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Ant-Man and The Wasp - Recensione: tutti abbiamo un mutuo da pagare

Per chi scrive, il più deludente e poco divertente film Marvel

Se personalmente prima avevo un "film Marvel piaciuto meno di tutti", Ant-Man and the Wasp lo ha scalzato alla grande. 

 

So benissimo di cosa stiamo parlando e non sono entrato in sala aspettandomi un nuovo Andreij Tarkovskij o un nuovo François Truffaut, ma per lo meno mi aspettavo quello che bene o male i film Marvel di solito garantiscono: cazzonaggine e divertimento fine a se stesso, con un quasi impalpabile messaggio di fondo che, a parte rari casi, alla fine è poi sempre più o meno lo stesso. 

Invece no. 

 

O meglio: la cazzonaggine c'è eccome, ma l'ho trovata forzatissima e dosata con i tempi sbagliati, e non credo sia solo questione di un doppiaggio non particolarmente felice. 

 

 



Il divertimento c'è, ma per quanto mi riguarda è durato circa 5 minuti in tutto su 2 ore di film.

 

2 ore che paiono non finire mai, con una scena che definire "spiegone" sarebbe gentile, con una Evangeline Lilly che non sa bene come gestire il suo personaggio scritto maluccio, che passa dall'essere cazzuta e spaccaculi ad avere gli occhi a cuoricino da dodicenne, dall'essere concentratissima mentre sciorina termini scientifici ad essere donna sexy. 

 

Il tutto in un minuto, da uno stacco all'altro.

Ma magari uno dei superpoteri di The Wasp è la bipolarità e io non lo so.

 

Paul Rudd fa ridere - non so perché, ma a me la faccia di Paul Rudd fa sempre ridere - ma a differenza del primo film i comprimari non mi sono parsi brillanti: a partire da Michael Peña arrivando agli altri due, sono protagonisti di siparietti al limite dell'imbarazzante e l'unica trovata carina - quella in cui lui racconta qualcosa mentre vediamo gli altri attori che parlano con la sua voce - è riciclata dal film precedente, e con il doppiaggio viene ovviamente demolita. 

 

 



Il "cattivo" è diviso in due: quello un po' più fumettistico di Walton Goggins e quello più supereroistico di Hannah John-Kamen.

 

Ma anche qui, secondo me, c'è davvero poco da dire. 

Lo "spiegone" di cui prima è riferito alla scena in cui raccontano l'origine del personaggio di Hannah John-Kamen: la percezione è stata che durasse circa 30 minuti, immaginate voi che gioia di scena.

 

Ok, ci sono Michael Douglas e Michelle Pfeiffer e all'inizio del film li vediamo com'erano 30 anni fa, e ci si stupisce degli ormai superprogressi che ha fatto la tecnologia del ringiovanimento degli attori, ma anche per quanto riguarda i loro personaggi ho trovato la scrittura di un piattume unico: bidimensionali, nessuna sfumatura, nessuna sorpresa e, anzi, alcuni dialoghi ti immagini abbiano accettato di recitarli perché in fondo evidentemente tutti abbiamo un mutuo da pagare.  

 

Compresi i cinque sceneggiatori del film.

 

Non uno, due o tre: cinque.

Compreso lo stesso Paul Rudd, che nelle vesti di sceneggiatore ha a curriculum prima di questo il primo Ant-Man - scritto assieme ad altri tre - la commedia del 2008 Role Models - scritta assieme ad altri tre - e i 20 episodi della serie del 2009 Party Down - scritta assieme a... indovinate?

 

Altri tre. 

 

 



Fanno molto ridere i momenti in cui gli oggetti - le auto, i porta caramelle di Hello Kitty, ecc - si rimpiccioliscono e si ingigantiscono, ma alla quindicesima volta che succede diciamo che fanno ridere un po' meno. 

 

O che magari la cosa poteva essere sfruttata meglio.

 

Sorvolo sulle questioni di script relative a gente che resta 30 anni "nel deserto quantistico" e non si capisce come abbia fatto a bere e mangiare, e sul fatto che una battuta del film

"Ma voi ci mettete il 'quantistico' in tutte le frasi?"

l'avevamo pensata tutti in sala venti minuti prima, perché tutto il film è effettivamente così. 

 

 



Penso che questo film sia stato prodotto solo per introdurre i personaggi che andranno poi a far parte dell'MCU più allargato.

 

La scena "middle credits" è l'unica cosa che si collega ad Avengers: Infinity War, mentre la "post credits" invece è una mezza idiozia, quindi se siete tra quelli che solitamente non rimangono a leggere i titoli di coda e lo fanno solo nel caso dei film Marvel... potete tranquillamente uscire dopo la "middle" e non vi perderete nulla. 

 

Sarà anche brutto a dirsi, un po' me ne vergogno, ma all'uscita dalla sala il primo pensiero mio e di chi era con me è stato

"Meno male che l'abbiamo visto con un ingresso omaggio".

 

Concludo con il personale punto più triste di tutti: non lo sapevo prima di andare al cinema, ma nei titoli ho letto che la fotografia è di Dante Spinotti. 

 

 

 

 

Dante Spinotti, cari lettori.

 

Il friulano che ha curato la fotografia de La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi e poi è andato a Hollywood per diventare il fido collaboratore di Michael Mann su L'ultimo dei Mohicani, The Insider, Heat - La sfida.

 

Dante Spinotti che ha lavorato su Wonder Boys e L.A. Confidential.

 

E niente, ci sono rimasto un po' male dato che il film a livello fotografico e compositivo l'ho trovato in linea con il 95% dei film Marvel, ovvero secondo me tutti tranne Black Panther: piattino e senza idee, che poteva essere girato da chiunque conosca il mestiere.

 

Ma, come ho scritto prima, in fondo evidentemente tutti abbiamo un mutuo da pagare.

 

Voto: 55%

 

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