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Lacci - Recensione: sciolti o stretti, ci fanno inciampare

Un dramma familiare che intriga, addolora e scava; attraverso scrittura e regia solide e performance autentiche

''Gli unici lacci della nostra famiglia sono quelli con cui mamma e papà si sono torturati tutti questi anni''.

 

Un dramma familiare che intriga, addolora e scava, attraverso scrittura e regia solide e performance autentiche.

Potremo mai mettere una pietra sopra la famiglia del Mulino Bianco?

 

“È difficile soffrire in modo simpatico": così Aldo giustifica la moglie Vanda di fronte agli amici, più o meno nel secondo atto del film, per i suoi ossessivi tentativi di raccogliere i cocci di un abbandono del tetto coniugale e il suo essere pedante riguardo la crescita dei figli condivisi in questo matrimonio di fatto finito.  

 

Per me questa è stata una delle frasi clou, perché oltre ad essere vera e universale, riassume il fatto che in Lacci tutti i membri di questa famiglia post-sessantottina soffrono in modo poco simpatico.

 

[Trailer ufficiale di Lacci]

 

 

Il dramma familiare, presentato in apertura della 77ª Mostra del Cinema di Venezia, viene portato sulle spalle di attori noti e immensi di diverse generazioni che però hanno a disposizione un terreno solido dove tirare fuori il meglio delle proprie caratteristiche, quello preparato dal regista Daniele Luchetti e a sua volta da Domenico Starnone, scrittore dell’omonimo romanzo da cui è tratto il film.

 

Vanda (Alba Rohrwacher, Laura Morante) e Aldo (Luigi Lo Cascio, Silvio Orlando) sono sposati da dodici anni e hanno due figli in età scolare, Anna (Giulia De Luca, Giovanna Mezzogiorno) e Sandro (Joshua Cerciello, Adriano Giannini).

 

Vivono a Napoli, città del marito dove la moglie lo ha seguito, mentre lui continua a lavorare in radio a Roma.

 

Alla fine di una giornata di festa con altre famiglie, tornano a casa per concludere la serata con un po’ di TV e un bagno caldo; ma dopo aver raccontato una storia ai figli e aver dato loro il bacio della buonanotte, Aldo si ritrova con Vanda in cucina e di punto in bianco le confessa di essere andato a letto con un’altra donna.

 

 

[Alba Rohrwacher è la giovane Vanda in Lacci]

 

Fin da subito la reazione di Vanda è singolare, confusa, più ferita dal fatto di saperlo che dal fatto stesso, e poco dopo lo caccia di casa, perché così pensa di dover fare; in realtà, subito se ne pente e da qui comincia la sua “battaglia” per riportare suo marito a casa, a qualunque costo.

 

Per buona parte del primo atto di Lacci viene molto facile prendere le parti della donna tradita, non tanto nell’orgoglio quanto nel progetto di vita che aveva in mente per sé e la sua famiglia - “I bambini hanno diritto ad avere una famiglia, a cenare tutti insieme, guardare la televisione, darsi il bacio della buonanotte e andare a dormire”.

 

Man mano, però, la prospettiva si ribalta e diventa sempre più chiaro come questa moglie e madre abbia assunto dei comportamenti paranoici, ossessivi, osteggianti, rivolti contro il marito, ma che minano anche il benessere dei figli che vedono e sentono tutto.

 

Dall’altra parte c’è Aldo, che dopo aver ammesso subito la propria colpa cercando di minimizzare, coglie l’opportunità di essere uscito di casa e cerca di vivere serenamente la nuova storia d’amore con la collega Lidia (Linda Caridi), che non somiglia per nulla alla moglie, scura di occhi e di capelli, dolce e graziosa, ma anche di mantenere il suo impegno di padre con entusiasmo ma con poca iniziativa.  

 

 

[Da una scena di Lacci] Lacci Lacci

 

 

Ho visto Lacci due volte: la prima a Venezia in solitaria e la seconda con mio padre, perché lo trovo estremamente indicato per famiglie che hanno vissuto delle separazioni, ed entrambe le volte sono stata profondamente colpita.

 

Ho ricordato sensazioni simili a quelle provate poco tempo fa guardando Storia di un Matrimonio, che era stato osannato da critica e pubblico per quanto fosse “autentico”.

 

Lacci, per tanti e ovvi motivi, non riceverà lo stesso marketing e la stessa ovazione del film di Noah Baumbach, più pop e più incentrato sullo svisceramento del turbolento divorzio di una coppia di gente bella e di successo; ma è anch’esso uno studio approfondito, arrabbiato, deluso, pessimista su cosa succede quando un matrimonio si sfalda con dei bambini di mezzo.  

 

 

[Adam Driver e Scarlett Johansson in Storia di un Matrimonio]

 

È ironico peraltro notare che alla fine ci siano sempre dei “lacci” coinvolti.

