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Costruire un proprio gusto per non indispettire Frank Zappa

Se ti piace un film difettoso non sei in difetto e non lo sei nemmeno se ti piace l'intrattenimento esclusivo: l'importante è non essere cinefilo a tutti i costi

In Metal Gear Solid 2: Sons of LibertyHideo Kojima racchiudeva nella narrativa del titolo le sue preoccupazioni riguardo la montagna di informazioni spazzatura che Internet avrebbe prodotto a una velocità spaventosa, mettendo su un piedistallo ''mezze verità'' molto comode, del tutto irrilevanti ma utili a fomentare l’ego di molti, rallentando il progresso del genere umano e, sostanzialmente, ingolfando l’evoluzione fino a farla collassare su se stessa.

 

 

Hideo Kojima temeva il decadimento dei meme. 

 

Che non sono le immaginette divertenti su internet, bensì elementi e comportamenti di una cultura tramandati di individuo in individuo non per via genetica.

 

Per chi scrive è alquanto impossibile riassumere in un articolo un'opera che, nel 2001, ha predetto quello che è il presente attuale.

 

Andando all’osso, e perdonatemi se sarò brutale nel farlo, Kojima aveva anticipato come Internet avrebbe favorito il diffondersi dell'effetto Dunning-Kruger, condannandoci a un futuro dove la storia doveva dare battaglia a un mare di spazzatura di informazioni forse eternamente presente sulla rete, tanto quanto nelle convinzioni di un’enorme fetta della popolazione mondiale. 

 

Pensate solo a quanto è difficile eradicare una palese bugia dalla mente di chi ne è caduto preda… terrapiattismo, I’m talking about you. 

 

Al tempo stesso Kojima, per bocca dei suoi Patriots, mette in discussione il nostro libero arbitrio e la nostra capacità di prendere decisioni. 

 

Il futuro avrebbe portato al collasso della civiltà non soltanto per l’inquinamento causato da una cascata incontrollabile di informazioni, ma soprattutto a causa di un difetto insito nella natura umana: siamo animali incompetenti rispetto alla capacità di formulare un giudizio utile ed esercitare quindi il libero arbitrio. 

 

 

[I dialoghi Codec di MGS2 sono fondamentali per capire la filosofia dei memi sfruttata da Kojima]

 

 

Il nostro io, il sé filosofico, è una maschera, un avatar per usare un termine più consono al mezzo che stiamo usando, per nascondere il fatto che siamo creature soggette a molteplici influenze, portati a usare le verità più comode e già scoperte o forgiate da altri, disposti ad accettare solo e unicamente ciò che ci aggrada e che contribuisce a costruire il sé che più vorremmo vedere o che crediamo di essere. 

 

Il discorso sul narcisismo lo evito e vi rimando al pezzo dedicato al buon Woody Allen

 

Raiden, il protagonista di Sons of Liberty, parte da una condizione nella quale il suo sé è quello di un soldato che obbedisce ciecamente agli ordini, aderendo all’ideologia militare, e verso la fine della vicenda, quando comincia a lottare contro i Patriots, ribellandosi alle sue stesse convinzioni, segue principi morali e filosofici che, come gli fanno notare i suo avversari, sono frutto delle influenze di qualcuno che lo ha guidato, portandogli nuove verità: Solid Snake.

 

Quei principi di libertà così alti sono quindi frutto del suo pensiero, della sua fibra morale o sono il comodo vessillo che gli è più comodo in quel momento?

 

Se la metafora di Kojima non vi è congeniale o non vi aggrada, potete leggere il libro di Jonah BergerInvisible influence, dove l’autore sostiene come il 99,9% delle nostre scelte sia condizionato da fattori esterni dei quali non siamo consapevoli.

 

Ho scoperto il libro grazie a un bellissimo articolo del columnist del The Guardian Oliver Burkemanpotete trovare i suoi articoli tradotti in italiano sul sito di Internazionale

 

Nel pezzo il giornalista incalza una breve riflessione, mettendo sotto i riflettori come si faccia fatica persino a scegliere autonomamente una marmellata da uno scaffale del supermercato o come, venendo a un pensiero personale e basato su fatti più recenti rispetto all’articolo, molti si siano fiondati a comprare lievito e farina pur non avendo mai incrociato un forno o un impasto nemmeno per sbaglio, e nemmeno se costretti da una pistola puntata alla tempia. 

 

 

[Oliver Burkeman ha una prosa straordinaria e un grande pensiero]

 

 

Siamo inqualificati a gestire il libero arbitrio e scegliamo i comportamenti e le credenze per reazione rispetto a un esterno o a qualcosa che ci è stato imposto e tendenzialmente abbracciamo correnti opposte per ribellione a qualcosa che odiamo e rinneghiamo.

