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Honey Don't! è il secondo film di Ethan Coen senza il fratello Joel, nuovo capitolo della "trilogia di film lesbici di serie B" inaugurata con Drive-Away Dolls nel 2024.
La definizione del ciclo fornita dal regista stesso individua un campo d'azione preciso che stringe i termini del racconto sul piano estetico e di contenuto, ma più che una dichiarazione d'intenti finisce per essere una condanna sulla vacuità del discorso cinematografico portato in scena.
Anche per Honey Don't! Ethan Coen sceglie l'attrice Margaret Qualley nel ruolo di protagonista e anche per questo secondo atto il regista decide di lavorare in squadra con la moglie, la sceneggiatrice, produttrice e montatrice Tricia Cooke.
Il film è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2025 ed è distribuito nel nostro Paese da Universal Pictures Italia.
[Il trailer di Honey Don't!]
Margaret Qualley è Honey O'Donahue, un'investigatrice privata di Bakersfield, una piccola cittadina in California, che in collaborazione con la polizia locale sposta l'attenzione delle sue indagini dai piccoli tradimenti coniugali a una serie di misteriosi omicidi; ad affiancarla nel cast troviamo Aubrey Plaza, Chris Evans e Charlie Day che partecipano a una commedia noir giocata sui toni del grottesco e della farsa.
Honey Don't! è ambientato ai giorni nostri ma il look del film ricalca il sapore degli anni '70, dagli esterni polverosi e bruciati dal sole, alle scenografie vintage curate da Nancy Haigh, fino agli abiti indossati da Honey, disegnati da Peggy Schnitzer, che conferiscono alla sua figura una severità sensuale senza tempo.
Il gioco tra contemporaneità e spirito rétro è costruito per contrasto: Honey preferisce scrivere i numeri di telefono su un taccuino e guidare una cabrio d'epoca, ma la sua attitudine è moderna, da donna emancipata che sfida costantemente le regole del vecchio stereotipo della femme fatale che usa la propria avvenenza per ammaliare il maschio al fine di raggiungere i propri scopi.
Honey è invece immune alle regole dell'eteronormatività e non manca di ricordare ai soggetti maschili - nel film niente più che marionette bidimensionali - il fatto che le piacciano le donne, depotenziando così la portata del dominio patriarcale.
Eppure il detective della sezione omicidi Marty Metakawich (Charlie Day) a cui Honey si rivolge per essere aiutata nelle indagini, sembra non recepire mai il messaggio, come se la mancanza di attrazione fisica verso di lui - e quindi l'inefficacia del meccanismo di controllo che avrebbe voluto mettere in atto sconfinando il piano professionale - sia impossibile da processare mentalmente.
Il principale difetto di Honey Don't! però è l'incapacità di dare spessore ai personaggi: se stilisticamente Ethan Coen è in grado di restituire la sua visione, un grottesco fortemente caratterizzato dall'elemento sessuale, non solo queer, sfacciato e irriverente, a livello di profondità manca una storia personale in cui immedesimarsi, o a cui contrapporsi, un guizzo che susciti un corrispettivo emotivo nello spettatore.
[Margaret Qualley in una scena di Honey Don't!]
A seguito della morte in un incidente stradale di una donna che aveva precedentemente contattato la sua agenzia di investigazione, Honey decide di prendersi carico del caso, sospettando si tratti di un omicidio.
Chiede così aiuto all'agente di polizia MG Falcone (Aubrey Plaza).
Tra le due esplode una forte attrazione fisica, una passione dirompente che sfocia in diverse scene di sesso talvolta sfrontato, talvolta più mansueto.
MG è un personaggio ambivalente: audace nel desiderio, ma riservata nel racconto di sé. Si percepisce una ruvidezza di sottofondo, che però non basta a reggere la violenza esasperata che a un certo punto della trama tirerà fuori, come se la sceneggiatura corresse più veloce nella rappresentazione degli effetti, senza preoccuparsi di spiegare a fondo le cause.
Ethan Coen e Tricia Cooke inseriscono diversi temi in Honey Don't!, tra cui quello dell'abuso, del trauma e della violenza di genere, ma nessuno di questi assume mai una dignità isolata.
Viene così meno l'occasione di sfruttare la vivisezione che il Cinema concede con la sua tipica lente di ingrandimento sulle maglie del reale.