 

Così come Scarlett Johansson allacciava le scarpe ad Adam Driver in segno di legame e affezione eterni, nel film di Luchetti i Lacci delle scarpe giocano un ruolo ancora più fondamentale come metafora del legame familiare e, inoltre, come esca che servirà a far tornare il marito fedifrago a casa dalla sua famiglia, in nome di “quel patto” e “quella decisione definitiva” fatti, vincolandosi in un matrimonio, anni prima.

 

La storia di per sé è semplice e tipica di qualunque famiglia stia affrontando una separazione, così come è tipico ma estremamente intrigante e bilanciato il raccontare il punto di vista di lei e di lui alternando passato e presente, ma quello che ho trovato in più e che mi ha fatto interiorizzare tutta la vicenda e i sentimenti di ognuno, è stato innanzitutto la presa in esame di un periodo più lungo, tanto da rendersi necessario il cambio di attori.

 

Come si suol dire “i conti si fanno alla fine” e dopo trent’anni di matrimonio gli elementi per fare i bilanci e lanciarsi in furiose litigate ci sono tutti, soprattutto se è stato portato avanti a forza.

 

Laura Morante e Silvio Orlando sono ruggenti e isterici in quel modo solito che trovo estremamente comico.

Anche nella vecchiaia i personaggi hanno mantenuto il profilo coerente con i loro sé più giovani e rendono chiarissimo il concetto che sia un matrimonio tra due persone che non si piacciono né si capiscono - "Per stare insieme bisogna parlare poco, l'indispensabile".

 

Chi lo sa bene è proprio Vanda, che ha lottato per riprendersi in casa, perfino facendosi del male, il marito innamorato di un’altra donna, a cui ha fatto giurare di non pronunciare più il suo nome una volta tornato a casa.

Tutto in nome non del bene dei figli, come vuole far credere agli altri e a se stessa, ma di una quasi vendetta personale, per poter essere lei quella a fargli del male.

In realtà, non ha fatto nemmeno questo.

Si è accontentata ed è vissuta nella frustrazione, perdendo tempo e felicità.

 

D’altra parte Aldo, che viene definito più volte un “passivo”, non ha mai avuto la forza di prendere una decisione e seguirla fino in fondo - "Non sarai mai ciò che vuoi essere, ma solo quello che ti capita".

 

Incapace di restare, se ne va; incapace di stare fuori, torna; incapace di tenere i piedi in due scarpe, sta immobile.

 

Dopo aver fatto la cosa che sembrava giusta, in base a quelle aspirazioni da famiglia borghese, non gli resta che andare avanti nascondendo ogni altra possibile storia e pensare alle foto di Lidia.

 

 

[Linda Caridi è Lidia, la donna che mette in moto la storia di Lacci]

 

 

In questo limbo doloroso, tenuto in piedi per la parvenza di un falso equilibrio familiare, c’è la seconda cosa che mi ha smosso profondamente, ben più importante, e cioè il punto di vista dei bambini che si fa largo dapprima in modo timido fino a diventare sempre più evidente, con loro che diventano adolescenti e poi adulti, fino ad affidare a loro il compito di bucare la mongolfiera.

 

Al di là delle considerazioni ovvie sui traumi che possano sviluppare i figli di una coppia separata in malo modo, anche se poi riunita sotto le più ipocrite stelle, mi ha ferito vederli soffrire da piccoli indifesi, vittime dell’isteria materna e dell’assenza paterna, considerati solamente dal punto di vista degli adulti, del marito e della moglie che si lasciano.

 

E in un crescendo Lacci mi ha dato il colpo di grazia quando sono diventati parte attiva del racconto mostrandosi con le fragilità sviluppate da quel dolore, riesaminando i dettagli della loro vita familiare, con tanto di rancore e frustrazione.

 

 

[Un esplicito momento di Lacci]

 

 

Anna e Sandro spiegano a posteriori con lucidità gli stati d’animo che noi stessi spettatori avevamo visto lungo il film, ma su cui noi adulti non ci eravamo nemmeno fermati a indagare, troppo presi, proprio come i loro genitori, dai contrasti di coppia.

 

Anna ad esempio si è sentita in colpa perché, nonostante gli sforzi di sua madre per fargliela odiare, guardava alla nuova compagna del padre con ammirazione.

 

Se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria, Anna ha deciso di non avere figli mentre Sandro ha deciso di essere migliore dei propri genitori, per quanto possibile.

Nemmeno fra loro due c'è un rapporto idilliaco.

 

Entrambi però concordano: i loro genitori hanno rovinato se stessi e i loro figli, portando avanti una storia fallita, senza fare i conti fino in fondo con la realtà e le proprie responsabilità verso se stessi e chi stava loro attorno; consci del fatto che "ognuno ci ha messo del suo".

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