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Una pallottola spuntata - Recensione: non ci resta che ridere

Liam Neeson ci mette la faccia e pure il distintivo nel rischiosissimo sequel di una delle saghe più iconiche della comicità politicamente e intelligentemente scorretta

Una pallottola spuntata è un film diretto da Akiva Schaffer con protagonisti Liam Neeson e Pamela Anderson, quarto capitolo della celebre saga cinematografica partorita dal dissacrante genio di David Zucker, Jim Abrahams e Jerry Zucker

 

"Devi imparare a non pensare troppo!”

 

Con queste iconiche parole l’ormai disincantato dottor Rewlins (Nigel Havers) ammoniva un giovanissimo e ancora idealista Christian Bale sul finire de L'impero del sole di Steven Spielberg.

 

Senza ovviamente sapere che, di lì a un anno, l’esagitato tridente d’acciaio Zucker-Abrahams-Zucker (affettuosamente ZAZ) avrebbe fatto propria quella stessa - apparentemente nichilistica - massima, esplodendo con ben più disimpegnata mira Una pallottola spuntata

 

 

[Il trailer ufficiale e parecchio surreale di Una pallottola spuntata]

 


In verità quella del trio sarebbe stata originariamente una pistola, per giunta nuda e soprattutto catodica: sparata per il breve tragitto di una sola misera stagione televisiva prima che, di comune accordo con l’insofferente Paramount, visto il misero rinculo di share - ma non certo di critica - si decidesse di spegnere preventivamente il piccolo schermo di questa (s)fortunata Police Squad per centrare così il ben più promettente bersaglio della celluloide.

 

Squadra che vince - soprattutto se, per l’appunto, di Polizia - solitamente non si cambia.

 

Ancor freschi e fragranti dei successi di Top Secret! e de L'aereo più pazzo del mondo i nostri tre amigos dalla facile parodia decisero, in quel glorioso e tardo reaganiano 1988, di mettere nuovamente alla berlina le crime series più in voga del momento - capitanate all'epoca dal ferreo Tenente Ballinger di Lee Marvin - richiamando a raccolta per una così ghiotta occasione nientemeno che quel gran volpone dal bianco crine di Leslie Nielsen, che già aveva dato e fatto il suo entro i limiti dei 21 pollici.  

 

 

[Liam Neeson mostra tutte le sue grazie in Una pallottola spuntata]

 


Il resto, come si suol dire, è Storia.

 

La scoppiettante, travolgente, scorrettissima crazy story in tre portate e salsa slapstick di Una pallottola spuntata e del suo scalmanato detective Frank Drebin: quest’ultimo protagonista, assieme alla sua esagitata masnada di spalle e spallucce, di una dirompente sequela di gag, allusioni, doppi sensi e un sano umorismo squisitamente performativo sempre e comunque orchestrato con rigore, talento e caustica professionalità.   

 

L’autentica maschera comica di una postmodernità già parecchio incipiente, nonché apripista di un fresco e rivoluzionario concetto di nonsense capace di resistere ai decenni, alle latitudini e, ça va sans dire, pure ai primi vagiti della grezza e grossolana grana di una goliardia spesso fine a sé stessa che di lì a poco sarebbe inevitabilmente zampillata dai vari American Pie e demenziale compagnia.  

 

Concluso dunque alla bell’e meglio l'inevitabile - o, a pensarci bene, forse più che evitabile - riassuntone d’ordinanza, a trent'anni da quell’ultima e ancor fumante Una pallottola spuntata 33⅓ - L'insulto finale la domanda sorge più che mai spontanea: serviva proprio rimettere mano e rinverdire una trilogia nata, cresciuta e spirata con tutti gli onori, dandole per giunta un ammesso e non concesso nuovo capitolo?  

