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Inizia À son image di Thierry de Peretti e sul balcone della sua stanza da letto una giovane donna discute al telefono con la madre: è ormai notte.
La conversazione è ordinaria, riversata in un long take fisso, appena termina la donna si accinge a coricarsi, azionando la persiana.
Poiché la macchina da presa è posizionata all'interno della camera, presto o(b)scura, il lento abbassarsi della palpebra meccanica chiude letteralmente l'inquadratura, immergendo noi e la donna nel buio.
[Il trailer di À son image]
Stacco: i titoli di testa di À son image scorrono in sovraimpressione sull'idilliaca Calvi, località marittima della Corsica settentrionale.
La donna sta scattando fotografie per un matrimonio e la cinepresa si aggira sinuosa. La voce di Mina attraversa la sequenza e parla d'amore, di un amore futuro: verrà l'amore, quello vero, per noi due.
La giornata volge al termine, la luce comincia a calare.
Al tramonto la donna sale in macchina: la prima inquadratura ravvicinata la mostra nell'abitacolo, col sole di fianco. Era parsa serena.
Ora chiude gli occhi per qualche secondo di troppo, forse per la stanchezza. Riapre gli occhi, sembra un po' assonnata.
Appena abbassa di nuovo le palpebre, interviene un taglio.
Osservata a distanza con una carrellata a seguire, l'auto prosegue verso il mare all'orizzonte. Prosegue ignorando la curva, in linea retta, con andamento meccanico; prosegue facendosi strada tra le protezioni e rovinando fatalmente nelle acque dorate.
Senza troppe parole, senza nemmeno un nome, À son image fa morire questa protagonista temporanea in una manciata di minuti.
La fa morire di una morte che non offre molti appigli speculativi, che non tradisce un gran mistero; dopo i titoli però, qualche istante per gli addii e… magia del Cinema: Antonia torna in vita e acquisisce, in toto ma in una maniera che va indagata, il ruolo di protagonista.
Fatta eccezione per l'incipit, fondamentale, l'ultima fatica del regista còrso de Peretti – tratta dal romanzo omonimo di Jérôme Ferrari – è strutturata come una successione di flashback che copre vent'anni, dal 1979 alla fine del secolo, e che subito si associa al voice-over di un narratore (onnisciente?).
Per quanto non sia più evocata direttamente, la morte di Antonia in À son image ammanta in modo inesorabile questo studio retrospettivo; ciononostante, non è la tragedia – segnata – di un singolo, di una traiettoria privata, a occupare esclusivamente il proscenio.
De Peretti 'presta' il proprio sguardo per immortalare con estremo rigore un brandello di Corsica.
Anzitutto presta il corpo a Joseph, il padrino che ha donato ad Antonia il suo primo appareil photo, inaugurandone la 'vita fotografica', e che al contempo, in quanto parroco locale, ha l'ingrato compito di officiarne le esequie.
L'ultima inquadratura che precede l'analessi lo vede uscire (a sinistra) dal quadro, pronto a commemorare Antonia: solo allora lo studio retrospettivo può iniziare, e da qui, dagli istanti per gli addii e dall'incipit, può essere preliminarmente interpretato il discorso di À son image.
[Un frame da À son image]
Sul piano (astratto) del solo contenuto, senza prestare troppe attenzioni all'articolazione narrativa, À son image mostra più sfaccettature della parabola di Antonia.
Antonia fotografa: fotografa gli amici per diletto, comincia a lavorare per il quotidiano locale Corse-Matin, si fionda in Jugoslavia per documentare il conflitto, conclude scattando per un matrimonio.
Antonia ama: ama la fotografia, anche se non sempre nella stessa maniera; ama Pascal, militante del Fronte di Liberazione Nazionale Còrso, fino a quando i suoi continui arresti si frappongono; in seguito, ama incertamente un amico, Simon.
È lei l'epicentro narrativo di À son image: la seguiamo tra i Balcani lasciandoci alle spalle l'isola, per esempio; insieme, se così si può dire, Antonia non ha però in sé il proprio epicentro.
Quest'ultima frase necessita di due precisazioni.
In primo luogo la questione è interna alla diegesi: le vicissitudini di Antonia dipendono strettamente dall'impegno politico di Pascal e, in generale, riflettono una più ampia dinamica 'di genere'.
