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Perché è il momento giusto per guardare La classe operaia va in paradiso

La Festa dei Lavoratori ai tempi della quarantena è il momento giusto per rispolverare uno dei capolavori del duo Elio Petri-Gian Maria Volonté 

Premettendo il fatto che La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri è un film che andrebbe visto a prescindere e in qualsiasi periodo storico, sicuramente questo 1° maggio 2020 sembra sia stato scritto apposta da una mano divina per essere onorato con quest’opera. 

 

La data della Festa dei Lavoratori che cade il 1° maggio fu stabilita a Parigi nel 1889 dopo un episodio avvenuto tre anni prima a Chicago, il cosiddetto Massacro di Haymarket: un sanguinoso scontro tra i lavoratori in sciopero per i propri diritti e la polizia.

La richiesta principale era quella di imporre il limite delle otto ore lavorative su tutto il suolo americano.

 

Certamente non è bastato sottolineare una data sul calendario per risvegliare definitivamente le coscienze della borghesia imprenditoriale e dei magnati capitalisti.

 

 

[Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901]

 

 

Da allora la storia dei lavoratori di tutto il mondo ha assunto diverse tinte politiche, con una predilezione per le sfumature del rosso.

 

Il mondo del lavoro, che è per sua natura plastico, si evolve seguendo le dinamiche del mercato, della tecnologia.

Allo stesso modo le richieste dei lavoratori non possono essere definitive.

 

Oggi si parla delle condizioni opprimenti dei riders, dei lavoratori nei campi importati dai paesi più poveri, dei braccialetti per i magazzinieri di Amazon.

Levita anche lo spettro della robotizzazione di alcuni mestieri, così come aumenta la sensibilità verso la questione ambientale.

 

Se da un lato con l’emergenza Covid-19 nel nostro Stato si è cominciato a parlare di smartworking in maniera più decisa, dall’altro, seppur piuttosto timidamente, è emerso nuovamente il problema della classe operaia.

 

I talk show televisivi si sono attrezzati con le videochiamate: schiere di politici, intellettuali e imprenditori si dilettano in questioni retoriche e hanno tutti come sfondo una libreria.

Per alcuni, dal loro modo di parlare, è lecito pensare che i libri siano finti o che non siano mai stati aperti. 

 

Tra un volo retorico e un pizzico di propaganda veniamo subissati dalla retorica dell’eroe.

 

Improvvisamente categorie intere, in cui l’individuo non è nient’altro che il mestiere che fa, vengono definite in blocco.

Buoni contro cattivi.

Utili contro inutili.

 

La colonna sonora di bambini che cantano alla finestra, gli hashtag e i gessetti colorati sulle lenzuola bianche che edulcorano tutto.

 

 

[Andrà tutto bene: produci, consuma, crepa... e fallo sorridendo]

 

Inizia la caccia alle streghe: droni che rincorrono runners, Barbara D’Urso e Matteo Salvini che intonano l’Eterno Riposo per difenderci dai padroni di cani che si allontanano di 6 centimetri dall’isolato di casa.

 

Nel frattempo ci siamo dimenticati di tutti i Lulù che hanno continuato a lavorare quasi per tutto il tempo in fabbriche che, grazie a escamotage e corsie preferenziali, non hanno chiuso.

 

Ci siamo dimenticati di tutti i Lulù che salgono sugli autobus e sulla metro, assembrandosi, favorendo il contagio per portare il pranzo sulla tavola della famiglia.

 

 

[Ludovico Massa, detto Lulù, è il protagonista de La classe operaia va in paradiso]

 

 

Ancora una volta è una questione di classe. 

 

Ci siamo dimenticati di tutti i Lulù che restano a casa, ma non hanno nemmeno un balcone a cui affacciarsi. 

Parliamo di restare a casa dalle nostre ville, dalle nostre campagne, dai nostri giardini, dai nostri terrazzi, ma Lulù è nel suo salotto, circondato da oggetti inutili in un salotto piccolo in cui si soffoca in tre.

 

Ed è proprio per questo che nel giorno della Festa dei Lavoratori 2020 dobbiamo guardare La classe operaia va in paradiso

 

Lulù, interpretato da un mastodontico Gian Maria Volonté, ha solo trentun anni ma sembra averne cinquanta.

È lo stacanovista lombardo per antonomasia.

Riversa tutta la sua energia nel lavoro, in cui sublima anche i suoi istinti sessuali.

 

Ha voglia di far sesso solo in fabbrica. 

 

["Un pezzo, un culo!"]

 

 

Lavora per vivere, vive per il lavoro.