 

Influencer ed esperti di marketing, grazie a Internet, hanno massimizzato un fenomeno sociale esistente e non hanno inventato nulla di nuovo, ma solo trovato la loro fortuna.

 

Noi, in quanto fruitori, siamo presi nel mezzo e cadiamo vittime, a nostra volta, di un sistema viziato che mette nella bocca di megafoni incompetenti facili verità che raccogliamo avidamente e lo facciamo per pura convenienza.

 

In nome di cosa lo facciamo?

In nome del gusto.

 

Il gusto è forse una delle insegne più utili a definire e presentare una persona, insieme ovviamente ad altre caratteristiche.

Il gusto definisce, in parte, se siamo interessanti, intelligenti, stimolanti, al passo con il tempo o pionieri di un brillante futuro in divenire.

 

Ma il gusto si forma con le nostre opinioni.

Con scelte, in teoria coscienti, che vanno a definire il nostro pensiero verso qualcosa come, in questo caso, l'idea di Cinema. 

 

E come scegliamo la nostra idea o il nostro ideale di Cinema?

 

Generalmente, proprio per dare senso al ragionamento portato avanti da Hideo KojimaOliver Burkeman e Jonah Berger, non lo facciamo. 

 

O, meglio, ci lasciamo influenzare da una serie di fattori esterni al fine di trovare la maschera di verità più comoda e più vicina da indossare, entrando nel gruppo che più ci è comodo. 

 

 

[Se esiste una certa maschera comica e se Carlo Verdone l'ha rappresentata così bene, esiste una ragione]

 

 

I social media, molto più velocemente rispetto al mondo reale, accelerano ed estremizzano questo processo, creando correnti di pensiero granitiche eppure fragili come la pasta frolla.

 

La loro durevolezza è quasi insignificante al confronto con il mondo reale, ma crea comunque un impatto tale da generare i mostri. 

 

Escludendo quella deriva fantozziana, lo sfogo da ragionier FantoCCi, che vorrebbe gridare alla “cagata pazzesca” in cerca di applausi a ogni voce che cerchi di spostare il discorso su un piano vagamente più complesso, il male peggiore del sentire moderno nei confronti del Cinema credo sia quello dell’arte a tutti i costi. 

 

Quella cafona concezione per la quale se il film non è di Park Chan-wook, ma non Oldboy che è troppo commerciale, o di Andrej Tarkovskij, allora sei un villico che non conosce il cinema e guai a te se provi a parlare di tale argomento senza rispettare la categorica media di visione che spingerebbe qualsiasi essere umano a sentirsi borderline hikikomori. 

 

Il tuo gusto e il tuo parere, se non veneri tale via del bushido cinefilo, vale quanto lo scaracchio e sei meritevole di derisione. 

 

Se conoscete qualcuno così, non vogliategli male, ma limitatevi a frequentarlo quanto basta. 

 

 

[Non solo la vostra opinione vale come lo scaracchio, ma siete considerati anche... troppo Italiani! Un modo "fine" per darvi dei provinciali]

 

 

Questa concezione di Cinema è, tanto quanto quella fantocciana del commento sganassone e giù a ridere, a dir poco miope, in parte tossica, infantile e figlia probabilmente di una montagna di insicurezze che portano la persona a coprire il proprio io e il proprio gusto con delle convinzioni atte a farlo sentire protetto tra le mura di un club ristretto, migliore rispetto alla massa che, in qualsiasi altro campo, lo userebbe per ramazzare il suolo. 

 

È una sorta di sindrome di Peter Pan che lega molti al proprio ambiente accademico, colpevole spesso di inculcare tali convinzioni nei propri studenti, poiché incapaci o troppo poco capaci per passare dalla conoscenza enciclopedica all’applicazione dei concetti. 

 

Studiare, sapere, approfondire, ha poco senso se resta un esercizio mnemonico per partorire supercazzole letterarie che tentano di spiegare cosa sia bello o brutto senza poi davvero spiegarlo, poiché in realtà non si è davvero capito. 

 

Federico Fellini ha diretto alcuni dei film migliori della Storia per delle ragioni ben specifiche. 

 

Quentin Tarantino è uno dei registi più interessanti della sua generazione e del Cinema post-moderno per molte ragioni tecniche.

 

La bellezza dei film e della poetica di un autore quale Hayao Miyazaki è spiegabile e riconoscibile in strutture che possono essere, come tutte quelle degli autori sopracitati e di molti altri, tramandate al prossimo come meme, cari a Kojima, e quindi spiegati.  

