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La Napoli di mio padre - Recensione: un nostalgico sguardo al presente

Il corto documentario diretto da Alessia Bottone, vincitore della menzione speciale al Bellaria Film Festival

Durante la 38ª edizione del Bellaria Film Festival, concorso cinematografico italiano dedicato al Cinema indipendente, La Napoli di mio padre si è aggiudicato la menzione speciale Bei Doc.

 

Diretto da Alessia Bottone, La Napoli di mio padre è un corto documentario, esempio perfetto di come il ristretto minutaggio di questo genere possa essere sfruttato al meglio, risultando in un'opera dall'intensa carica emotiva.

 

La Napoli di mio padre La Napoli di mio padre

 

Su un treno diretto verso Napoli, Alessia osserva il padre Giuseppe guardare fuori dal finestrino mentre la strada che lo separa dalla sua città natale scorre al di là del vetro.

 

Ripensa a tutte quelle volte in cui, fin da bambina, lo ha visto nella medesima posa osservare fuori dalla finestra della loro casa, senza capire cosa facesse esattamente il suo papà.

 

Del resto è difficile vedere le fratture di un'anima migrante, arduo è sentire l'eco delle difficoltà più o meno lontane, nel tempo e nello spazio, di cui si è fatto carico.

Anche se quegli sforzi sono stati una sorta di investimento per regalare a noi stessi una vita migliore: empatizzare con chi lascia la propria terra e la propria famiglia è uno sforzo che non tutti sono in grado o, peggio, sono interessati a fare.

Pensano che non li riguardi.

 

Ma Alessia vuole scoprire cosa c'è di speciale in quell'orizzonte che da sempre incanta il padre.

 

"Chi sei, papà?

Cosa vedi fuori da questo finestrino?"

 

L'esaustiva risposta, ricca di aneddoti e ricordi, ci verrà data direttamente da Giuseppe che, da narratore, ci porterà in viaggio per i vicoli del folcloristico quartiere Vicaria: i bizzarri e caratteristici personaggi, gli schiamazzi, i rumori della bottega del calzolaio e l'odore del pesce fresco al mercato.

 

La strada, i sogni e due taralli in tasca in una Napoli d'altri tempi.

 

 

La Napoli di mio padre La Napoli di mio padre

I ricordi dei migranti meridionali diretti verso le più ricche e industrializzate città del nord: giacche sdrucite e coppola in testa, valigia di cartone chiusa alla meglio con uno spago e tanta malinconia negli occhi incomprensibile per chi, come Giuseppe, non era uno di loro.

 

Una malinconia che segna per sempre chi lascia la terra natia, gli affetti di una vita, e che poco più tardi avrebbe conosciuto anche Giuseppe.

 

Ma se dalle scene in bianco e nero dell'Italia post-bellica si aggiunge un po' di colore e si sostituiscono i treni con barche e gommoni, il risultato è lo stesso: migranti costretti ad abbandonare tutto ciò che nessuno, potendo scegliere, vorrebbe abbandonare, diretti lontano verso una terra conosciuta solo di nome.

Quasi una leggenda.

 

La Napoli di mio padre ci fa riflettere su quanto tutti noi siamo generatori di flussi migratori o siamo stati noi stessi generati da tali flussi: nipoti di bisnonni emigrati in America a fine '800, figli di genitori che si sono trasferiti al nord Italia negli anni '50 o più contemporanei studenti che dopo un Erasmus si sono stabiliti in un paese europeo perché offriva loro più opportunità. 

Siamo sempre stati e sempre saremo migranti, nomadi in giro per il mondo ma, dopo esserci stabiliti, a fatica, è quasi come se volessimo dimenticarci dei sacrifici fatti e con insensata cattiveria neghiamo l'aiuto a chi è addirittura in fuga da guerre e carestie.

 

Come se tendendo una mano, aiutando, ci fosse il rischio di assorbire le pene altrui, trasformandosi in una sorta di John Coffey de Il miglio verde.

 

 

[Immagini di repertorio concesse dalla ONG Sea-Watch]

 

Fortunatamente non tutti si dimenticano delle proprie origini o vogliono nasconderle.

 

Tra questi c'è sicuramente il papà di Alessia la quale, alla domanda su quale fosse l'insegnamento più grande che le avesse dato suo padre risponde:

“La libertà: mi ha insegnato a cercare di raggiungerla.

Libertà dal giudizio e dal pregiudizio"

 

In collaborazione con l'Istituto Luce, La Napoli di mio padre è stato realizzato con materiale di archivio nell'ambito del Premio Zavattini, con il forte sostegno della Cineteca di Bologna e dell'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico che hanno concesso preziose immagini e filmati di repertorio.

 

Oltre a Giuseppe Bottone, interprete di se stesso, a prestare la voce alla figlia del protagonista è l'attrice Valentina Bellè che qui regala un bel ritmo alla narrazione.

 

Sperando che gli schermi di qualche cinema possano presto dare la meritata visibilità a questo prezioso pacchettino di dolce malinconia, per il momento ci proviamo noi raccomandandovi caldamente la sua visione e lasciandovi con un inno alla libertà, al viaggio, all'essere nomadi come il vento.

 

"Poserò la testa sulla tua spalla

e farò

un sogno di mare

e domani un fuoco di legna

perché l’aria azzurra

diventi casa

chi sarà a raccontare

chi sarà

sarà chi rimane

io seguirò questo migrare

seguirò

questa corrente di ali."

La Napoli di mio padre La Napoli di mio padre

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