentre stavamo giocando improvvisamente vedo questa bellissima Chevy nera del ‘36 allontanarsi e decollare.

Whoosh! Ci sono corso dietro.

“Questo è fallo!” mi urlarono dietro gli altri. Ma ero già sparito, al diavolo il gioco.

 

Capirai cosa me ne importasse in confronto a un maglione dello Yom Kippur!

Ho inseguito la macchina per 20 minuti, fino a Flatbush. Alla fine, sono riuscito a beccare l’auto intorno ad Avenue U. Jesse Owens non sarebbe mai riuscito a fare quella corsa.

Soltanto un ragazzo ebreo di dieci anni col fisico di un attaccapanni poteva riuscirci. Ma quando ho recuperato il mio maglione, mi accorsi di essermi perso.

Non avevo idea di come tornare a casa. Ho preso il tram di Nostrand Avenue. Sono arrivato fino a un quartieraccio irlandese.

“Hell-OOOOO, Yussel!”

Sono scappato prima di sentire altro. Come ne I 400 colpi, ho corso finché non sono arrivato al mare.

Coney Island. Ho corso 16 chilometri.

Mi ci è voluta un’ora e mezza per tornare a casa. Ma ho recuperato il mio maglione dello Yom Kippur peloso come un cammello.

 

Playboy:

Sei mai scappato di casa?

 

Mel Brooks:

Non credo che gli ebrei lo facciano.

Scappare per quale ragione? Ma abbiamo fatto spesso l'autostop al ponte di Williamsburg per cercare lavoro.

Avevamo 11 anni e cercavamo lavoro a New York. Giravamo per il Lower East Side e per quattro centesimi compravamo una tonnellata di crauti e ci abbuffavamo, poi stavamo male.

Tornavamo a piedi, nessuno ti dava un passaggio di notte. Era una passeggiata di 20 minuti sul ponte. Da qualche parte, al centro del ponte, ci spaventavamo e cominciavamo a correre. Cento metri sotto c’era l’acqua.

Se ci cadevi dentro chi ti salvava? Gli ebrei a quel tempo mica sapevano nuotare.

 

Playboy:

Perché?

 

Mel Brooks:

L'unico posto dove potevi nuotare era il McCarren Park, che era in una zona di Gentili di Brooklyn.

Potevamo andarci solo se eravamo dai 6 ai 12 ragazzi. Altrimenti ci avrebbero attaccati. Negli spogliatoi una banda di ragazzi irlandesi, polacchi o italiani ti avrebbe ispezionato. Avrebbero visto che eri circonciso, così sapevano chi era chi.

A quei tempi i bambini Gentili non erano circoncisi. Ci avrebbero inseguito per bullizzarci.

 

Playboy:

Avevi armi?

 

Mel Brooks:

Mai. Perché allora si sarebbero fatti prendere dal panico e mi avrebbero mandato un centinaio di persone.

Niente armi a quei tempi.

 

Playboy:

Hai mai commesso crimini?

 

Mel Brooks:

Sì. Rubavo pretzels al negozio di dolciumi Feingold. 

 

Playboy:

Eri un bambino selvaggio.

 

Mel Brooks:

Non solo, c'erano anche le Penny Picks, caramelle ricoperte di cioccolato, bianche all'interno.

Se ne trovavi una con l’interno rosa avevi un centesimo di caramelle gratis. Grattavamo il fondo del cioccolato con le unghie fino a quando non si vedeva il mignolo.

Povero Mr. Feingold. Non ha mai capito come facessimo a trovarne così tante di quelle rosa.

Il che mi ricorda: Raisinets? Prendine un paio.

 

Playboy:

No, grazie. Nessun criminale minorenne nel tuo quartiere?

 

Mel Brooks:

Certo, io! C'erano questi esperti giapponesi di yo-yo che si esibivano al Woolworth.

Erano fantastici al punto che pure i manager interrompevano il loro lavoro per guardarli fare i “walk the dog” e “skinny up a pole” e tutta quella roba.

"Ok", dicevamo "la piazza è libera." E rubavamo qualcosa.