Ciononostante lo scambio tra la protagonista e la poliziotta si configura come la relazione più sincera che offre Honey Don't!, un'intimità limpida, senza il filtro del distacco connaturato al cinismo che attraversa la pellicola, ristabilendo un senso di autenticità che dà ossigeno alla storia.
[Margaret Qualley e Aubrey Plaza in una scena di Honey Don't!]
Honey Don't! prosegue con una catena di omicidi inseriti in una cornice umoristica surreale, con alcune soluzioni registiche in cui lo spettatore finalmente riconosce la mano di Coen, anche se meno brillante rispetto ai tempi del sodalizio con il fratello, da Fargo a Non è un paese per vecchi.
Proseguendo le investigazioni, Honey scopre il coinvolgimento di una congregazione religiosa nelle morti misteriose.
La piccola chiesa è guidata dal reverendo Drew Devlin (Chris Evans), un pastore carismatico che ha l'aspetto di un santone palestrato alla guida di una setta di fedeli esaltati. Dietro alle predicazioni altisonanti, si nasconde in realtà un giro di compravendita internazionale di stupefacenti.
Il reverendo è un uomo viscido e manipolatorio, che si intrattiene sessualmente con pratiche di bondage insieme alle fedeli travestite da suore, incurante della vita dei suoi sottoposti, convinto di agire un potere su qualunque donna gli si presenti di fronte.
Invece, ironicamente, è lui stesso a essere subordinato proprio a una donna, Chère, interpretata dall'attrice franco-tedesca Lera Abova, il suo contatto criminale di Parigi.
[Chris Evans in una scena di Honey Don't!]
La trama di Honey Don't! è molto frammentata, con grossi buchi irrisolti, storyline solo abbozzate, in cui lo svolgimento, che dovrebbe fornire il chiarimento finale, resta incompleto.
L'impronta di Margaret Qualley è senza dubbio ipnotica. Come già dimostrato in The Substance, Qualley padroneggia il modo in cui il suo corpo risuona nello spazio circostante, incanalando la sua bellezza al servizio del lavoro attoriale.
Honey Don't! però non mette mai davvero a fuoco il corpo queer come rivendicazione di libertà. Il sesso, etero e saffico, è una performance che non afferma, non esige e non trasforma.
Sembra inoltre che nel discorso cinematografico il femminismo possa essere espresso solo attraverso la messa in scena di personaggi maschili idioti, a due dimensioni, schiacciati dal peso della propria inutilità, attestata dalla mancanza di attrazione fisica della donna verso di loro.
Se da un lato questa rappresentazione potrebbe essere una fase naturale della lotta, per cui dalla condizione storica di vittima la donna passa direttamente a quella di prevaricatrice, legittimata dalla rabbia di anni di subalternità, dall'altro si rischia la banalizzazione - che fa altrettanto male alla causa femminista - di un riequilibrio sociale che dovrebbe essere invece maggiormente stratificato, attento a non ricalcare gli stessi incasellamenti di genere al contrario.
[Margaret Qualley in una scena di Honey Don't!]
Più a fuoco in Honey Don't! è invece l'anima femminista squisitamente politica, che emerge senza mezzi termini in un paio di scene.
La protagonista si dice disgustata dall'uomo medio americano, etero e filo-repubblicano, che conduce una vita fallocentrica. Dopo uno scambio di battute, Honey copre un adesivo "MAGA" incollato su un'auto con un altro che recita "I have a vagina and I vote".
Se leggiamo Honey Don't! da questa prospettiva, allora a Ethan Coen spetta il merito di aver saputo tratteggiare un quadro critico degli Stati Uniti di oggi.
Il fanatismo religioso, la spiritualità come mero status symbol, l'uso indiscriminato delle armi che facilita l'accesso al crimine, la propaganda misogina di Trump che maschera la fragilità di un maschile fortemente in crisi.
L'incompiutezza sgangherata di Honey Don't! diventa così la metafora di una collettività disgregata, che allarga l'orizzonte dal particolare - il femminile che prova maldestramente a costruire un mondo a sua misura - all'universale: un sentimento nichilista diffuso, in cui il caos resta l'unico ideale in cui credere.
Honey Don't! è un thriller che non appassiona, perché al centro c'è il vuoto.
È l'America nel suo profondo niente.
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