 

 

[Pamela Anderson e Liam Neeson se la intendono parecchio in Una pallottola spuntata]

 

 

Può una spoof saga germogliata da una precisa e codificata idea di comicità, figlia di un proto-clintoniano momento storico, centrare non dico il buco ma quantomeno la tazza nel pieno dell’iperattiva epoca del multitasking selvaggio, delle battaglie a suon di reel e della deficitante soglia d’attenzione tipica della TikTok Generation?

 

La risposta breve è: certamente no.

Se tuttavia preferite quella un poco più approfondita, allora sarà necessaria qualche ulteriore battuta e, cosa più importante, un pizzico della miglior predisposizione d’animo a cui noi seri e coscienziosi spettatori siamo disposti a piegarci. In special modo quelli tra noi ormai attempati e che rientrano nella pericolosa categoria dei fan di Una pallottola spunta. 

 

Partirò dunque con il chiarire fin da subito che, almeno per quanto mi concerne, questo reboot di Una pallottola spuntata, sotto le tutt’altro che mentite spoglie di uno strampalato e in teoria non necessario sequel, malgrado mille bagarre produttive, infiniti corsi e ricorsi di penna, incalcolabili cambi di timone e una sofferta defezione in corso d’opera nientemeno che del caro David Zucker in persona, un suo perché pare avercelo eccome.  

 

Sul come potremmo ovviamente star qui a disquisire e cincischiare fino alla fine dei tempi, ma sul perché, spiace davvero, Una pallottola spuntata non ammette discussioni!  

 

 

[Paul Walter Hauser nei panni di braccio destro e sgambetto sinistro in Una pallottola spuntata]

 

 

Perché dunque scomodare addirittura uno come Liam Neeson?

 

Uno che macho lo è fondamentalmente sempre stato e che man lo è diventato in mille forme e declinazioni diverse. Uno che, indipendentemente dal dal fatto di solcare un treno, un aereo, del ghiaccio o un tostissimo pick-up col quale sgommare "al di sopra della legge", volenti o nolenti vi troverà e ve la farà pagare assai cara sino alla settima generazione inoltrata. 

Perché scomodare proprio colui, che fino all'altro ieri e sotto la sapiente guida di un maestro come Neil Jordan, senza ancora avere in canna Una pallottola spuntata già s'impegnava a vestire il ben più ombroso e noir-issimo impermeabile con annesso Fedora di un chandleriano Detective Marlowe? 

 

Perché se è pur vero che di Frank Drebin ce n'è stato e sempre ve ne sarà uno e uno soltanto, di attempati figliocci in grado di (r)accogliere non solo di nome ma anche e soprattutto di fatto una così pesante e demenziale eredità con stile, intelligenza e una coprosa dose di autoironia, non è che ve ne siano poi così molti su grande e piccolo schermo. 

 

Disse il saggio - quello dal sacro e vendicativo Verbo, s'intende - che i casini dei padri, al pari delle proverbiali colpe, finiscono per ricadere sempre e comunque sui figli.

Pertanto basterà una sola delirante nonché decisamente programmatica sequenza di aperture perché il summenzionato e parecchio svalvolato tutore della legge dal solido grugno e dall'assai curiosa bianchieria intima decida di togliersi più che mai letteralmente la maschera; rivelando così quale sangue realmente scorre nelle turbolente vene di Una pallottola spuntata.

 

Per inciso, se ancora non si fosse capito, Una pallottola spuntata si scrive senza numerini o sottotitoli di sorta; così come da tradizione dei legacy sequel che oggi impazzano senza sosta e, spesse volte, senza alcun ritegno in lungo e in largo.

 

 

[Liam Neeson mostra la lingua prima del distintivo in Una pallottola spuntata]

 


Neanche il tempo di riprenderci dal surreale benvenuto di Una pallottola spuntata - già ricco in verità di goliardiche promesse pericolosamente in bilico sul filo del too much - ed ecco che la sudante voice over imbevuta di nonsense del nostro tostissimo Frank Jr. subito ci catapulta nel mezzo dello skyline losangelino: vecchia conoscenza fin dai gloriosi tempi delle casinare gesta paterne che furono e ora pronto ad accogliere una nuova e altrettanto pazzerella (dis)avventura di uguale e debordante portata.

