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Lux Æterna - Recensione: la vera pazzia del Festival di Cannes 2019

Il regista francese porta sulla Croisette un manifesto folle di 50 minuti

Lux Æterna è forse quello che vi aspettereste da Gaspar Noé, ma non quello che pensereste di vedere al Festival del Cinema di Cannes. 

 

Il regista franco-argentino ci ha ormai abituati - anche se trattandosi di lui il vocabolo "abitudine" è assolutamente fuori luogo - alla sua visione delle cose, alla sua completa anarchia artistica come manifesto dell'espressione più pura e più lontana dalle logiche commerciali.

 

Irréversible, Enter the Void, Love, Climax: il suo approccio all'arte cinematografica rende coerenti le dicotomie ed ecco che quindi Lux Æterna presenta un'estetica elegante e punk, un messaggio celato e sputato in faccia, un divertissement profondo, un segnale di incredibile maturità votato al gioco, un forte tratto personale con delle più che palesi citazioni, una spudorata provocazione snob che affonda le mani e le unghie nella terra sporca del filmmaking. 

 

i 50 minuti del mediometraggio fanno parte di un progetto nato per volontà di Anthony Vaccarello, direttore creativo della maison Yves Saint Laurent, e votato all'enfatizzazione della libertà espressiva dell'individuo. 

 

Noé interpreta il compito coinvolgendo una troupe e un cast di amici e andando a improvvisare per 5 settimane in una casa.  

 

 



Già all'arrivo sulla Montée de Marches era evidente che Lux Æterna sarebbe stato qualcosa di completamente diverso dal solito.

 

Scesi dalle automobili che li hanno accompagnati fino al famoso tappeto rosso e alla scalinata del Palais des Festivals, i componenti del circo cinematografico di Noé hanno portato una piccola tempesta sovversiva nello charme ordinato che quei pochi metri che separano la strada dalla sala sono abituati a vedere. 

 

Il nero come colore dominante, le immancabili sigarette accese, Gaspar Noé con gli occhiali scuri nonostante la proiezione fosse fissata dopo mezzanotte e stesse piovendo, Charlotte Gainsbourg e Béatrice Dalle che sembravano reduci da mille party di Capodanno.

 

L'anti-glamour, la strafottenza e lo sberleffo mischiate al profondo rispetto dimostrato poi nel Grand Theatre Lumière sono una diapositiva del Noé-pensiero sul Cinema.  

 

 

 

 

Noé prende l'oggetto film, lo modella come vuole, lo trasforma, lo ingoia e ce lo vomita addosso noncurante di quello che potranno pensare coloro che lo vedranno, che lo subiranno, che lo vivranno. 

 

Nel periodo in cui in tanti ci si chiede se il Cinema si sia fermato ai supereroi e ai remake, Lux Æterna ci prende a schiaffi dimostrandoci che la libera espressione è possibile, reale e percorribile. 

 

E non importa se il grande pubblico non ci si allineerà da subito, lo farà in seguito: il pubblico va indirizzato, non inseguito e basta.

 

Il film inizia con delle immagini prese dal Dies Irae di Carl Theodor Dreyer: un simbolo più che manifesto di cosa vorrà dire Noé e come sceglierà di dirlo. 

 

 



A un tratto vediamo la Gainsbourg e la Dalle che chiacchierano amabilmente in una stanza. 


C'è un camino con un fuoco che arde, e le due attrici si scambiano ricordi sulle loro passate esperienze e si chiedono vicendevolmente se sia mai capitato di venire bruciate in un rogo, parlano di cinema commerciale, di produttori italiani maiali, di sesso, di droga e di streghe. 

 

Tutto il discorso sulla donna e sul ruolo femminile nel cinema e nella società diventa subito chiaro. 

 

Lux Æterna è fondamentalmente il racconto della preparazione di una scena: regista del film nel film è Béatrice Dalle, che è in rotta di collisione con il proprio direttore della fotografia, e protagonista Charlotte Gainsbourg che deve girare la scena del rogo. 

 

 

 


Questo è il pretesto che serve a Noé per imbastire una storia in cui i ruoli recitati e personali si mescolano: alcuni attori si chiamano per nome e altri con il nome del personaggio, vi sono attori che interpretano loro stessi e altri che interpretano un ruolo, c'è un giovane regista che stressa la Gainsbourg per parlarle a tutti i costi del suo film che - ça va sans dire - presenta delle incredibili somiglianze con quanto stiamo vedendo noi spettatori.  

 

Il tutto presentato con un larghissimo uso dello split screen e dei piani sequenza a inseguire gli attori.

 

 

Spesso risulta complicato stare al passo con quanto succede, perché ciò che vediamo e sentiamo sulla sinistra dello schermo avviene in un'altra stanza rispetto a ciò che vediamo e sentiamo sulla destra, tutto si mescola e comincia a gonfiarsi, la tensione e il nervosismo sul set si accendono e si infiammano fino ad arrivare al momento in cui Charlotte deve affrontare il ciak in cui viene arsa viva.  

 

 

 

Arrivati al culmine di tutto, però, qualcosa non funziona. 

 

In quel momento Noé prende una decisione estrema: esagerare con video e audio creando minuti e minuti di totale follia lisergica che in sala ha fatto tutti tremare per la paura che qualcuno potesse avere una crisi epilettica. 


Sul serio. 

Se avete presente le sue precedenti scivolate nei flash di luci e suoni come all'inizio di Enter the Void, qui siamo oltre.
Luci, suoni e immagini che da quella notte personalmente non ho più dimenticato, compresa la scelta di far partire i titoli di coda sempre mantenendo quella pazzia - che non svelo apposta né mi addentrerò nel descrivere - che non ti abbandona più.

 

Una scelta clamorosamente oltre da parte di un regista che sapeva perfettamente che la premiere di Lux Æterna sarebbe stata presentata in una sala con oltre 2000 persone che l'avrebbero vista più o meno all'una di notte.  

 

 



Un vero e proprio saggio sul fare Cinema e su cosa sia il Cinema, un'escalation di sensazioni e immagini che costringono lo spettatore a scegliere su cosa concentrarsi e contemporaneamente gli impediscono di farlo, divenendo nel finale una vera e propria orgia sensoriale che, a ben guardare, è la summa di tutto quanto è "Cinema": commistione di immagini ed emozioni, colori e parole, suggestioni e ricordi da accumulare, destrutturare, ricomporre.

 

Lux Æterna è inframmezzato da quelli che immaginiamo siano i padri putativi di Gaspar Noé: le citazioni scritte sullo schermo appartengono a Jean-Luc Godard, Rainer Werner Fassbinder, lo stesso Carl Theodor Dreyer e un finale e definitivo Luis Buñuel

 

Tutti citati senza il cognome, così come vengono accreditati cast e troupe nei titoli di coda. 


Il nome, e basta.

 

 

 

Ed è quindi con la terribile voglia di rivivere Lux Æterna per poter cogliere tutto quanto non sia riuscito a fare la prima volta - anche se non ho idea di che tipo di futuro avrà il progetto, data la sua natura così singolare e non distribuibile nei circuiti classici - che mi sento di chiudere questa strana "recensione" con due parole soltanto.

 

Grazie, Gaspar. 

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