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Riso amaro: neorealismo tra tradizione e modernità

Breve commento su un caposaldo del neorealismo italiano.

Settembre 1947: il regista italiano Giuseppe De Santis, tornando in treno dalla presentazione a Parigi di Caccia tragica - suo lungometraggio d’esordio - incrocia alla stazione di Torino un gruppo di mondine di ritorno dal lavoro nelle risaie vercellesi.    

 

Questa visione evidentemente stuzzicò la fantasia del regista, che nei mesi successivi scrisse (in collaborazione con Carlo Lizzani e Gianni Puccini) per poi dirigere una pellicola incentrata proprio sul mondo femminile delle mondine nelle risaie di Vercelli: Riso amaro, uno dei capisaldi del neorealismo italiano.  

 

[Il trailer di Riso amaro]

 

 

È bene ricordare brevemente quali furono le caratteristiche principali di questa corrente cinematografica, destinata a influenzare come poche la storia della Settima Arte: il racconto di vicende ispirate a fatti realmente accaduti o comunque appartenenti alla sfera della vita quotidiana, con grande attenzione alla psicologia dei protagonisti, spesso in balia delle avversità della vita; l’abbandono dei teatri di posa (spesso inutilizzabili a causa dei danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale) per dare spazio a riprese esterne in luoghi preesistenti

 

Inoltre (anche se non è il caso di Riso amaro) gli attori che recitavano in questi film potevano anche essere non professionisti: venivano “presi dalla strada”, espressione oggi molto usata, che nacque proprio in questo contesto.

 

A testimonianza di quanto detto, basta visionare capolavori neorealisti del cinema italiano come Ossessione di Luchino Visconti (1943), Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945), o Ladri di biciclette Umberto D. di Vittorio De Sica (1948, con protagonista Carlo Battisti, nella vita reale docente universitario di glottologia). 

 

 

 

[Le mondine a lavoro in Riso amaro]

 

 

 

De Santis, pur essendo lontano per tecniche cinematografiche e aspetti letterari dai suoi illustri colleghi, si pose con Riso amaro sulla scia dei film precedentemente citati: il suo era un neorealismo che guardava a Hollywood e alle sue caratteristiche, che ben si amalgamano con quelle del cinema italiano nel suo secondo film.      

 

Il film narra l’incontro-scontro fra le vite di quattro persone, due donne e due uomini.

 

Silvana e Francesca (interpretate da Silvano Mangano e Doris Dowling) sono due mondine: la prima è legata a Walter (Vittorio Gassman, icona della futura commedia all'italiana) ladruncolo ricercato dalla polizia, mentre Silvana stringerà amicizia col sergente Marco Galli (Raf Vallone).

Ben presto, essi si ritroveranno coinvolti in una storia di furti e passione, con un triste epilogo.   

 

 

 

[Doris Dowling e Vittorio Gassman]

 

 

L’opera del regista ciociaro tocca diversi argomenti.

 

Il più evidente è certamente quello del lavoro nelle risaie e delle precarie condizioni delle mondine, che lavorano duramente anche in condizioni climatiche avverse, per un guadagno tutto sommato esiguo.

 

Un film, quindi, anche di denuncia sociale, rappresentazione di un’Italia ancora in macerie (fisiche e psicologiche) dopo la fine della secondo conflitto mondiale.

Su tale tema sociale, De Santis innesta una storia melodrammatica, in cui i personaggi si destreggiano fra il bene e il male: c’è chi, come Francesca, è inizialmente animata da cattive intenzioni, per poi ravvedersi a storia in corso; la sua amica Silvana compirà invece il percorso inverso.      

 

Col trascorrere del tempo, è stato il personaggio di Silvana Mangano a restare maggiormente impresso nella mente degli spettatori: come testimoniò Luisa Ranieri, durante un’intervista per il Corriere della Sera, la Mangano

 

"Piantata in mezzo alla risaia, come la statua di una dea, rispetto alle altre donne che la circondano, comunica una forza, una grinta, ma soprattutto l’orgoglio di essere femmina".
  

Una donna dalla femminilità esplosiva, che conquistò il gradimento di De Santis dopo averla casualmente incontrata, capelli bagnati e senza trucco, in un giorno di pioggia.

 

 

 

[Raf Vallone e Silvana Mangano]

 

 

Più in generale, Riso amaro rispecchia l’atmosfera dei tempi in cui fu realizzato, tempi in bilico fra la tradizione e il cambiamento culturale che si stava verificando in quell’epoca: nella colonna sonora, ad esempio, si fondono canti tipici delle mondine - utilizzati per esprimere i loro stati d’animo sul lavoro - con melodie decisamente più moderne, come il boogie-woogie ascoltabile durante una festa organizzata dalle donne lavoratrici.      

 

Anche altri elementi, come il grammofono o il chewing-gum, simboleggiano l’arrivo nella penisola italiana del consumismo, fenomeno economico e sociale, uno stile di vita mutuato dagli Stati Uniti che esercitarono una grande influenza sugli usi e costumi dell'Europa occidentale, a partire dal secondo dopoguerra.     

 

 

 

 

In seguito all’uscita, l’opera di De Santis ottenne un grande successo ai botteghini e perfino una nomination agli Oscar per il Miglior Soggetto.

 

Oggi fa parte dei 100 film italiani da salvare, una lista nata con lo scopo di ricordare quei film che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese.

 

Recentemente è stata inoltre resa disponibile, in edizione dvd e blu-ray, la versione restaurata della pellicola in 2k, grazie a Cristaldi Film e CG Entertainment

 

 

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