 

Dopo aver infatti sventanto per il rotto della gonna una delle rapine più male assortite della Storia della Settima Arte e aver dunque inaugurato la solita scoppiettante mattinata tipica di Una pallottola spuntata con una corroborante dose di caffé a ripetizione, il tutt'altro che speciale agente e il suo fidato braccio destro Ed Hocken (Paul Walter Hauser) - proprio il figlio di quel fu capitano Hocken! - inizieranno a subodorare un nuovo "mistero del falco" all'orizzonte; nel momento in cui una bionda e ben stagionata femme fatale con il conturbante physique du rôle di Pamela Anderson farà il suo teatrale ingresso nel loro angusto ufficietto da copertina hard boiled. 

 

Anderson è Beth, una scrittrice di romanzi neri pieni zeppi di quel Basic Instinct che tutti ben conosciamo, ma in realtà bisognosa di far luce sulle reali colpose cause dietro la ben poco accidentale morte del di lei schiantato fratello. 

Il malamente trapassato tizio in questione altri non fu che un tecnico informatico (ex) impiegato al soldo del sordido magnate dei microprocessori Richard Cane (Danny Huston) - ennesimo stereotipato "Evil Musk" come tanti se ne stanno vedendo su questi schermi - venuto forse incautamente in possesso di compromettenti prove capaci di svelare un pericoloso e assai malvagio piano concepito da quest'ultimo allo scopo d'imbastire un ennesimo Nuovo Disordine Mondiale. 

 

Brutta storia, vero?

Più che altro storiella, semplice ma tutto sommato azzeccata, che permetterà al nostro incontinente Mr. Drebin 2.0 di caricare il proprio pistolone - con o senza doppi sensi - di ben più che Una pallottola spuntata; immergendosi fino al collo in una sequela di improbabili intrighi degni del più anarchico teatro dell'assurdo, incontri e scontri destinati inevitabilmente a finire, se non in vacca, quantomeno in caciara e cinefile strizzatine d'occhio con tanto di sgambetto a quella sudatissima action di celluloide di cui il buon Liam è stato ed è tuttora uno dei più granitici frontman

 

"Caro papà: in parte vorrei essere come te, ma allo stesso tempo punto all'originalità!"

 

Una confessione, una preghiera o forse addirittura un augurio, che tuttavia suona come la vera e propria dichiarazione d'intenti di un film che, strano ma vero, a differenza di moltissimi tardivi progetti di filmica resurrezione - si vedano l'imbolsito Un piedipiatti a Beverly Hills - Axel F di Mark Molloy o l'ancora fumante So cosa hai fatto di Jennifer Kaytin Robinson - dimostra per una volta la chiara e (auto)consapevole volontà di imparare dal vecchio per (ri)fondare il nuovo. 

 

 

[Danny Huston trama un malefico inghippo degno di Elon Musk in Una pallottola spuntata]

 


Malgrado infatti ciò che si possa intravedere o maliziosamente pensare, non pare esserci alcuna traccia di stucchevole passatismo in Una pallottola spuntata.

 

Forse soltanto un briciolo d'inevitabile nostalgia che, tuttavia, al pari del fuggevole cameo di un'imbambolata Priscilla Presley passa sotto i nostri occhi e se ne va con la stessa rapida e labile incisività di una freddura sussurrata a denti stretti. 

È davvero straordinario constatare inoltre come un tipetto cinematograficamente assai schizofrenico come Akiva Schaffer abbia finalmente saputo far tesoro della ridacciana palestra accumulata con progetti parecchio altalenanti quali lo stralunato Hot Rod - Uno svitato in moto, il grossolano Vicini del terzo tipo e l'inconsapevolmente geniale Vite da popstar - oltre alla carinissima prova metanarrativa di Chip & Chop agenti speciali - per tirar fuori stavolta un trattato di caustica ironia applicata che, se non certo perfetto, quantomeno centrato lo si potrebbe etichettare senza alcun indugio. 