 

Una volta ero con Mandel il Muscoloso e mi hanno beccato a prendere una pistola a tappo da 20 centesimi.

Il direttore mi ha afferrato e ha detto, "Preso!"

Gli ho puntato la pistola contro e ho urlato, "Stai indietro o ti faccio saltare la testa!" ha fatto un passo indietro.

Tutti hanno fatto un passo indietro, e con quella pistola giocattolo appena rubata mi sono dato alla fuga! Che idioti!

Sapevano che era una pistola di tappo eppure indietreggiarono!

Ho usato questa gag più in là in Mezzogiorno e mezzo di fuoco.

 

Ma che ca-- [Brooks guarda in alto, spaventato. Un attore che indossa una maschera de Il pianeta delle scimmie sta passeggiando lungo il corridoio al di fuori del suo ufficio, come se non ci fosse nulla di insolito nel suo aspetto. Si affaccia con noncuranza nell’ufficio di Brooks. Con altrettanta noncuranza Brooks gli fa un cenno]

 

Ehilà, ragazzo. Si lavora? [L'attore ricambia il cenno e passa oltre]

 

Playboy:

Come te la cavavi a scuola?

 

Mel Brooks:

Gli insegnanti mi picchiavano un sacco. Il signor Ziff portava un cronometro con un cordino di pelle, come il capitano Queeg.

Se ti avesse visto strisciare o anche solo guardare qualcun altro, ti avrebbe dato una bella botta dritto in un occhio con quel cordino. La signora Hoyt ti colpiva la fronte col palmo della mano, spezzandoti un po’ di ossa nel collo. La signora Adela Williamson ti torceva l'orecchio finché non ti si fosse staccato.

Tutti nella sua classe erano potenziali Van Gogh o acrobati. Ho imparato a fare le capriole all’indietro per colpa sua.

 

Ero un ragazzo brillante ma mi annoiavo, così cercavo di divertirmi un po’.

Magari mi interrogavano su Colombo. Dicevo una scemenza tipo: "Certo, l’impresa di pulizie Colombo, quella tra la quinta e Hooper".

La classe cominciava a ridere e arrivavano le botte. Poi scoppiavo a ridere e non la finivo più.

Mi tiravano un ceffone, mi afferravano per i capelli, mi trascinavano nell'ufficio del preside ma non riuscivo a smettere di ridere.

Pure se il preside mi avesse colpito, buttato giù dalle scale e mi avesse lasciato sanguinante sul marciapiede non sarei riuscito comunque a smettere di ridere.

 

Playboy:

In cosa eri bravo a scuola?

 

Mel Brooks:

A emozionarmi. 

Quando dovevo leggere un brano, mi trasformavo in un maniaco dagli occhi selvaggi, lanciavo le braccia in aria e annunciavo, come un soprano squillante: "LA MIA GIORNATA IN COLONIA!" 

 

 

[Un giovane Mel Brooks negli anni ’40]

 

 

Playboy:

Quali erano i tuoi libri preferiti?

 

Mel Brooks:

Fumetti sconci. Roba di 8 pagine.

La mia soglia dell’attenzione era bassa.

No. In realtà mi piacevano Robinson Crusoe, Black Beauty, le solite cose. Ma non ero un grande lettore.

Non riuscivo a stare seduto abbastanza a lungo.

 

Playboy:

Che ne pensi della scuola ebraica?

 

Mel Brooks:

Shul, la chiamavamo così. Ci sono andato per un po'. Circa 45 minuti. Eravamo figli di immigrati.

Ci dicevano che la vita religiosa era importante, così ce la siamo bevuta.

Fingevamo, annuivamo come se stessimo pregando. Imparammo abbastanza ebraico da affrontare il bar mitzvah. L'ebraico è una lingua molto difficile per gli ebrei.

E abbiamo sofferto l'incredibile alito di quei vecchi rabbini. Si giravano verso di te e dicevano, "Melbn, fammi un brilche. Un brüüüüüche!" Non capivi mai che dicevano.

Tre parole ed eri sul pavimento perché quell’alito ti consumava la faccia. Nessuno sopravviveva all’alito di rabbino.

Dio solo sa cosa mangiassero, aglio e ragazzini ebrei probabilmente. Terribile!