 

 

[Sei Marshal Eriksen e le sue skittles che si riversano nel silenzio di una sala gremita di gente a guardare un quadro che non capisce. Ma definisce "arte"]

 

 

Il cinefilo trincerato dietro le parole e dietro la “sensibilità dell’artista”, cosa che non sei se non fai arte e se quest’arte non è presente nel mondo e riconoscibile dai fruitori, è probabilmente riassumibile nella definizione data da Frank Zappa:

“I critici musicali sono persone che non sanno scrivere, che intervistano persone che non sanno parlare, per un pubblico che non sa leggere.”

 

La bellezza di un film, per così dire d’autore, può essere spiegata e veicolata al pubblico in modo da non suonare come dei perfetti e pomposi idioti.

 

Premettendo questa condizione, non si può avere l’arroganza di far sentire lo spettatore in difetto quando, pur capendo i punti di vista tecnici, continua a non gradire tale approccio al Cinema per preferirne uno più leggero. 

 

Il Cinema non nasce come forma d’espressione artistica suprema a riflettere sulla condizione torturata dell’uomo, e non cresce, come sostengono spassosi e poco dotati registi italiani, come mezzo d’espressione elitario riservato solo ed esclusivamente a pochi eletti dotati di forte sensibilità artistica e talento - altrimenti loro stessi ne sarebbe esclusi… yeiks!

 

Quando Georges Méliès metteva su pellicola i suoi film, composti principalmente dai primi effetti speciali, desiderava far sognare il suo spettatore mostrandogli avventure fino ad allora immaginate attraverso le descrizioni nei libri. 

 

Il suo intento non era certo quello di riflettere sul significato della vita e dell’uomo, bensì creare puro intrattenimento perseguendo comunque la sperimentazione cinematografica.   

 

 

 

 

Un principio seguito anche da quel geniaccio di James Cameron, la cui filmografia è costellata di pellicole realizzate con l'idea di esplorare nuove tecniche di regia ed effettistica. 

 

Avatar è innegabilmente un film mediocre nella sua narrativa, riproponendo un canovaccio archetipico familiare e per certi versi immortale, ma il pubblico fantocciano che ha criticato quella scelta non ha capito che il focus era quello di meravigliare il pubblico con una avanzata ed evoluta tecnica di regia e resa 3D - obiettivo poi ampiamente centrato e motivo del successo del film in sala. 

 

Alfred Hitchcock girava in teatri di posa thriller, film di suspense, gialli ed è diventato il Maestro di questa disciplina.

 

Se la storicizzazione lo ha portato a sedere su di un piedistallo il suo presente lo ha visto molto spesso criticato e denigrato. 

 

A tal proposito fatevi un favore e leggete Il Cinema secondo Hitchcock, di François Truffaut.

 

Truffaut critico e cineasta sapeva, studiando e amando davvero il mezzo cinematografico, come la magia del Cinema passasse per la voglia e l’entusiasmo di un autore di stupire, catturare, spaventare e sfidare, nel buio della sala, il suo pubblico. 

 

Non per nulla ha deciso di fare parte del cast di quel film, ancora oggi fondamentale nel suo genere, che è Incontri ravvicinati del terzo tipo 

 

 

 

 

Opera di Steven Spielberg, un genio del Cinema moderno, che ha scandito la sua carriera pertendo da Duel, proseguendo con Sugarland ExpressLo SqualoE.T. - L'extraterrestre e portando al cinema principalmente film di largo intrattenimento. 

 

Guardando alla filmografia di David Lynch, potete trovare principalmente influenze di genere horror, thriller e anche in un film come Inland Empire l'autore è riuscito a sfogare quella voglia di comicità che non è riuscito a portare sullo schermo con progetti come One Saliva Bubble - che aveva già in produzione e nel cast Steve Martin e Martin Short. 

 

E chissà come sarebbe stata la sua detective story Ronnie Rocket e il più recente script mai realizzato Antelope don’t run no more.

 

Insomma, anche un artista come David Lynch si arma di una poetica sì particolare che viene ritenuta da molti elevata e artistica, e che è spiegabile nella sua struttura ma viene da un ideale di Cinema dove il pensiero principale è quello di raccontare una storia e d’intrattenere.  

 

Il Cinema non è un mezzo elitario per il critico sapiente e non deve essere sempre e comunque perfetto, considerando come la perfezione sia praticamente impossibile da raggiungere nel Cinema. 