 

Tuttavia, più che di una regia molto capace di esaltare la brulicante anarchia visiva e le solide doti performative di un parco attoriale genuinamente affiatato - il burbero capitano Davis di CCH Pounder e il bislacco tirapiedi Gustafson di Kevin Durand sono in questo senso da manuale, così come un'inaspettata special appearence di solidissimo peso specifico - il gran merito della riuscita di Una pallottola spuntata parrebbe tutto di una sceneggiatura, quella scritta dallo stesso regista assieme a Dan Gregor Doug Mand, che nonostante i già citati rimescolamenti e i podorosi taglia-e-cuci, il suo (s)porco e divertente lavoro è riuscito comunque a farlo.

 

 

[Una pistola vale più di mille parole in Una pallottola spuntata]

 


Lo script di Una pallottola spuntata pare uscito dritto dritto da quei portentosi e già più volte decantati anni '80 e '90, nel quale i semi lasciati per strada da un precocemente dimissionario David Zucker han potuto fortunatamente continuare a germogliare e a dare ottimi frutti anche laddove le talentuose e inimitabili radici sono state prematuramente recise.

 

Tracce profonde e inconfondibili che si fanno ancora provvidenzialmente sentire nel momento in cui serratissimi tempi comici scongelati da tutt'altra epoca, numerosi espedienti ai limiti dell'assurdo e un politically incorrect assai mordace ma mai rovinosamente debordante o ingiustificatamente volgare finiscono miracolosamente per incastrarsi e coesistere tra loro, in una provocatoria e dissacrante architettura tanto rara quanto innegabilmente efficace. 

Nonostante un tale miracolo di forma a livello di sostanza a mio avviso non tutto funziona come dovrebbe in Una pallottola spuntata. 

Poiché, sempre a causa di quell'effetto memorabilia di cui quasi tutti i sequel, reboot e strascicati next level contemporanei si mostrano inevitabilmente affetti, la replicazione quasi mimetica di alcune risapute soluzioni in odor di Hellzapoppin' e di certuni collaudati schemi di nostra cinefila conoscenza non possono che creare a lungo andare una sorta di cortocircuito, nel quale il passato riesce a circumnavigare il futuro per poi ritornare zitto zitto e quatto quatto ai cari vecchi blocchi di partenza. 

 

D'altronde si sa che quando di mezzo ci si mettono un cane, un frigorifero, un tacchino e un insospettabile Jack Frostieri come oggi tutto può succedere, giusto?

Vecchie nuove, buone nuove! 

 

E poi c'è lui: l'unico autentico e insospettabile mattatore capace come pochi oggi d'incoccare Una pallottola spuntata e di spararcela dritta in mezzo al grugno senza troppi complimenti né particolare timore di apparire genuinamente ridicolo.

 

 

[Liam Neeson ti spiezza in due in Una pallottola spuntata]

 


Un Liam Neeson divertente e parecchio divertito nel prendere per i fondelli sé stesso e i tutt'altro che stringenti - anche se ormai un tantino stereotipati - panni da Last Action Hero che esso stesso ha contribuito a cucirsi addosso con la sagace consapevolezza degli ultimi crepuscolari annetti.

 

Quegli stessi incravattati panni da duro gentleman senza macchia né paura né tantomeno qualsivoglia credibilità filmica che, seppur per il breve tempo di una grassa e grossa risata, con l'ausilio di una sana dose di disimpegnata nonchalance già aveva accettato di testare in quell'ormai iconico campestre cameo nell'affollata guerra civile di Anchorman 2 - Fotti la notizia di Adam McKay. 

 

A fare da spalla all'ispirato Neeson - così come da tradizione della dissacrante meccanica post-bondiana di Una pallottola spuntata - troviamo qui in qualità di Drebin Girl una ficcante Pamela Anderson, reduce dall'intensa prova drammatica nel crepuscolare The Last Showgirl di Gia Coppola.

