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Familiar Touch è il primo lungometraggio della regista Sarah Friedland ed è stato il film più premiato dell’edizione del 2024 della Mostra del Cinema di Venezia.
Presentato in concorso nella sezione Orizzonti, Familiar Touch ha vinto per Miglior opera prima e Miglior regia a Sarah Friedland, nonché Miglior interpretazione femminile a Kathleen Chalfant, interprete della protagonista Ruth.
[Trailer ufficiale di Familiar Touch]
Girato in una reale casa di riposo di Pasadena, in California, Familiar Touch ha fatto dei suoi protagonisti parte integrante della lavorazione del film, coinvolgendo ospiti della struttura e operatori sanitari nella realizzazione prima di un laboratorio di Cinema e poi del racconto stesso.
La storia di Ruth (Kathleen Chalfant) è quella di tanti anziani che cominciano a perdere la memoria, che inizia a lasciarci partendo dalle cose più piccole: un oggetto messo nel posto sbagliato, come il toast che Ruth mette nello scolapiatti invece che nel piatto, lo scambiare il proprio figlio per uno sconosciuto, la dimenticanza di un capo di abbigliamento che si aveva invece tra le mani.
Dalla sua bella casa in collina, che della sua vita parla chiaramente, Ruth si sposta a vivere nella casa di riposo per persone con problemi di memoria e iniziale demenza senile.
Questa transizione, seppur delicata, gentile e premurosa, sconvolge il mondo della protagonista introducendo dei cambiamenti forzosi nella sua quotidianità.
[Familiar Touch: Ruth (Kathleen Chalfant) invita a pranzo il figlio Steve (H. Jon Benjamin) scambiandolo per uno sconosciuto a un appuntamento galante]
Familiar Touch è intriso di tenerezza, di pace e di calma, andando quasi a costituire un affresco in movimento, una serie di istantanee di una nuova vita che deve fare i conti con l’interruzione portata dalla vecchiaia.
Ruth, come molti dei degenti che avevano condotto una vita indipendente e autonoma fino al peggioramento delle loro condizioni, non accetta inizialmente di essere paragonata a suoi coetanei in condizioni peggiori: si discosta da loro, non si vede come loro, non vuole essere sottoposta allo stesso trattamento.
Appassionata ed esperta di cucina da sempre, Ruth entra nelle cucine della struttura e inizia a cucinare come se fosse a casa propria, con la sicurezza che l’ha sempre contraddistinta, senza curarsi dei cuochi, che la accolgono con condiscendenza e la lasciano fare.
[Ruth che si intrufola nelle cucine della casa di riposo per continuare a coltivare la propria passione per la cucina è una delle scene più tenere di Familiar Touch]
Familiar Touch è, nel rispetto del suo dolce titolo, fatto di sfioramenti, di centralità di un senso intimo come quello del tatto, che è l’unico dei nostri sensi che invade materialmente lo spazio personale di un altro individuo per compiersi.
Ci sono le leggere dita del dottore che misura i battiti, ci sono le braccia sicure dell’infermiera Vanessa (Carolyn Michelle Smith) a sostenere l’incerto incedere degli ospiti, ci sono le mani di Ruth sugli ingredienti della sua amata cucina.
Il tocco familiare dunque non è solo quello dato agli ambienti della casa di riposo, personalizzati per rendere più accogliente lo spazio per ogni ospite, e non è solo quello delle mani garbate che toccano corpi fragili, ma è anche quello della memoria sempre più labile che costituisce però la personalità di ognuno di noi, che ci rende noi stessi, che ci rende familiari a noi e agli altri.
Un bene prezioso che rischiamo di perdere.
[Familiar Touch: la complicità che si instaura subito tra Ruth e l'infermiera Vanessa (Carolyn Michelle Smith) dimostra la delicatezza dei rapporti interpersonali nei luoghi di cura]
Familiar Touch è un ottimo esordio descritto come un racconto di formazione anti-ageista, laddove la formazione è quella di una transizione da un’individualità pienamente compiuta a un’altra che deve affrontare i cambiamenti dati dall’invecchiamento, e laddove anti-ageista sta nel profondo desiderio – a mio avviso ben riuscito – di non rappresentare gli anziani né come persone ormai al di fuori della “produttività” né con quel tono indulgente e paternalistico che li vorrebbe come detentori della saggezza del mondo troppe volte inascoltata.
La vecchiaia è spesso raccontata per eufemismi – la terza età, essere in là con gli anni – quasi a volerne camuffare la natura primaria, ovvero una condizione che, qualora dovesse toccarci, sarebbe simbolo di una lunga vita.
[In Familiar Touch l'ascolto è fondamentale: Ruth descrive al dottor Brian (Andy McQueen) la frustrazione di ricordare perfettamente intere ricette culinarie ma di perdersi spesso in piccoli dettagli quotidiani]
Non ci dovrebbe essere vergogna né remora nel raccontare la vecchiaia, perché essa è spesso collegata a un dato anagrafico che poco importa in molte situazioni della nostra vita.
Quando essa si collega ai disagi derivanti dall’invecchiamento fisiologico del nostro corpo, come avviene in Familiar Touch, non rappresenta nulla di anomalo e del tutto degno di essere esposto e analizzato senza pietismo né censura.
Familiar Touch, pur con un tono dimesso e un ritmo lento, riesce nell’obiettivo prefissatosi, regalandoci un piccolo racconto umano che può aprire uno spiraglio nella rappresentazione, anche cinematografica, dell’ultimo stadio della nostra incredibile vita.
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