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Il rifugio atomico è una serie TV di Esther Martínez Lobato e Álex Pina, conosciuti per essere rispettivamente sceneggiatrice e creatore della ormai celeberrima La casa di carta.
Il mondo sembra essere sull’orlo di una guerra atomica.
Alcuni milionari, preoccupati per il loro destino, hanno deciso in modo preventivo di investire in un bunker antiatomico, il Kimera Underground Park, in attesa di una possibile crisi mondiale.
Quando la crisi sembra essere ormai vicina, i milionari vengono prelevati e portati nel bunker: tra di loro c’è la famiglia di Max Varela (Pau Simón), un giovane che anni prima a causa di un incidente stradale ha provocato la morte della sua fidanzata, e la famiglia di Asia (Alícia Falcó), la sorella della fidanzata di Max.
Mentre attriti e passioni struggono queste due famiglie, chi si nasconde dietro la creazione del bunker rivela la sua vera natura.
[Il trailer de Il rifugio atomico]
Il rifugio atomico parte con premesse interessanti, con un primo episodio a suo modo godibile, salvo poi annullarsi immediatamente sacrificando tutto per una drammaticità posticcia.
La storia cerca a tutti i costi di evidenziare il dislivello socioeconomico e le dinamiche di potere tra ricchi e poveri.
Al centro della scena, infatti, ci sono i “problemi” dei milionari che non vedono l’ora di trattare male il prossimo, buoni solo a rompere le regole per concedersi un drink o un pasto in più rischiando di non lasciare abbastanza risorse per gli altri.
Spaventati, ma allo stesso tempo viziati e avidi, si comportano da inetti fregandosene di quello che succede fuori.
Quella de Il rifugio atomico poteva apparentemente essere una critica alla società contemporanea, ma la cosa viene presto messa da parte: il tutto è infiocchettato come se fosse rilevante per la serie ed è buttato a caso tra scene di sesso, tradimenti e strani risvolti amorosi.
L’attenzione non è posta sui motivi che spingono queste persone a fare ciò che fanno e la serie ci presenta i ricchi viziati in modo passivo, senza alcuna replica.
Ne Il rifugio atomico la paura di vivere in un luogo claustrofobico e angusto per chissà quanto tempo è presente solo nel primo episodio; successivamente nessuno dei personaggi soffre la condizione di recluso: la vita continua a scorrere serenamente, con appena qualche battuta ogni tanto per ricordare la situazione di prigionia che altrimenti il pubblico avrebbe dimenticato.
I protagonisti de Il rifugio atomico si muovono senza un senso logico con l’unica finalità di farsi i dispetti tra loro.
Persino l’incipit della vicenda, la giovane donna morta nell’incidente stradale, fidanzata di Alex e sorella di Asia, è rilevante solo al fine di aggiungere un po’ di pepe a questo "drama nel drama", rendendo impossibile seguire qualsiasi intreccio narrativo senza esserne infastiditi.
[Una scena de Il rifugio atomico]
Nella serie avvengono a mio avviso cose inspiegabili.
Capita che si sentano delle voci narranti - quella di Alex o di Minerva, l’architetta che ha progettato il bunker - in momenti casuali, solo per dare un po’ di backstory; a volte si sentono i pensieri dei personaggi e quindi si ha coscienza di tutto ciò che pensano; altre volte non si ha la più pallida idea di quello che passi per la loro testa che giusto qualche minuto prima erano espliciti ed estremamente didascalici; alcuni elementi a lungo andare spariscono o non sono coerenti con la narrazione, soprattutto quando si tratta di flashback.
Nonostante questo elenco tragico (che potrebbe continuare all’infinito!) la cosa che più mi ha infastidito de Il rifugio atomico sono senza ombra di dubbio i colpi di scena, non solo in quanto banali e prevedibili ma anche perché sono talmente tanti che a un certo punto sono dati di fatto e li si prende così, come vengono.
È chiaro che da Il rifugio atomico non ci si potesse aspettare qualcosa di troppo diverso da una soap opera, dato che il prodotto rientra in un certo genere fortemente bistrattato.
C’è da dire, però, che almeno la prima stagione de La casa di carta, facente parte dello stesso identico immaginario, aveva un approccio similare ma meno spinto e, a suo modo, manteneva una certa iconicità: basti pensare anche solo ai suoi protagonisti, tutti riconoscibili e con qualcosa di diverso da raccontare.
Qui invece i personaggi si assomigliano tutti e non perché indossano le stesse tute arancioni e azzurre: semplicemente perché non hanno niente da dire.
A mio avviso dunque Il rifugio atomico non ha spessore, la trama si regge a stento e i protagonisti sono insopportabili: non c’è una singola cosa che personalmente salverei.
Nonostante la serie avrà probabilmente il suo breve successo su Netflix, dovuto alla passione per il trash da parte del pubblico generalista, ritengo che Il rifugio atomico sia un disastroso e dimenticabile esperimento.
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