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Squid Game 3 - Recensione: vieni a giocare con noi?

Dopo aver fatto incetta di candidature ai Golden Globe, Emmy, SAG Awards e Critics' Choice Awards nel 2022 con la prima stagione ed essere tornata in streaming con la seconda stagione nel 2024, Squid Game ritorna per la terza volta con il capitolo conclusivo, più feroce e doloroso che mai

Squid Game è la serie TV sudcoreana per eccellenza, partita in sordina nella sua lavorazione ma definitivamente esplosa quando la prima stagione ha raggiunto pian piano diversi paesi di distribuzione sulla piattaforma Netflix.

 

Basti ricordare che la prima distribuzione italiana del settembre 2021 non comprendeva nemmeno il doppiaggio, aggiunto in seguito nel novembre dello stesso anno. 

Scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, Squid Game nacque nella mente del suo creatore come stagione unica, ma il successo planetario ha spinto per riprendere il racconto con Squid Game 2 e terminarlo con Squid Game 3. 

A differenza della prima stagione, che esauriva una sessione di Gioco del Calamaro nella sua narrazione, Squid Game 2 si è interrotta a metà del gioco chiamando naturalmente una terza stagione, la conclusiva. 

 

Ci sono diversi elementi che fanno pensare che Netflix non rinuncerà così facilmente a sfruttare l'universo di Squid Game ed è già inusuale per la piattaforma interrompere serie di grande successo solo dopo tre stagioni, con poche eccezioni: penso a quella perla narrativa e stilistica che è la serie TV tedesca Dark

 

[Il trailer ufficiale di Squid Game 3]  

 

 

Dove eravamo rimasti?

 

Squid Game 2 vede il nostro protagonista e vincitore del gioco Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) scegliere di impiegare la cospicua vincita di 45,6 miliardi di won (circa 30 milioni di euro) per armarsi e assoldare una squadra di ricerca dei responsabili del gioco e interromperne il sadico spettacolo. 

 

La base di tutta Squid Game è infatti la ricerca continua di vittime sacrificali che per ragioni variegate di sofferenza economica si trovano costrette a scegliere di partecipare al gioco misterioso con la promessa di una vincita stratosferica in grado di risolvere tutti i loro problemi. 

Nessuno però conosce l’orrenda verità dietro alla macchina: non è soltanto un gioco al massacro a vincitore unico, ma è contemporaneamente uno spettacolo per miliardari annoiati e un business redditizio, in quanto ai caduti delle varie sessioni di gioco vengono sottratti gli organi in buono stato che vengono poi rivenduti sul mercato del traffico illegale.

 

All’inizio di Squid Game 2 Gi-hun riesce a intercettare il Reclutatore (Gong Yoo) tentando di farsi dare informazioni importanti sul gioco e sul luogo in cui avviene.

È in quell’occasione che conosce Hwang Jun-ho (Wi Ha-joon), il poliziotto che nella prima stagione era riuscito ad arrivare sull’isola per poi scoprire che il Front Man del gioco altri non era che In-ho (Lee Byung-hun), il fratello che credeva scomparso e che lo aveva prontamente neutralizzato facendolo cadere da una scogliera. 

Gi-hun e Jun-ho decidono quindi di allearsi per scovare l’isola maledetta, avvalendosi dell’aiuto di Choi Woo-seok (Jeon Seok-ho), scagnozzo della banda assoldata da Gi-hun rimasta senza capo dopo la morte di Mr. Kim (Kim Jeong-rae) per mano del Reclutatore attraverso un altro gioco, quello della roulette russa. 

 

I tentativi di Gi-hun di agire dall’esterno per fermare il gioco sono inutili e si rende presto conto che l’unico modo possibile è rientrare nell’arena come partecipante: accolto su una lussuosa limousine, viene sedato risvegliandosi poi nella ben nota camerata che ospita tutti i partecipanti: indossa la solita tuta verde che riporta il numero 456, lo stesso dell’edizione di tre anni prima che era riuscito a vincere. 

 

Scopre però che il localizzatore che si era fatto impiantare sotto un dente è stato rimosso e che quindi non ha alcun contatto con l’esterno e con la sua squadra di collaboratori gestita da Jun-ho e Woo-seok, che nel frattempo si muove per trovare l’isola.

 

 

[Gi-hun (Lee Jung-jae) è di nuovo in gioco: in Squid Game 2 ha di nuovo il numero 456]

 

Gi-hun gioca sfruttando le conoscenze pregresse, che condividerà con i suoi compagni di gioco senza però spiegare inizialmente come ne sia a conoscenza, e tenta allo stesso tempo di convincere gli altri partecipanti a terminare il gioco: una regola di nuova introduzione afferma infatti che a conclusione di ogni prova una votazione di tutti i partecipanti potrà decidere se continuare o terminare il gioco, con il montepremi fino a quel punto accumulato che verrà diviso equamente tra tutti i superstiti. 

 

Ecco che ritroviamo così la prima sfida dell’"Un, due, tre, stella" che ha reso subito famosa Squid Game: la bambola gigante dotata di sensori che elimina all’istante chiunque si muova appena la sua testa si gira a osservarli.

