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Scream for me Sarajevo - Recensione: Bruce Dickinson in tempo di guerra - Seeyousound 2019

Un documentario che raccontando il concerto di Bruce Dickinson a Sarajevo nel 1994 parla di quel terribile assedio e di quella sanguinosissima guerra

Scream for me Sarajevo è un documentario che racconta il famosissimo concerto di Bruce Dickinson nel 1994, frontman storico degli Iron Maiden, che nel periodo di maggior lontananza dal gruppo che lo ha reso celebre - nel 1993 la separazione e nel 1999 la riconciliazione - si recò nella capitale bosniaca nel bel mezzo della guerra e di uno dei più lunghi assedi della storia moderna per tenere un concerto da solista.

 

Questo è solo un pretesto per raccontare gli orrori della guerra e le ferite lasciate su chi l'ha vissuta: di striscio, come "gli ospiti", o completamente, come gli assediati.

 

Il film ripercorre il viaggio e le condizioni che i musicisti si ritrovarono ad affrontare, ma anche la vita e le difficoltà a Sarajevo durante l'assedio.

 

 



"A Story of Hope in a Time of War" recita la tagline del film ed è un perfetto riassunto dell'animo di quest'opera che, attraverso i racconti di star e di persone normali che hanno vissuto quella sanguinosissima guerra, ricostruisce il clima di paura e di incertezza di quei giorni e lo associa alla liberazione e felicità provate in quell'unica notte.

 

Evento che a più riprese viene ricordato dai diretti interessati, da un lato come "uno dei momenti più importanti della mia vita" - per le star - e dall'altro come "uno dei momenti più belli, durante queli anni" - per gli assediati.

 

Il documentario è strutturato come un lungo crescendo di emozioni poichè il regista ha scelto di partire dal racconto, a tratti quasi grottesco se esulato dal contesto, di come il concerto è stato messo in piedi per poi passare ai racconti della serata e ai cambiamenti che questa ha lasciato.

La prima parte parla proprio di questo accordo nato quasi per scherzo tra alcuni delegati dell'ONU e gli organizzatori, bosniaci e non: un evento che sembrava impossibile, ma che poco a poco prendeva forma.

 

 



Ci viene raccontato come delle star internazionali abbiano viaggiato su furgoni gialli "che sembravano avere la scritta 'Sparami'" attraverso le strade della Bosnia, perchè gli elicotteri non erano disponibili.

Ad un certo punto caricando anche un militare che "chiedeva uno strappo con un mitra".

 

Tutto questo con in sottofondo Run To The Hills - unica canzone degli Iron Maiden nel documentario - mentre salgono sulla collina che all'epoca era l'unico punto di accesso per Sarajevo e luogo di continui scontri tra assedianti e assediati.

Tutti si soffermano inoltre sull'atmosfera surreale di questa città immersa nella nebbia come se fosse un film.

Raccontano ancora di come siano stati portati, come turisti, per le strade di una città distrutta parlando con gli abitanti che hanno "cambiato completamente la loro visione del mondo"


Più ci si avvicina al concerto più aumentano gli inserti di una reunion, avvenuta proprio in occasione della produzione del documentario, tra tutti i membri di questa impresa (Dickinson escluso, vedremo poi il solo cantante in un secondo momento a Sarajevo, presumibilmente per una difficoltà nell'incastrare le disponibilità di tutti gli attori di questa vicenda), più il tasso emotivo cresce fino al culmine nei racconti concitati di quella sera e nella totale sospensione della guerra per qualche ora.

 

Per questo avvenimento Dickinson ha di recente ottenuto la cittadinanza onoraria di Sarajevo.

 

Dopo l'apice di questo racconto si passa al momento realmente più toccante, in cui vedremo in lacrime quasi tutti i protagonisti - pianti mai patetici o fasulli, ma che suonano genuini dopo un'ora di racconto - rivedere immagini dell'epoca e parlarci di come la guerra, anche se vissuta in così minima parte, abbia cambiato la visione del mondo di ognuno di loro e di come il contatto con quelle persone e l'unicità di quel concerto siano stati qualcosa di irripetibile.