 

Playboy:

Andavi spesso al cinema?

 

Mel Brooks:

Scherzi? Quelle discariche aprivano alle dieci di sabato mattina e io ero sempre lì.

Entravamo con 11 centesimi, mi scaricavano lì con Baby Ruths, O'Henrys e delle barrette Mars. Non c’erano Raisinets a quei tempi.

Sherreee! Porta dei Raisinets! Playboy sembra un po’ sciupato! No? Bastardo d’un Goy!

Senza offesa.

Comunque, al cinema, prima che le luci si spegnessero, volavano graffette dappertutto.

Ti colpivano dietro la testa, ti si conficcavano nel cervello, oppure colpivano lo schermo come fossero pioggia durante tutto il film. Poi, verso le 11 di sera, intravedevi uno spiraglio di luce.

Un usciere mi avrebbe schiaffeggiato e una donna ebrea subito dietro di lui avrebbe urlato: "Melvin! Devi mangiare!"

 

Playboy:

Quali erano i tuoi film preferiti?

 

Mel Brooks:

Quelli horror. Frankenstein mi ha fatto venire gli incubi.

Dormivo sulla scala antincendio in estate e il mostro saliva a prendermi. E proprio quando mi metteva la mano sulla faccia, non facendomi respirare, vedevo il bagliore di quelle barre di metallo sul suo collo e mi svegliavo urlando "Frankensteiiiiiin!”.

Ho spaventato tutti in casa. E lo urlo ancora.

Non dirlo a nessuno, ma guardo Frankenstein Junior da dietro le dita. [Squilla il telefono] Ci penso io, Sherry. 

 

Pronto? Cleavon Little! La stella nera di talento di Mezzogiorno e mezzo di fuoco! Amo il tuo viso!

Qui parla il tuo obbediente ebreo. Come stai? Cosa posso fare per te?

…Stai cercando una parte che farà di te un milionario? Ci sono!

Interpreta Blanche du Bois. Esatto, quella di Un tram che si chiama Desiderio. Saresti il primo ragazzo nero a interpretare Blanche.

In Tennessee lo adorerebbero. Ma fallo bene. Vai in Danimarca, fai l'operazione. Potremmo presentarlo a Mobile, in Alabama, e avere recensioni sensazionali.

Cani della polizia. Sirene. Con un po' di fortuna, potresti diventare il primo martire transessuale!

…Sì, Cleavon, sì! Non essere strano! Amo i tuoi piedi! [Riattacca]

Parla, Playboy.

 

Playboy:

Stavi parlando di crescere a Brooklyn durante la Depressione.

In qualche modo, da come ne parli, lo fai sembrare un posto felice.

 

Mel Brooks:

Scherzi? Sono successe cose terribili. La gente povera moriva come le mosche.

La cosa peggiore fu quando una donna si suicidò gettandosi dal tetto di un palazzo a South Fifth Street e Hooper. Fu un casino, terribile, ci misero sopra un lenzuolo, tutto intorno c’erano solo volanti della polizia. Corremmo tutti a vedere, tutto il quartiere era nel panico. Tragedia, gente!

Comunque, proprio quella notte mia madre decise di lavorare fino a tardi, ma io non lo sapevo.

Quindi, quando arrivai al corpo, vidi queste scarpe spuntare da sotto il lenzuolo e sembravano terribilmente simili a quelle di mia madre. Dio, fu il momento peggiore mai vissuto fino a quel momento.

 

Rimasi a fissare il corpo in silenzio.

Fu allora che il mio amico Izzie fece una battuta di cattivo gusto: disse che non poteva essere mia madre, perché mia madre era così pesante che cadendo avrebbe rotto la strada.

Sai, sembra assurdo, ma anche se solo un pochino quella battuta mi aiutò.

Dissi “Sì, hai ragione, quelle gambe per terra sono magre.” Mi diede una piccola speranza, solo per un po’.

Ma oh, Dio, quanto sudai le ore successive attendendo che mia madre tornasse! Quando la vidi arrivare corsi e le saltai addosso.

“Perché mi stai abbracciando una gamba? Fammi salire le scale!” Che sollievo! Incredibile!