Gi-hun sa come funziona e avverte tutti i partecipanti su come agire.

Ci sarà comunque un massacro, per via di attacchi di panico e screzi che sin da subito polarizzano le fazioni e la votazione dopo il primo gioco si divide perfettamente a metà, con un solo partecipante a fare da ago della bilancia. 

 

Quell’individuo decisivo altri non è che In-ho, che da Front Man si è infiltrato nel gioco con il numero 001: il suo doppio gioco è ben preparato, perché nonostante voti per continuare si allea subito con Gi-hun e il piccolo gruppo di partecipanti a lui fedele, un espediente che richiama la prima stagione di Squid Game quando il numero 001 era l’anziano e apparentemente indifeso Oh Il-nam (Oh Yeong-su), che si rivelerà poi essere il creatore del gioco.

 

 

[In-ho (Lee Byung-hun) è Front Man]

 

 

Dopo la prima prova le successive cambiano rispetto all’edizione vinta da Gi-hun e lui stesso si rende conto di non poter più contare sulla propria esperienza, ma di dover di nuovo giocare attivamente cercando allo stesso tempo di scardinare l’intero sistema.

 

In-ho, in quanto infiltrato, è l’ostacolo invisibile al piano di Gi-hun. 

Dopo una seconda prova costituita da una combinazione di giochi per bambini, la seconda votazione decide con ampio margine di continuare il gioco, poiché l’avidità dei partecipanti è stuzzicata dal montepremi sempre più ricco.  

 

Anche i personaggi più “positivi” restano perennemente in dubbio tra il bisogno e la giustizia: la giocatrice 120 Cho Hyun-ju (Park Sung-hoon), ragazza trans che vorrebbe trasferirsi in Thailandia per vivere più tranquilla; la giocatrice 222 Kim Jun-hee (Jo Yu-ri), ragazza incinta che vuole tenere il bambino senza coinvolgere il padre; la giocatrice 149 Jang Geum-ja  (Kang Ae-shim), anziana madre entrata nel gioco per sanare i debiti del figlio per poi scoprire che il figlio, Park Yong-sik (Yang Dong-geun), è uno dei partecipanti col numero 007.

 

 

[Kang Ae-shim e Yang Dong-jeun sono madre e figlio in Squid Game 2 e Squid Game 3]

 

 

Dopo la terza prova chiamata "Il terzo in più" rimangono solo un centinaio di partecipanti e gli equilibri di fiducia sono cambiati.

 

La votazione successiva si spacca nuovamente, 49 per l’uscita e 50 per la continuazione: è In-ho a votare per terminare il gioco ed essendo così in parità viene programmata una nuova votazione il giorno seguente. 

Dopo una rissa notturna e un bluff giocato da parte di Gi-hun e i suoi amici ai danni delle guardie, i partecipanti riescono a impossessarsi delle armi e a iniziare la loro rivolta, con l’obiettivo di raggiungere la sala di controllo.

In-ho attua il suo tradimento e fingendosi morto davanti ai suoi compagni rimette i panni e la maschera di Front Man, davanti al quale Gi-hun si arrende.

 

Nel frattempo sulla barca che trasporta la squadra di ricerca il capitano Park (Oh Dal-su), che nella prima stagione aveva salvato Jin-ho, si rivela un traditore, ma solo agli occhi dello spettatore.

 

 

[Park Sung-hoon interpreta Hyun-ju, ragazza trans e giocatrice 120: nonostante le polemiche riguardo alla scelta di un attore cis per interpretare un personaggio trans, la performance di Park Sung-hoon in Squid Game 2 e Squid Game 3 è stata apprezzata e lodata]

 

 

Orrore color pastello

 

Squid Game 3 è la seconda parte di questa nuova edizione del gioco all’ultimo sangue e di sangue e orrori ne son piene le scene.

 

La cifra stilistica che sin dalla prima stagione ha fatto la fortuna di Squid Game è ancora una volta il contrasto tra la forma leziosa dei luoghi in cui il gioco si svolge e il contenuto barbarico e inumano dei giochi stessi. 

Tra ambientazioni infantili e bare a forma di scatola da regalo con tanto di fiocco, è difficile non provare una sensazione straniante, come quella data dalle scale escheriane dai colori accesi. 

 

Il creatore Hwang Dong-hyuk aveva già avvertito il pubblico che la seconda e la terza stagione di Squid Game sarebbero state ancora più sanguinose e crude e in effetti lo sono state: non tanto per ciò che ci viene mostrato, che rimane piuttosto in linea con la prima stagione, ma per le implicazioni etiche che si intrecciano e si complicano già nel secondo ma ulteriormente nel terzo capitolo di Squid Game.

 

 

[L'estetica straniante di Squid Game: i partecipanti vengono accompagnati attraverso scale zuccherose ma contorte]

 

 

Innanzitutto l’introduzione della nuova regola secondo la quale il gioco può essere interrotto con una votazione che comporterà la suddivisione del montepremi in parti eque tra i sopravvissuti spinge subdolamente i più avidi a continuare: meno superstiti, più soldi per ognuno. 