 

 



Questra struttura narrativa si presta moltissimo ad ospitare tutto il racconto della Sarajevo assediata: il racconto degli anni precedenti di assedio, di come all'inizio sia sembrato qualcosa di poco importante e che sarebbe finito subito fino al racconto delle vittime e della forte unione che si venì a creare tra tutti i giovani di quella città.

 

È interessantissimo un discorso che viene portato avanti da uno dei superstiti - oggi produttore musicale - su come all'epoca tutti i giovani ascoltassero musica, anche di generi non così simili, ma che racchiudeva questo sentimento di distruzione e di aggressività: ai loro occhi era come se tutto il mondo stesse raccontando le atrocità dell'assedio: si parla tanto dei Rage Against The Machine o di Refuse/Resist dei Sepultura, per fare due esempi.

 

Il film fa inoltre uso di moltissimo materiale d'archivio sui bombardamenti, sulle vittime e sulla condizione di Sarajevo in quei mesi - ricordiamo che l'assedio durò dal 1992 al 1996, più dell'assedio di Leningrado durante la seconda guerra mondiale - riuscendo a creare un amalgama perfetto con le musiche di Dickinson solista qui presente con i suoi Skunkworks assieme ad Alessandro Elena e Chris Dale che presero parte a quel concerto: i bombardamenti e i battiti di batteria spesso si intersecano come gli scream famosissimi di Dickinson e i pianti delle vittime.

 

 



Un film che gode di un racconto incredibile e della possibilità di filmare una reunion tra gli organizzatori, alcuni spettatori e la band, ma che non per questo si siede sul semplice racconto degli eventi bensì si addentra anche in altre tematiche, anche se forse non sempre snocciolate completamente, come l'impossibilità di agire realmente da parte di un'organizzazione "che non esiste" come l'ONU, l'impotenza di chi doveva mettere in sicurezza una città ma non aveva i mezzi nemmeno per salvare un bambino o il silenzio e la lontananza del mondo esterno in un momento così drammatico. 

 

In più, il regista Tarik Hodzic lascia molto spazio al racconto di come vedere la sofferenza da vicino e non solo sentirla raccontare ne cambi completamente l'impatto - gli spezzoni di Dale in questo senso sono i più forti - e sia accomunabile a situazioni che viviamo tutti i giorni: il bassista ad esempio crea un parallelo davvero molto toccante tra la generosità riscontrata in quei giorni nelle persone che incontravano e quella uguale dei senzatetto inglesi. 

 

 



Un documentario che tiene un ritmo elevatissimo, anche grazie a delle musiche che mal si sarebbero prestate ad altri contesti, e che riesce a smuovere lo spettatore oltre che raccontare una storia incredibile.

 

____________________________

Il film è stato introdotto, come spiegato nell'articolo su Bomb City, da un video musicale e da un cortometraggio

 

 

Son Lux - Yesterday's Wake, di Marek Partys

 

 

Yesterday's Wake dei Son Lux, diretto da Marek Partys, è uno dei video visivamente e tematicamente più interessanti visti al Seeyousound di quest'anno.

Abbiamo visto il DJ set video in cui erano presenti tutti quanti e possiamo confermarlo.

 

 



Il video non racconta ma mostra un contesto, una sorta di pranzo di famiglia, e attorno a quest'ultimo vediamo una serie di scene di violenza collegate ai personaggi a tavola.

 

La violenza mostrata è tenuta insieme da un liquido nero, una sorta di sangue/veleno che scorre lento e melmoso sulla tavola, sui pavimenti e su una roccia trafitta creando un contesto visivo fortissimo che accompagna benissimo una musica così cupa e atipica. 