La "rinata" attrice, appesi da tempo il rosso costumone e l'iconico salvagente di Baywatch al chiodo, non solo ci dimostra una volta e per sempre di essere ormai divenuta qualcosa di ben più sostanzioso rispetto alla "bionda sexy" che noi tutti conoscevamo, ma soprattutto che un'attrice fiera e degna di questo nome la si misura piuttosto dalla qualità delle lacrime che è in grado di farci versare, siano esse di dolore così come di scompisciante divertimento. 

 

"Da quando la polizia rispetta la legge?!"

 

Parole sante e decisamente provocatorie quelle pronunciate tra il serio e il faceto dal nostro Machine Gun Franky in Una pallottola spuntata, a dimostrazione di come, nonostante i decenni, le mode e le comuni sensibilità siano inevitabilmente cambiate, la graffiante abrasività di Una pallottola spuntata continua imperterrita a compiere il proprio sporco e dissacrante lavoro nel mettere alla berlina tanto i protagonisti di ieri - che fine avrà mai fatto lo sfortunato Nordberg di O.J. Simpson? Chissà... - quanto le pubbliche maschere e le condivise ossessioni che oggidì troviamo quotidianamente intorno a noi. 

 

Il tutto ben compresso e compattato in appena 85 incalzanti e finalmente proporzionati minuti, che paiono una manna dal cielo in un'epoca in cui per ridere, piangere o anche solo rabbrividire tra le poltrone di un cinema o sul più casalingo dei divani occorre prendere quantomeno una giornata piena di permesso dal lavoro. 

 

Gli anni '80 sono finiti, è vero.

Se è per questo anche i '90 e primi 2000 e allora, lunga vita agli anni '80, '90 e inzio 2000!

 

Laddove essi riescono ovviamente a (ri)vivere nelle loro migliori e più genuine qualità senza quell'imparruccato tradizionalismo che tanti, troppi titoli contemporanei mostrano di voler così accanitamente inseguire solamente per accaparrarsi uno zoccolo duro di inguaribili nostalgici.

 

 

[Un buon caffé non si (rin)nega a nessuno in Una pallottola spuntata]

 


Giunti a questo punto, dopo aver soppesato i molti pro e i pochi ma innegabili contro di un'operazione sulla carta così folle da poter idealmente far parte a pieno titolo del surreale universo slapstick da essa concepito e messo in scena, la vera e unica domanda è: come fa Una pallottola spuntata a funzionare più che egregiamente in un 2025 nel quale "ridere per ridere" (per citare John Landis) è ormai divenuto un lusso più che una reale possibilità?

 

In tutta onestà, cari amici vicini e lontani, non saprei davvero cosa rispondervi.  

Ci hanno provato e, al netto di uno spirito tanto dissacrante quanto inevitabilmente un po' fuori tempo massimo nonché a tratti forse over the top, in gran parte paiono essere riusciti a sfangarla: dal principio fino a ben oltre i dadaisti titoli di coda. 

 

Malgrado le torve aspettattive, le più che spontanee perplessità iniziali e congiunzioni astrali tutt'altro che favorevoli, Una pallottola spuntata semplicemente funziona e basta.

Nulla di eclatante o per cui valga la pena stracciarsi veste, calzoni e biancheria intima, sia chiaro; ma comunque la piena dimostrazione di come far ridere di testa oltre che di sola pancia - a maggior ragione se ben al di sotto della magica soglia delle due ore - sia oggi ancora possibile. 

Anche e soprattutto quando la pancia non è più villosa o tonica come una volta, ma egualmente pronta a sobbalzare al ritmo di Only Time di Enya o di una bella sonora stilettata al criminale modus operandi di un rovinosamente decaduto Bill Cosby.

 

Se non è divertente questo, allora cari miei non saprei proprio cosa potrebbe esserlo.

___

 

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