In un'opera che si confronta con un periodo politicamente intensissimo all'interno della Storia della Corsica, la protagonista ha poco da dire, tutto sommato, in relazione a questo livello del dibattito politico-ideologico. Nondimeno, un legame amoroso la àncora agli eventi storici in un modo (emotivo) che eccede il solo inserimento in contesto.
In secondo luogo, Antonia manca di una caratterizzazione psicologica in grado di innescare un'immedesimazione tradizionale.
Per quanto À son image sia contraddistinto da un marcato naturalismo recitativo, peraltro espresso in molte scene dialogiche, alcune scelte che si collocano sul piano (astratto) della sola forma o che riguardano l'articolazione narrativa ostacolano le adesioni che la vicenda – nella prospettiva della sua protagonista – avrebbe potuto facilmente raccogliere.
Ne discende che Antonia non favorisce, in quanto personaggio, la piena riconduzione (narrativa) a sé di numerose istanze che la circondano.
La seconda precisazione sembrerebbe suggerire che con Antonia sia dia una mise en abyme dello sguardo registico o che ella sia una veggente nel senso deleuziano del termine, una funzione di (auto)esplorazione dell'universo filmico.
Le scelte formali summenzionate chiamano tuttavia una riflessione ulteriore.
La parabola di Antonia non suscita empatia né è tradizionalmente centrale poiché de Peretti opta per un andamento ellittico che soffoca il pathos dei singoli accadimenti.
Nel susseguirsi delle tranches de vie si fa avanti un distacco che ben si attaglia alla morte inaugurale; nella medesima direzione vanno il piglio decisamente anti-drammatico del voice-over (che addirittura anticipa degli snodi narrativi) e l'impostazione scopica, in un domino di campi medio-lunghi e totali che esibiscono, assieme agli zoom, una prospettiva che certo non coincide con quella di Antonia.
Il distacco, però, non è quello – presunto – dello storiografo o del biografo.
In À son image de Peretti non si sta appoggiando a un personaggio di finzione per delineare un resoconto non-documentario e non-didattico delle lotte còrse per l'autonomia e l'indipendenza; insieme, non sta nemmeno strumentalizzando quel retroterra per motivare l'ingresso del tragico all'interno di un'esistenza privata.
Torniamo ai minuti che, dopo l'incipit, precedono l'analessi.
Joseph-de Peretti sta per uscire dal quadro.
Qualche secondo prima abbraccia per la seconda volta un uomo in cui si è imbattuto anche nella camera ardente.
Scopriremo più tardi che si tratta di Simon; più tardi ancora ci renderemo conto che il regista, dopo l'appareil photo, ha passato un secondo testimone: è infatti la voce non-onnisciente dell'amico e amante di Antonia, insegnante di storia tutt'altro che disinteressato, ad accompagnarci nella vita nella donna e tra le immagini del Novecento – in senso pieno: talora la Storia fa irruzione come materiale estetico, in forma di immagini d'archivio.
Ecco che À son image non è allora una lezione di politica, o perlomeno non è una lezione ideologica o partitica nel significato corrente di queste parole.
È semmai una lezione di storia in chiave quasi straubiana, e perciò non può che essere una lezione cinematografica, una lezione di Cinema, del Cinema, dal Cinema; una lezione mai paternalistica che mostra una specifica rilevanza politica.
[Un frame da À son image]
Disseminandosi, de Peretti firma in À son image delle immagini non riconciliate, in cui la Storia e le storie si agitano incessantemente.
Una volta ancora affiora il bisogno di gettarsi nello scarto tra sguardo e vita, quella vita che nella pellicola assume i toni sempiterni della tragedia (anche soffocata), quella vita che si scontra con la comprensione e che è pronta a morire, a lasciar traccia, a trasfigurarsi appena si aziona (quando? dove? perché?) l'otturatore, appena la tecnica posa il suo occhio, pronta a serrare di nuovo la palpebra meccanica.
Aggiungendosi a una vasta schiera, anche recente, À son image tematizza il problema in termini contenutistici mettendo a fuoco, per mezzo di Antonia, le questioni-cardine della cosiddetta etica dello sguardo.
Di più, però, con scelte formali che interagiscono fecondamente con quello stesso contenuto, prospera est-eticamente grazie a un dispositivo estetico capace di riaprire le ferite e le immagini.
Verrà l'amore, quello vero, tra sguardo e vita?
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