 

Impossibile poiché chiunque abbia avuto una minima esperienza produttiva è conscio di come anche il migliore autore, prendiamo Stanley Kubrick, un regista che studiava meticolosamente i suoi film per mesi o anni, una volta arrivato sul set doveva fare i conti con i concetti dettati dalla meccanica quantistica e dalle variabili nascoste. 

 

 

[Poi c'è Cats che è così sbagliato che nessuno si è accorto che il treno strava deragliano e il macchinista era ubriaco. Hype.]

 

 

Il caso non esiste tanto quanto la sfortuna e questi elementi esoterici che fanno parte dei misteri delle nostre vite, sono in realtà la summa di una serie di variabili generate dalla complessità delle situazioni. 

 

Più una produzione è complessa, più elementi imprevedibili o fuori dal nostro controllo potranno andare per il verso sbagliato, compromettendo non solo la visione del regista ma anche la riuscita del suo film, mutandone spesso drasticamente messaggio o tono della messa in scena. 

 

Qui su CineFacts.it è pieno di aneddoti a riguardo… anzi è il dannato cuore di tutta la baracca

 

La perfezione non l’ha raggiunta nemmeno Stanley Kubrick e, che vi piaccia o meno, alcuni suoi film, anche quelli perfettamente scolpiti e curati nei minimi dettagli, vivono di imprecisioni.

Piccole, ma presenti. 

 

Quelle imprecisioni però gli danno quel gusto che… vediamola così: forse lo stesso Kubrick le avrebbe cancellate o corrette, se ne avesse avuto il potere. 

 

Il motivo per cui finiamo per amare opere imperfette è perché rimaniamo comunque affascinati da elementi per noi stimolanti, da vie del racconto a noi naturalmente congeniali o dalla perizia e dalla bellezza di altre componenti che scatenano in noi reazioni di ammirazione che, quelle sì davvero, compongono il nostro gusto personale. 

 

 

[Il bambino d'oro è un film di puro intrattenimento, senza pretese e per nulla perfetto, eppure lo adoro per il carattere che permea il film]

 

 

L’idea di dover amare solo ed esclusivamente il Cinema migliore, il Cinema perfetto, il Cinema di messaggi alti, è la masturbazione di chi non capisce davvero che l’amore per l’idea di raccontare storie, ideale di cui il Cinema è esponente non unico e non il più elevato, alcuni potrebbero pensare al videogame come forma ancora più immersiva e coinvolgente, non nasce con un solo e unico scopo di genere. 

 

Il genere. 

Divisione magica che ci aiuta a catalogare e dividere le cose. 

 

Il Cinema vive di generi e non esiste, per quanto vi vogliate sforzare, un genere migliore di un altro, poiché quella classificazione è al vaglio del gusto personale e quindi della personale concezione del mezzo. 

 

Il fatto che voi abbiate scelto la maschera fantocciana o l’occhialetto del critico con le gambe accavallate, non vi rende onore e non vi mette nella posizione di giudicare l’altro. 

 

Quello che invece sarebbe sapiente fare, è provare a rompere lo schema del gioco sociale, sconfiggere i Patriots, entrare nello 0,01% e formarsi, come ogni persona davvero interessante, di sfaccettature. 

 

 

[The Tree of Life è un film semplice nella trama, ma complesso nella sua messa in scena. Lo adoro. Ma non è il motivo per il quale vado in sala]

 

 

Il nostro gusto può aderire unicamente al Cinema di intrattenimento o può aderire a quello di vari generi, ma soprattutto è lo strumento a rendervi liberi dalla chiatta di spazzatura di opinioni estremizzate che trovate online, per prendere coscienza dell’impossibilità dell’esistenza della perfezione e del capolavoro e che vi è possibile amare anche un film piccolo, semplice, ingenuo e difettoso. 

 

Partiamo da Quentin Tarantino

 

Se chiedete a lui, i suoi amori cinefili vanno dal cinema italiano anni '70 - che spazia da Mario Bava, Lucio Fulci, dai poliziotteschi di Fernando Di Leo fino a toccare Federico Fellini - passando per il cinema orientale e di kung fu e fanno il giro fino a ritornare al cinema americano di autori come Sam Peckinpah.

 

Per Tarantino c’è prima l’amore per quelle storie e quegli sforzi profusi nel raccontarle e poi vengono i difetti: molto di quel Cinema lo ha formato, preparandolo a quando lui è stato chiamato a mettere la sua arte, il suo gusto e le sue influenze nel raccontare le sue idee. 

 

Prendete anche James Gunn.

 

Un uomo che prima di arrivare, molto bene, al grande pubblico con Guardiani della Galassia, non è certo stato nelle produzioni più elevate.