 

Non esiste giorno o notte, estate o inverno; la sua vita è scandita dai ritmi metallici della catena di montaggio. 

Ci siamo dimenticati de La classe operaia va in paradiso perché parla delle lotte politiche dei primi anni ’70 e ci sembra un argomento lontano, impalpabile; ai nostri occhi i vari Lulù sono ormai anziani in pensione. 

 

In questo film viene sottolineato l’eterno cruccio della sinistra: l’incolmabile distanza tra i teorici e le necessità impellenti delle masse.

Sindacati e movimenti studenteschi non parlano la lingua degli operai. Cinquant’anni dopo rimane un tema attuale. 

 

Non viene risparmiata nemmeno la classe dirigente e il liberalismo di destra, complice di sacrificare esseri umani all’altare del dio denaro.

Cinquant’anni dopo anche questo rimane un tema attuale.

 

Il personaggio di Militina (Salvo Randone), che Lulù va a trovare come percependo la similitudine dei loro destini, lo avverte.

È la voce della follia di un uomo saggio in un mondo marcio.

 

“Lulù, è il danaro, comincia tutto di là.

Ah! Noi facciamo parte dello stesso... giro. Padroni e schiavi, dello stesso giro!

L'argent! I soldi!

Noi diventiamo matti perché ce ne abbiamo pochi e loro diventano matti perché ce ne hanno troppi.

 

E così, in questo inferno, su questo pianeta, pieno di ospedali, manicomi, cimiteri, di fabbriche, di caserme... e di autobus, il cervello poco a poco... se ne scappa.

Sciopera! Sciopera! Sciopera, sciopera!”

 

 

[Gian Maria Volonté e Salvo Randone ne La classe operaia va in paradiso]

 

 

Ciò che sembra non essere più considerato attuale è il focus sull’essere umano.

 

La macchina da presa incornicia il volto di Gian Maria Volonté in inquadrature claustrofobiche, primi piani sul suo volto confuso, vuoto, apatico.

I rumori metallici spaccano i timpani.

L’essere umano subisce l’indifferenza, mentre la macchina merita amore: è la sintomatologia di una società consumata dall'ulcera del denaro. 

 

“Lavoratori, buongiorno.

La direzione aziendale vi augura buon lavoro.

 

Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione.

Le misure di sicurezza suggerite dall'azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina.

Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione.

Buon lavoro”
 

Ed è dall’essere umano che è necessario ripartire.

 

Questo è un concetto esente dalla prova del tempo.

L’essere umano alienato nella propria casa, rimbambito dalla televisione, strattonato dalle promesse elettorali è l'atomo della società.

 

È l’essere umano che si sente di dover ringraziare i suoi aguzzini per il lavoro. 

È il lavoro che diventa privilegio e non diritto.

 

Lulù si trancia il dito per compiacere i padroni e guadagnare qualche spicciolo per accumulare inutili beni di consumo, l’operaio in fabbrica oggi agisce sotto la minaccia impalpabile di una pandemia.

 

 

[Scena da La classe operaia va in paradiso: gli operai iniziano una nuova giornata di lavoro nella catena di montaggio]

 

La scelta tra la salute e il lavoro sembra inequivocabilmente pendere verso il secondo.

 

Un’opera dello spessore de La classe operaia va in paradiso non può appartenere a un’epoca diversa che non sia la Storia nella sua universalità; è necessario contestualizzare, estrapolare e estrarre, smontare le impalcature storiche per trovarne i nuclei tematici.

Del resto quale sarebbe altrimenti il ruolo del critico e del divulgatore?

 

Bisogna ricordare Lulù, bisogna ricordare quanto l’alienazione lo renda suscettibile alle posizioni più estreme.

Bisogna ricordarlo quando i leader politici irretiscono le classi operaie, ponendoli dinnanzi a buffet con caviale e champagne mentre rubano fino all'ultima mutanda.

 

Il titolo del film richiama essenzialmente l’ideale calvinista per cui il duro lavoro è ricompensato dall’accesso al privé del Regno dei Cieli.

Religione e politica son fumo negli occhi: in quest’opera, tutta intrisa di marxismo, l’essere umano è abbandonato a false promesse e a falsi idoli.

 

Guardiamo La classe operaia va in paradiso in occasione della Festa dei Lavoratori per scrivere nero su bianco nelle nostre piccole e forsennate testoline che il Cinema è senza dubbio un amico con cui condividere la noia in quarantena.

 

Ma è anche testimone della Storia che viene e profeta di quella che verrà.  

 

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