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Le città di pianura - Recensione: Sossai e l'ebbrezza del vivere

Presentato in concorso nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2025, Le città di pianura di Francesco Sossai è un road movie che riflette con ironia e malinconia su generazioni a confronto e sul bisogno di sentirsi parte di qualcosa, anche solo davanti a un bicchiere

Titolo originale: Le città di pianura
Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Francesco Sossai
Sceneggiatura: Francesco Sossai, Adriano Candiago
Cast: Filippo Scotti, Pierpaolo Capovilla, Sergio Romano
Distribuzione: Lucky Red
Uscita in Italia: 2 ottobre 2025
Durata: 98 minuti
Paese: Italia / Germania
Festival: Un Certain Regard - Cannes 2025

 

Introduzione: ebbrezza e disincanto nel Veneto

 

"Non c’è mai un’altra volta": è questa la premessa che dà vita a Le città di pianura e inizio alle avventure dei personaggi.

Il mondo che si staglia davanti ai protagonisti sembra così sfuggente, effimero, ma al tempo stesso reclama di essere compreso. 

 

Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla) hanno scoperto il segreto della vita, eppure, non se lo ricordano. Tra un bicchiere e l’altro l’hanno dimenticato.

Che poi, quello che hanno scoperto, è il segreto della vita o della loro vita?

Se lo chiede Giulio (Filippo Scotti), studente di architettura che accompagnerà i due in 36 ore di bevute, rivelazioni sul passato e discorsi esistenziali. 

 

Il giovane Giulio conosce Carlobianchi e Doriano a Venezia, alla festa di laurea della compagna di università di cui è innamorato.

 

Intimorito e incuriosito allo stesso tempo da quello strano duo, Giulio si sentirà sempre più attratto dalla capacità che i suoi due nuovi compagni hanno di volare leggeri sopra la vita e i problemi. 

 

[Trailer ufficiale de Le città di pianura]

 

 

Alcol, memoria, comunità

 

Le città di pianura potremmo definirlo un road movie; i personaggi, con l'obiettivo di condividere insieme "l'ultimo giro" di bevute, attraversano luoghi, bar, monumenti, conoscendosi e ri-conoscendosi.

 

Percorrono parte del Veneto esplorando posti caratteristici, posti in cui hanno lasciato pezzi di sé e in cui tentano di rimetterli insieme. 

 

È inoltre estremamente interessante la messa in scena di due generazioni diverse che si annusano.

Giulio apprende molto da Carlobianchi e Doriano, rappresentanti per eccellenza di uno spirito dionisiaco che il ragazzo sembra non possedere quasi per niente.

Se all’inizio è incerto nel seguirli nelle loro folli avventure, andando avanti con la storia smette di porsi troppe domande e impara, anche lui, a buttare alcol in gola come se fosse acqua.  

 

Giulio, dal canto suo, rappresenta l’occasione per i due uomini di riflettere sul loro passato, sulla loro giovinezza e sui tempi che ormai sembrano essere così lontani.

Il giovane permette loro di posare lo sguardo su quelli che sono i sogni andati e le disillusioni che li hanno accompagnati nelle loro esistenze.

Tra queste, la crisi economica del 2008 trasferita ne Le città di pianura come un trauma individuale e collettivo. 

 

Carlobianchi e Doriano, costantemente in auto, tentano di scappare da un passato difficile da digerire, da un presente che non li rappresenta e da un futuro che ha perso ogni attrattiva; vestono i panni di figure in conflitto con i loro tempi, con la loro generazione e quella degli altri, rappresentano un degrado ironico e sardonico.

 

Sono i relitti di un tempo che li travolge e che loro non conoscono più. 

 

 

[Filippo Scotti in una scena de Le città di pianura]

 

 

Il paesaggio come identità

 

Ne Le città di pianura non c’è spazio per la redenzione: seppur i due durante la narrazione vengano sorpresi da guizzi e si lascino andare a riflessioni, non cambiano.

 

L’ultimo bicchiere che bevono non è mai veramente l’ultimo, perché l’alcol si butta giù per rassegnazione, solitudine, per avvertire, seppur tiepidamente, un senso di comunità.

E senza quello che cosa rimarrebbe?  

 

Il regista e il direttore della fotografia Massimiliano Kuveiller lavorano sul restituire priorità al paesaggio e alla rappresentazione di luoghi che contribuiscono a forgiare le identità dei protagonisti; Carlobianchi, Doriano e Giulio sono e diventano i posti che percorrono, che vivono.  

 

Sossai dirige a mio avviso uno dei film italiani più interessanti dell’anno.

Le riflessioni sul Veneto contemporaneo, su una provincia in trasformazione, parlano direttamente all’oggi.

Solitudine e alienazione urbana o semi-rurale emergono con forza, dando voce a luoghi e persone che il Cinema mainstream spesso dimentica.  

 

Le città di pianura è una storia dal sapore dolce amaro che trasferisce un genuino senso di familiarità.

Familiarità per personaggi che in meno di due ore ti sembra di conoscere come amici, familiarità per luoghi che non hai mai visto ma che, seppur per poco, ti sembra di abitare.

E alla fine vorresti che quell'ultimo bicchiere non arrivasse mai, perché non sei pronto ad abbandonare quel senso di riconoscimento che il film ti trasmette. 

 

Ma, alla fine, è così importante capire il senso della vita se si può aggirare bevendoci su in compagnia?

___ 

 

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