 

È partito dalla Troma e ancora oggi i suoi gusti in fatto di Cinema si legano molto al genere; se è riuscito ad arrivare al grosso pubblico è grazie e soprattutto alla sua voglia di non buttare via certe idee.  

 

 

[Il Cinema è bello perché esiste Tromeo & Juliet]

 

 

Lo stesso CineFacts.it ha organizzato visioni di film al cinema dedicate a film di intrattenimento, pur accompagnati e conditi da sottotesti per tutti e veicolati volutamente con toni leggeri, e che non rientrano in quell'idea del cinema autoriale elevato, legato solo ed esclusivamente a nomi di nicchia e che sono tali non tanto per stoltezza del pubblico ma perché il loro modo di comunicare e il loro messaggio, per concezione, non è digeribile a tutti. 

 

E se lo è per voi questo non vi rende migliori, ma solo inclini a masticare quella poetica. 

 

Dietro la capacità di ammirare e metabolizzare più facilmente tali opere, c’è un po’ di studio e un po’ di meccanica dei quanti.


Un po’ come l’essere nati in Italia piuttosto che in una capanna chissà dove: non è stata una vostra decisione, ma un caso dettato dalla natura e dalla matematica, tanto quanto la fascinazione più spinta verso il surreale rispetto all’azione. 


Il fatto che il vostro palato sia più sensibile verso un genere piuttosto che un altro e che vi si renda più fruibile un film espressionista piuttosto che un horror, non dice nulla riguardo il vostro gusto e acume personale, ma soltanto che siete inclini ad amare quella cosa.


Di rimbalzo, potreste non capire mai il perché o non approfondirne mai i meccanismi che muovono quel tipo di Cinema e di conseguenza non sviluppare mai un gusto su cosa, in quel genere, sia poi bello e brutto.

 

 

[Il famigerato Tommy Wiseau ama chiaramente il Cinema, ma non ha idea di come funzioni e dal suo The Room risulta chiaro che non abbia un gusto sviluppato ma un grosso, magari ingenuo, ego]

 

 

Qui sulle pagine di CineFacts.it ho parlato molto spesso di film imperfetti, piccoli, difettosi, ma nonostante ciò gradevoli e che, a onor del vero, riguardo molto volentieri. 

 

Potrei citare Push, un film di supereroi prima della loro epoca d’oro al cinema, che molti commenti fantocciani hanno definito brutto… perché sì.

Non vi è seguita spiegazione. 

 

Perché non è un film perfetto. 

Perché alle sue spalle non ha una sovrastruttura di pareri a influenzare la visione e l’opinione pura, non allenata, dello spettatore - la famosa chiatta di spazzatura

 

Push non è un capolavoro. 

Push non è un film d’autore.

 

Push è a mio avviso un discreto action-thriller con una bella ambientazione e trama, una buona regia e un gran bel cast. 

 

Il fatto che sia discreto lo rende meritevole di essere schifato?

Assolutamente no.  

 

 

[Il regista è lo stesso di Slevin e appartiene a quella categoria di film godibili, limitando le sue pretese a quello che sa fare e lo fa bene]
 

 

Ho parlato anche di film quali Elizabeth TownLa mia vita a Garden State o di recente di Color Out of Space, tutti film imperfetti.

 

E nel caso del film con Nicolas Cage un film molto lontano dalla perfezione e permeato anche di scelte sfortunate, ma comunque godibile, interessante e che non mi pento di aver visto in sala e che sicuramente riguarderò molto volentieri sul divano di casa mia. 

 

La Storia del Cinema, e della televisione, è permeata di prodotti non autoriali, non elevati per significato e messaggio e che non dovete vergognarvi di amare o di apprezzare, ma che dovete saper riconoscere come opere difettose per non trincerarsi dietro i fantocciani commenti a difendere più il vostro gusto più che l’opera in sé e per sé. 

 

 

[Justified, serie recentemente consigliata dallo stesso James Gunn. Non sarà Better Call Saul, ma resta una serie di tutto rispetto]

 

 

Quello che bisogna imparare a fare è cestinare questa idea malsana di voler essere individui unici e speciali scegliendo delle maschere del sé precostruite, optando invece per il rischio di essere chiamati idioti ma di esplorare sfumature che vi faranno sicuramente stare bene, vi arricchiranno e vi divertiranno molto di più di qualsiasi collettivo pensiero precostruito e non spiegato. 

 

Il Cinema è bello tutto. 

Apprezzare un film mediocre o un filmaccio di terza categoria visto con gli amici, non vi rende stupidi ma solo molto più divertenti e sfaccettati. 

 

Se siete consapevoli di cosa state guardando, di quali sono i suoi limiti e di cosa vi piace. 

 

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