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Dov'è il mio corpo? - Recensione: il viaggio, l'amore, una mano e la EDM

Gli Oscar 2019 si avvicinano e tra le candidature al Miglior Film d'Animazione troviamo Dov'è il mio corpo?, film scritto e diretto da Jérémy Clapin 

Gli Oscar 2019 si avvicinano e tra le candidature al Miglior Film d'Animazione troviamo Dov'è il mio corpo?, film scritto e diretto da Jérémy Clapin, la cui sceneggaiatura è stata scritta a quattro mani con Guillaume Laurant autore del romanzo Happy Hand dalla quale è tratta. 

 

 

Il film non è certo una sorpresa della stagione dei premi ed era già stato presentato al Festival del Cinema di Cannes aggiudicandosi il premio della Settimana Internazionale della Critica.

 

Dov'è il mio Corpo? dopo essere stato rilasciato nelle sale francesi è arrivato anche su Netflix, lo avrete sicuramente visto tra i film proposti nel catalogo e, se volete già avere un piccolo spoiler su dove andrà a parare questa recensione, vi posso anticipare che dovete "farvi un favore" e godervi questo film al di là della blasonata candidatura alla statuetta di Hollywood. 

 

Dov'è il mio corpo? racconta la storia di una mano mozzata che intraprende un viaggio metropolitano per ricongiungersi al corpo a cui appartiene. 

 

 

 

Come potete intuire dalla breve sinossi del film, non è per nulla facile potervi parlare di Dov'è il mio corpo?, poiché questo è uno di quei casi in cui, come si suol dire: avrei voluto essere una mosca per intrufolarmi al pitch di questo progetto alla produzione. 

 

E guarda caso è proprio una mosca, una mosca alla Fly di Breaking Bad, a collegare tutta la struttura narrativa di un film tanto semplice nel suo incipit quanto peculiare e complesso nel suo svolgimento e nella sua struttura. 

 

Capiamoci. 

 

Il film non si lancia in voli pindarici narrativi per portare lo spettatore dentro una storia più assurda di quanto possa sembrare, anzi, il tutto assume un carattere molto terreno, reale e quotidiano, ma il cosa viene raccontato, così semplice e così immediato, diventa molto potente grazie a un come davvero unico e geniale. 

 

Jérémy Clapin, nell'adattare il romanzo di Guillaume Laurant, sceglie l'animazione seguendo quell'idea orientale secondo la quale l'animazione non è certamente un mezzo di seconda o terza categoria utile solo ed esclusivamente alla fruizione per bambini. 

 

L'animazione è invece un potente strumento artistico con una propria grammatica e una propria forza poetica che deve essere strumento utile a raccontare storie immortali, universali e artisticamente accessibili a chiunque, ma non per questo dedicate unicamente a un pubblico di più piccoli. 

 

 

 

 

 

In questo senso il Giappone ha sempre perseguito questo ideale, utilizzando tale forma di racconto per immagini per veicolare storie adulte, drammatiche ed evitando classismi narrativi di sorta, sviluppando anche una certa sensibilità nel declinare racconti adulti e messaggi importanti per i più piccoli attraverso storie per tutti, quindi senza escludere il pubblico adulto. 

 

Una lezione che Pixar ha imparato relativamente grazie all'ammirazione di John Lasseter per l'animazione dello Studio Ghibli e per tutto il sistema di animazione filmica di stampo giapponese, che l'ha applicata ai prodotti per bambini.

 

Eppure per noi occidentali il principio nipponico dell'animazione come strumento narrativo universale dedicato e declinato anche a storie adulte non è ancora chiaro e non siamo ancora riusciti a farlo nostro: basti guardare alla voce febbre da live-action che la stessa Netflix insegue - ma guardate anche allo studio italiano che ha realizzato Gatta Cenerentola.

 

Jérémy Clapin porta perciò una storia il cui elemento surreale è molto forte e sfrutta l'animazione per dare sensazioni estetiche atte a farlo accettare al pubblico, ma senza scordare di sviluppare un impianto estetico e di messa in scena che rende il tutto affascinante. 

