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The Mastermind è scritto, diretto e montato dalla regista statunitense Kelly Reichardt, che nei suoi precedenti lavori ha spesso mostrato affezione per figure scanzonate, goffe e che si muovono nel mondo in maniera incerta e scomposta.
The Mastermind, ovvero “la mente dell’operazione”: man mano che la storia ci scorre davanti agli occhi ci accorgiamo che il titolo è quasi una provocazione, essendo in completa antitesi con le azioni, e soprattutto i risultati, del protagonista.
Ne nasce così un art heist movie, ovvero un film su un rapinatore di opere d’arte, che sin da subito mostra i suoi lati deboli, disattenti, assolutamente non professionistici – nulla a che vedere con i nostri contemporanei ladri di gioielli dell’ultima rapina al Louvre – e talmente distaccati dalla realtà da non permettere del tutto al pubblico di immedesimarsi nelle sue assurde vicissitudini, né di provare una forte empatia e sperare che riesca a non essere beccato.
[Trailer ufficiale di The Mastermind]
La mente
The Mastermind è JB Mooney, interpretato da un Josh O’Connor sempre a proprio agio in personaggi reietti e dall’aria retrò.
JB è un falegname, ha una casa, una moglie, due figli e un particolare hobby, in cui coinvolge tutta la famiglia: passare ore al museo per osservare le opere d’arte in ogni minimo dettaglio.
Siamo a Framingham, nel Massachusetts, agli inizi degli anni ’70: nelle università e nelle strade imperversano le proteste contro la guerra, ma JB non se ne sente affatto partecipe.
Il suo pensiero è solo l’arte, per amore e per denaro. Molto il primo, poco il secondo.
[Alana Haim interpreta Terri, la moglie di JB in The Mastermind]
The Mastermind non è infatti un film sul colpo del secolo tanto nelle vicissitudini quanto nel bottino che la scalcagnata banda di rapinatori, di cui JB è la mente e l’autista suo malgrado, riesce a trafugare: quattro dipinti di Arthur Dove, pittore dell’avanguardia americana, che JB sembra quasi voler tenere per sé, una volta portati a casa per nasconderli dopo il furto.
Li osserva sorridente, estasiato, prova anche ad appenderli in salotto per vederne l’effetto, ma è presto costretto a nasconderli in campagna, nel soppalco di una porcilaia.
Il piano ideato da JB è un colabrodo. Mentre la polizia lo scopre molto facilmente, deve anche tenere a bada degli scagnozzi che riescono a sottrargli i quadri e a cancellare le sue mire di fare un po’ di soldi grazie al riscatto pagato dal museo.
Dopo tutta la (ridicola) fatica, JB si ritrova con niente. Di nuovo.
[The Mastermind: JB e i suoi complici mettono a punto il (fallimentare) piano]
L’arte e la fuga
The Mastermind inizia come un film autunnale, dai colori caldi e dall’estetica vintage che lo rende quasi una lunga istantanea in movimento più che un insieme di fotogrammi.
Una volta scoperto, JB intraprende una fuga rocambolesca e disorganizzata, iniziando a vagare senza una meta.
Da heist movie The Mastermind si trasforma in un road movie invernale, dove i colori si raffreddano e l’umore del protagonista si fa sempre più cupo, incupendo anche noi ma lasciandoci sempre un sottile sarcasmo di fondo.
Davvero un individuo che agisce così è la mente dell’operazione? Un uomo che inanella azioni insensate una dopo l’altra e sembra essere del tutto fuori dal mondo?
Curioso come JB di The Mastermind possa fare il parallelo con un altro personaggio interpretato da Josh O’Connor che bazzica l’interregno tra amore per l’arte e ruberia, ovvero l’archeologo Arthur, protagonista del sublime La chimera di Alice Rohrwacher.
[Anche l'estetica un po' trasandata e afflitta di JB in The Mastermind ricorda molto quella del protagonista de La chimera di Alice Rohrwacher]
Anche Arthur è un reietto, per di più straniero in un’Italia di provincia degli anni ’80; è un appassionato d’arte e un professionista, che mette a disposizione il proprio “dono” agli amici tombaroli per trafugare ogni bene dalle tombe etrusche della Tuscia.
Ma l’interiorità di Arthur è spessa, ben nutrita da un sentimento d’amore e perdita che è il vero motore della propria vita, che gli dà dunque uno scopo più alto di cui l’arte (e la sua sottrazione) è solo un mezzo, un tramite verso un mondo ulteriore.
L’interiorità di JB è pressoché nulla, piatta o quantomeno non esposta, non visibile.
Perché JB fa quel che fa? Cosa lo muove?
L’iniziale ammirazione dei quadri di Dove appena trafugati ci fa pensare che siano la brama di bellezza e il possesso di pezzi unici a spingerlo a gettarsi in un’impresa brancaleonica, ma il successivo disinteresse, dato anche dalla pressione delle indagini sempre più vicine a incastrarlo, negano l’iniziale supposizione.
[The Mastermind: JB osserva i dipinti di Arthur Dove che poi trafugherà]
La strada
I tentativi di JB di rifugiarsi da alcuni amici sono presto delusi.
Fred (John Magaro, che ha già collaborato con Kelly Reichardt in First Cow e Showing Up) vorrebbe anche ospitarlo, ma la moglie Maude (Gaby Hoffmann) non vuole che le torbide azioni di JB si riversino su di loro.
Fred accompagna dunque JB in città e gli consiglia di raggiungere una comune che potrebbe dargli asilo: "Obiettori, femministe radicali, tossici. Belle persone".
Un mondo nel mondo, fatto di tutti coloro che negli anni ’70 rappresentavano un pericolo allo status quo borghese e ingessato.
Come il free jazz che si fa colonna sonora di The Mastermind con rutilanti assoli di batteria, l’incedere di JB non segue una direzione né i consigli amorevoli dell’amico Fred, a conferma che le proprie azioni non hanno un senso concreto dall’inizio alla fine.
[The Mastermind: Maude (Gaby Hoffmann) congeda JB intimandogli di non farsi più vedere in casa propria]
Un personaggio come il nostro JB non può che avere la fine insensata degna dell’intero suo agire.
Come un indifeso Charlot di Tempi moderni, che recuperata per terra una bandiera rossa la sventola per poi ritrovarsi a propria insaputa in testa a un corteo di operai venendo subito arrestato, così JB di The Mastermind, talmente al verde da non poter acquistare un biglietto dell’autobus per lasciare Cincinnati, deruba una vecchietta sull’uscio di casa e si insinua nella folla di un corteo di studenti e pacifisti.
Il risultato?
Viene beccato da una carica della polizia e arrestato insieme ad altri manifestanti.
The Mastermind si conclude dunque con l’arresto del ladro, ma non per la ragione effettiva; JB viene arrestato perché considerato pacifista, il che ci fa sorridere amaramente se pensiamo all'oggi: è una situazione molto più realistica di quanto sembri e parla al nostro presente.
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