È stato un momento magico.

 

Playboy:

Quando hai scoperto che potevi essere divertente?

 

Mel Brooks:

Sono sempre stato divertente. Ma la prima volta che ricordo è stato al Sussex Camp per Bambini Svantaggiati.

Avevo sette anni e qualunque cosa dicessero gli animatori io la capovolgevo.

"Mettete i vostri piatti nella spazzatura e accatastate gli scarti, ragazzi!"

"Rimani all'estremità bassa della piscina finché non impari ad annegare!"

"Chi l'ha detto? Kaminsky? Prendilo! Tienilo fermo!" Schiaffo!

Ma agli altri ragazzi piacque ed ebbi successo.

 

Avevo bisogno di avere successo. Ero basso. Ero magro.

Ero l'ultimo che sceglievano quando facevano le squadre. "Oh, e va bene, lo prendiamo. Mettetelo in campo."

Non ero un cattivo atleta, ma gli altri ragazzi erano campioni.

Nei quartieri poveri ebrei, ogni bambino superava il chilometro orario. Avevano una forza straordinaria. Loro erano grandiosi e io invece me la cavavo.

Ma io ero più brillante della maggior parte dei bambini della mia età, per questa ragione frequentavo ragazzini più grandi di me di un paio d’anni. Perché permettevano a questo gracile bambino di uscire con loro? Gli ho dato una ragione.

Sono diventato il loro giullare. Inoltre, erano terrorizzati della mia lingua. Era talmente affilata che poteva infilzar loro un occhio.

Leggevo un po' più di loro, così ogni tanto dicevo "Non toccarmi, lebbroso!"

"Ehi! Mel mi ha chiamato labbroso!"

"Schmuck! Ho detto lebbroso!" Le parole erano il mio equalizzatore.

 

Playboy:

Dove andavate? Nel cortile della scuola?

 

Mel Brooks:

Scherzi? Non vedevamo l'ora di allontanarci da scuola.

Andavamo per strada e poi all’angolo. Ci incontravamo lì perché c'era una drogheria o un negozio di caramelle.

Ce ne stavamo tutti sul marciapiede con il caldo e avevamo discussioni, raccontavamo barzellette, ridevamo. Si guardavano le ragazze e ci facevamo delle creme all’uovo. Ma la cosa principale erano i corner shtick [racconti di strada], così li chiamavamo, e nella nostra gang ne ero il campione indiscusso.

 

Playboy:

Ci fai un esempio?

 

Mel Brooks:

L'angolo era tosto. All’angolo si dovevano fare punti, non raccontavi cazzate quotidiane o schifezze edulcorate.

Era tipo: "Lascia che ti dica cos'è successo oggi…" E dovevi essere brillante.

"Hymie il ciccione era appeso alla scala antincendio. Si è avvicinata sua madre e ha urlato 'Hymie!'. È cascato da due piani e si è spaccato la testa."

Storie tragiche, ma reali.

 

La storia doveva essere vera e doveva essere divertente. Se qualcuno si era fatto male era fantastico.

"Hai sentito cos'è successo a Miltie con la Buick?"

"Cosa? Cosa?"

"Stava facendo un giro sui suoi pattini…"

"Sì? Sì?"

"Oogah! Oogah!"

Miltie ha pensato che fosse un complimento, quindi non ci ha badato. E bam!

La Buick l’ha preso proprio nel culo. Ha fatto un salto mortale. Crunncchh! Ha perso i sensi, lo hanno portato al Saint Catherine’s Hospital.

C’erano le suore con lui. ”Sono andato a trovare Miltie, che si trovava disteso su dei cuscini, molto tranquillo."

"Chi sono questi pinguini?" mi chiese. "E perché vogliono che io faccia pipì continuamente?"

 

Playboy: 

Abbiamo sentito che la medicina è una specie di hobby con te.

Come ti ci sei interessato?

 

Mel Brooks:

Ho sempre pensato che fosse bello poter far sentire meglio le persone. Era un po' come essere Dio.