 

 

 

 

Il Giappone fa delle tecniche di animazione parte della grammatica, conferendo un tocco dalla cura artigianale che, come la fotografia e il formato di un film live-action, conferisce alle opere una pasta unica e spesso creata appositamente per certe opere, conferendo un carattere distintivo a storie ben precise, determinando un'estetica che diventa parte integrante del carattere del tessuto narrativo. 

 

Tokyo Godfathers è tanto uguale quanto unico rispetto ad altri lavori; La Storia della Principessa Splendente di Isao Takahata ha una sua poetica visiva che richiama echi di retaggi culturali ben precisi ai quali la storia si rifà; I film di Hayao Miyazaki.

 

In tal senso diventa molto chiaro, insieme ad altre questioni, il motivo per il quale il Giappone si sia avventurato in poche e, spesso, mal riuscite opere in CGI, poiché ciò significherebbe incappare in un certo appiattimento, che può capitare anche con l'animazione classica ma generalmente quando si entra nel canone della serialità.

 

Allo stesso modo Jérémy Clapin utilizza per Dov'è il mio Corpo? un sistema di animazione che tende a riportare una certa crudezza, trovando un proprio taglio e dividendosi tra il neon urbano e il lo-fi delle fissazioni analogiche del protagonista.

 

Clapin spezza Dov'è il mio Corpo? in suggestioni visive e la mano si sveglia quasi come la Beatrix Kiddo di Quentin Tarantino, cercando la via di fuga e cercando di mettersi sulle gambe - o forse dovrei dire sulle dita - e che sembra esistere nel mondo reale acquisendo una propria identità. 

 

La mano risponde alla paura, al panico, alla rabbia, all'empatia, all'istinto di sopravvivenza e in un crescendo di situazioni lungo il suo viaggio verso il corpo mette in moto una catena di flashback che raccontano la storia di Naoufel, che attraverso altre suggestioni accenderà altri ricordi, portati in scena sfruttando altri sensi. 

 

 

 

 

Quello che fa di Dov'è il mio corpo? un lavoro encomiabile non è soltanto la gestione dei tempi del racconto che ci svela la vicenda del protagonista e padrone della mano, una gestione forse figlia del libro, quanto la capacità di tradurre in immagini un racconto di sensazioni. 

 

Se la mano innesca i ricordi attraverso le azioni a lei familiari, quindi la memoria muscolare o il tatto, contando quindi quasi sull'istinto, l'essenza di Naoufel si lega ai suoni, al suo desiderio di registrare il rumore del vento, la voce dei genitori, la loro abilità nel suonare ogni strumento. 

 

E tanto quanto la fascinazione verso i rumori lo abbia condannato a cose orribili, tanto quanto la manualità e il senso pratico gli sono stati antagonisti quando impiegati oltre la sua ossessione, spianando la strada per un destino a lui sempre più avverso e incarnato da quella mosca il cui cammino va interrotto guardando a dove andrà, piuttosto che a dove si trova. 

 

I "due" protagonisti, pur essendo uno parte dell'altro, vengono raccontati su due piani sensoriali diversi: mentre uno è muto l'altro ha molte parole e molti pensieri, cerca il silenzio pur essendo stato ossessionato dai rumori e mentre uno è statico, l'altro è dinamico. 

 

 

 

 

Jérémy Clapin usa in Dov'è il mio Corpo? un'estetica da racconto d'avventura, un viaggio urbano attraverso un quotidiano più grande e ostile, per la mano e i toni del dramma, della storia d'amore per esplorare il carattere di Naoufel, altrettanto indifeso quando si confronta con un mondo ben più grande dal quale desidera fuggire, poiché ancora privo di uno scopo che gli dia il coraggio necessario per andare contro il suo apparente destino. 

 

La mano funge da espediente per raccontare metaforicamente cosa deve affrontare Naoufel, e il tema del viaggio si presta a mettere in scena gli aspetti più crudi della vita, tanto quanto quelli più dolci. 