 

 



Una potenza visiva che si sposa bene con il format del videoclip e che mostra come questo media, diverso da quello cinematografico anche se spesso battuto da professionisti del mondo a noi più caro, ben si sposi con una regia fatta di impressioni e sensazioni in cui i colori, la forza dei movimenti e le scelte sceniche (ogni oggetto in scena è perfetto) cattura e trasmette qualcosa allo spettatore più a livello inconscio che puramente narrativo.

 

La fotografia inoltre risulta elemento fondamentale, con tagli di luce che spezzano i luoghi in cui avviene l'azione, riportando a questo concetto di violenza che permea tutto il video e con riprese leggermente handheld che suggeriscono una realisticità della violenza anche in un contesto totalmente surreale come quello di questo video.

 

 


____________________________

 

 

Yellow, di Ivana Sebastova 

 

 

Yellow è un cortometraggio di animazione con uno stile unico che non solo colpisce per la sua originalità, ma anche per come nella sua semplicità risulti estremamente evocativo e pieno di significato.

 

 



Yellow ci racconta l'ansia e la sensazione di inadeguatezza e di difficoltà di stare al mondo di una cantante d'opera.

 

Il corto gioca moltissimo con i simboli della musica (note e spartiti in primis) per costruire le geometrie dei suoi luoghi e vediamo pentagrammi diventare mattonelle di un muro o semiminime diventare sedie. 

 

 



Passiamo dalle prove al buio nella casa della cantante, che non riuscirà mai a ottenere il suono che vorrebbe, alle peripezie che incontrerà per le strade dove un ombrello crea ombre simili a pentagrammi sui marciapiedi impedendole di camminare.

 

Il tutto in uno stile davvero magnifico a metà tra Paul Gauguin e le illustrazioni dei libri per bambini.

 

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2 commenti

Federico Rossato

5 anni fa

Profondamente d'accordo. Ognuno di noi conserva in sé uno spirito indomito, una fiamma, che arde appassionatamente per qualcosa: teatro, cinema, letteratura, musica, pittura, scultura, Pippo Franco, fotografia ecc... Non esiste cosa più atroce di vedere una persona vuota, bruciata completamente tempo addietro ed ora vuota. Il compito di chi si prefigge di comunicare, secondo me, dovrebbe essere il cercare di tramandare quella fiamma ma non come imposizione, bensì come approccio alla vita stessa. Mi viene in mente l'aneddoto famoso di Schelling, il quale disse che se Dio, una volta morto, gli avesse offerto tutta la verità sullo scibile e la possibilità di ricerca infinita, lui avrebbe scelto la ricerca. La passione non dev'essere imposta o limitata, bensì alimentata: un uomo muore nel momento in cui crede di non avere più nulla da imparare.
Il cinema di Hollywood, degli Oscar, è un cinema meritevole e nobile tanto quanto quello dei piccoli autori noti agli orecchi più attenti, nonostante ciò non ritengo giusto la loro costrizione. Io, per mia formazione personale, credo fermamente nel potere della divulgazione, della diffusione del sapere, o almeno di ciò che riteniamo tale, e della libertà dell'individuo a poter spaziare con lo sguardo ovunque voglia. La libertà è scelta ed essa non può che essere conscia delle proprie possibilità, ergo è necessario sapere per poter agire nelle proprie piene facoltà.

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Fabrizio Cassandro

5 anni fa

Ahahahah grazie (anche per avermi fatto ridere non poco)!

Tornando serio per un momento io credo che bisogni cercare di approfondire ed essere esaustvi quando se ne ha la possibilità (con tanti rewatch alle spalle e tanti argomenti ben costruiti), magari anche prendendo delle posizioni un po più nette, ma quando si è ad un festival e si ha modo di vedere film interessanti, come questo, credo che sia importante "mettere più di una pulce nell'orecchio", dare degli spunti e dei punti di vista: di più con una sola visione e degli appunti incomprensibili presi al buio credo sia difficile. 
In questi casi il mio obbiettivo è proprio incuriosire e far sì che questi nomi girino non solo nei contesti festivalieri, ma che inizino ad essere cercati e guardati anche altrove perchè non esiste solo il cinema degli Oscar.

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