Così ho iniziato a prendere controllo della cosa quando qualcuno si faceva male giocando a palla. "Metti il mercurocromo. Poi mettici un cerotto. Svelto! Flappy è svenuto. Portate una crema all’uovo!"

 

Playboy:

La crema all’uovo ha proprietà curative?

 

Mel Brooks:

La crema all’uovo può fare qualsiasi cosa. Una crema all’uovo per un ebreo di Brooklyn è come l'acqua per un arabo.

Un ebreo ucciderebbe per una crema all’uovo.

È la Malvasia ebrea.

 

Playboy:

Come lo prepari?

 

Mel Brooks:

Primo, devi procurarti una lattina di sciroppo di cioccolato Foxs U-Bet. Se usi qualsiasi altro tipo di cioccolato, la crema all’uovo sarà troppo amara o di gusto troppo lieve.

Prendi un grosso bicchiere e riempine un quinto con lo sciroppo U-Bet. Poi aggiungi circa mezzo bicchierino di latte.

E devi avere il seltz col beccuccio a due velocità.

Una da figlio di puttana bastardo che schizza fuori come un proiettile facendoti spaventare; l’altra velocità, invece, da normale persona come si deve, viene fuori bene, soffice e schiumosa.

Schiaccia prima la velocità bastarda, quella a proiettile.

Penetra il latte e il cioccolato e amalgama il cioccolato furiosamente tutto intorno al bicchiere.

Poi, quando la miscela è a metà del bicchiere, schiaccia il flusso delicato e riempi il resto del bicchiere di seltz, nel frattempo si mescola con un cucchiaio.

 

E poi gustatela. Ma prima siediti, perché potresti svenire dall’estasi. 

 

 

[Una crema all’uovo]

 

 

Playboy:

Ma non ci sono uova nella crema all’uovo.

 

Mel Brooks:

Questa è la parte migliore. Sia la meraviglia che il mistero.

I saggi talmudici per generazioni hanno riflettuto su questa domanda profonda.

Perché non ci sono uova in una crema all’uovo? Be’, 1000 anni fa forse ci saranno state. Joe Heller è molto brillante e pensava fosse così.

Ma anche Georgie Mandel e Speed Vogel sono brillanti, e concordano con il ragionamento di Julie Green.

Disse: "Le creme all'uovo si chiamano così perché la parte superiore di una crema all'uovo ben fatta sembra il bianco dell’uovo sbattuto."

Non posso offrirti un crema all'uovo ora, ma che ne dici di Raisinets?

Se raschi via il cioccolato da 5000 Raisinets puoi farci una crema all’uovo.

 

Playboy:

Quanto costa una crema all’uovo?

 

Mel Brooks:

Tre centesimi o sei centesimi, a seconda di quanto è grande, o almeno quando ero ragazzo. Oggi sarà triplicato.

Certo, se tu fossi stato Izzie Sugarman, avresti risparmiato tutta la settimana per la misura più grossa.

Voglio dire, il bicchiere era grande come un secchio, e ogni bambino del quartiere sarebbe stato lì a guardare se l’avesse bevuto tutto. Poi avremmo aspettato il primo rutto.

Go-O-O-O-O-orch! E poi due o tre più piccoli.

Se si stava troppo vicini ti avrebbe spruzzato addosso.

 

Playboy: 

Secondo te che fa una crema all’uovo?

 

Mel Brooks:

Fisicamente, contribuisce leggermente ad alzarti la glicemia.

Psicologicamente, è l'opposto della circoncisione. Riafferma piacevolmente la tua ebraicità.

Ma cos'è tutto ‘sto interesse per la crema all’uovo?

 

Non è un'intervista di Playboy?

Quando mi chiederai del sesso? 

_______________________

 

Proseguite l'intervista leggendo qui la Parte 2 

e leggendo qui la Parte 3! 

 

 

[Disegno di Isabella Di Leo dedicato a un giovane Mel Brooks]

 

 

Scopri tutti i segreti sulla realizzazione del film Frankenstein Junior e sull’amicizia che ha unito Mel Brooks e Gene Wilder nella graphic novel “Si Può Fare! Nascita di un sodalizio mostruoso” di Isabella Di Leo, edita da BeccoGiallo.

 

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