 

Naoufel ha più languore, si sofferma sulla condizione umana di un individuo invisibile, e il lato sociale della vicenda viene veicolato non tanto come forma di protesta bensì come panorama per descrivere la condizione di una certa realtà, utilizzando la storia del protagonista per creare una sorta di teorema riguardo il nostro destino e di come le carte dateci a inizio mano non siano obbligatoriamente determinanti e la cui conclusione è in parte lasciata aperta allo spettatore, ben dotato di tutti gli elementi per poter trarre una conclusione. 

 

Dov'è il mio Corpo? usa le atmosfere urbane e la musica elettronica come forma di comunicazione primaria, affiancandola alla costruzione visiva permessa dallo stile d'animazione e utilizzato per portare allo spettatore tutta l'impalcatura di sensazioni scelta come forma di comunicazione utile a calarsi nella vicenda.  

 

 

 



Dov'è il mio corpo? è sostanzialmente un dramma che vuole portarci a scoprire un personaggio che cerca, come tutti noi, di divincolarsi dalla trappola della condizione sociale nella quale è caduto preda, saltando a piè pari l'idea di alzare una voce di protesta ma utilizzando l'elemento fantastico, l'amore e la riscoperta per giocare con quello strano bilanciamento che si crea e creiamo subendo una perdita, per poi reagire o sopperire alle conseguenze che questa ci porta. 

 

Clapin sfrutta l'animazione e la grammatica di un'estetica ben congeniata per trasformare un incipit sopra le righe e inverosimile in un racconto aggraziato, che vive della nostra curiosità verso la genesi, lo svolgimento e l'epilogo del viaggio della mano, sorprendendoci poi con una storia umana e pregna di significati. 

 

I quadri costruiti al fine di raccontare la storia spaziano dal bianco e nero dei ricordi di un'epoca analogica perfetta - per Naoufel - al colore fluo e caldo della vicenda del protagonista, incastrando nel mezzo i comprimari essenziali alla sua crescita e forse scontornati quanto basta nella loro caratterizzazione, poiché parte della storia ma non largamente presenti nei ricordi della mano e quindi nella sua ricostruzione. 

 

In Dov'è il mio Corpo? si passa dai dettagli ai campi lunghi, con simmetrie che non sono mestiere ma che cercano sempre di dare un senso interconnesso tra quello che è la sensazione dei protagonisti e tutte quelle immagini che scatenano in noi, come in loro o nella mano, i ricordi, rispettando quel bel concetto per il quale every frame is a painting.

 

 

 

 

Dov'è il mio corpo? è forse l'opera di animazione occidentale più coraggiosa e interessante degli ultimi anni. 

 

Un film che ci propone una serie di archetipi familiari - la storia d'amore tra Naoufel Gabrielle non è nulla di nuovo tanto quanto il viaggio della mano è associabile a molti altri film dove il carattere di un microcosmo si confronta con un macrocosmo familiare per lo spettatore ma visto da un'ottica diversa. 

 

Quello che rende particolare questi elementi è il come Clapin Laurant scandiscano i tempi di una storia arricchita da diverse intuizioni e soluzioni utili a dividere i tempi, mettendo sempre in scena un come interessante, dolce, divertente - l'incontro tra i due è molto peculiare e... non è proprio un incontro. 

 

Siamo giustamente incastrati nel destino che stiamo percorrendo?

 

Dovremmo forse prendere una decisione avventata e buttare in aria il mazzo datoci da un croupier baro e che sa contare le carte fin troppo bene? 

 

Dov'è il mio corpo? cerca di dare risposta a queste domande e lo fa con molta fantasia, intelligenza, scherzando con la realtà e piegando la sua razionalità.

 

Utilizzando la grammatica del film d'animazione a due velocità, tra assurdo e crudo realismo, cercando l'essenza del Cinema e della regia per comunicare, ma senza rendere i suoi protagonisti fintamente belli o caratterialmente perfetti, bilanciando il tutto con l'abilità di un equilibrista. 

 

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