 

L’accento costantemente posto sui connotati della votazione, cioè l’essere “libera e democratica”, ci mostra come a volere il massacro siano indirettamente i partecipanti stessi: potrebbero finire in qualsiasi momento eppure scelgono di non farlo per avidità ed egoismo, due mostri difficili da combattere; ma è davvero una responsabilità esclusiva delle vittime nell’arena, mentre dei VIP miliardari stanno a guardarli dagli spalti? 

 

Non è altro che una metafora perfetta del lobbismo e dell’illusione del funzionamento democratico quando i rapporti di potere sono già squilibrati alla base.

Se in un ordinamento democratico non vi è parità di condizioni e di intenti tra tutti i votanti sarà molto difficile che il risultato di una votazione sia effettivamente l’espressione popolare.

La maggioranza vince ed è uno dei meccanismi delle votazioni stesse, se però un gruppo ristretto di potenti, invisibili e irraggiungibili ha come unico interesse quello di stuzzicare le più basse emozioni umane, come ad esempio l’egoismo, per mantenere lo status quo di iniquità che permette loro di conservare il proprio peso spropositato sulle decisioni comuni, ecco che la democrazia è solo un’illusione. 

 

Paradossalmente sono proprio i giocatori a fare le regole e a volerle rispettare nonostante esse siano contrarie alla loro stessa sopravvivenza.

 

Uno dei giochi di Squid Game 3 è il nascondino, forse il più internazionale dei giochi per bambini: un gioco dove ci sono due fazioni, ma che prevede comunque una collaborazione funzionale a salvarsi, specialmente se dopo il game over non c’è la possibilità di un restart.

 

 

[Squid Game 3: la selezione per formare le squadre per il gioco del nascondino]

 

 

Vengono infatti create due squadre, i cercatori e le prede: i primi hanno il compito di scovare almeno una preda e ucciderla per poter passare al gioco successivo e vengono dotati di pettorina rossa e di un pugnale; i secondi, dotati di pettorina blu e di una chiave, devono nascondersi il meglio possibile in una specie di labirinto a più piani dotato di tante porte e stanzette, in cui si celano alcune porte speciali che conducono all’uscita e alla salvezza. 

 

Queste porte speciali si aprono solo con la combinazione di tutte e tre i tipi di chiave distribuiti a caso, che riportano le forme del triangolo, del cerchio e del quadrato, le ormai famose forme del Gioco del Calamaro. 

Le giocatrici 120, 149 e 222, selezionate come prede, decidono di allearsi perché, oltre a essere quelle che potremmo definire “brave persone”, sono la rappresentazione simbolica delle categorie più discriminate dalla società: Hyun-ju è una donna trans che dopo il coming out è stata emarginata praticamente da tutti (e la situazione dei diritti LGBTQIA+ in Corea del Sud non è delle migliori), Geum-ja è anziana e disposta a tutto per salvare suo figlio e Jun-hee è incinta.

 

Questo particolare è il punto focale della seconda parte di Squid Game 3.

 

 

[Squid Game 3: Chae Kook-hee interpreta Seon-nyeo, la giocatrice 044 autoproclamatasi sciamana e veggente, che raccoglierà attorno a sé un gruppetto di fanatici]

 

 

Vieni a giocare con noi?

 

I bambini giocano spesso "alla guerra": molti giochi sono spesso metafore di una battaglia che però si svolge in una dimensione altra, simbolica, esaurendosi nel tempo del gioco e con la sopravvivenza di tutti i partecipanti.

 

Quindi il gioco è una guerra; cosa succede però quando la guerra è un gioco? 

Non serve nemmeno fare riferimenti ai tempi attuali e ai conflitti in corso per percepire quanto oggi la guerra sia effettivamente un gioco e come tale condotto, grazie anche all’affinamento della tecnologia, che è una dei protagonisti anche di Squid Game.

Tutto è computerizzato, tracciato e osservato e lo è per il diletto di individui che hanno troppo e non sanno più come placare la propria sete di adrenalina. 

 

Il fatto che la guerra contemporanea possa essere condotta tramite strumenti ultratecnologici pilotati da un operatore a migliaia di chilometri di distanza la rende sempre più simile a un videogioco o a uno Squid Game.

Intere popolazioni possono essere massacrate schiacciando un semplice bottone e questa distanza, questo mancato coinvolgimento concreto rendono più facile deresponsabilizzarsi anche nei confronti delle nuove generazioni.

 

La giocatrice 222, Jun-hee, è incinta e partorisce una bambina nel bel mezzo del gioco del nascondino: quella bambina diventa così il perno di tutte le azioni successive non solo di Jun-hee ma degli altri partecipanti superstiti, a partire da Gi-hun, che se ne farà subito protettore, fino a Lee Myung-gi (Im Si-wan), giocatore 333 ed ex-youtuber fallito che scopre di essere il padre della bambina.

 

Squid Game 3 mette subito in chiaro che non c’è alcuna pietà nemmeno per i neonati, che uno vale uno e che alla scomparsa di Jun-hee sua figlia entrerà nel gioco come partecipante, prendendo il suo posto e il suo numero 222.

 

 

[Squid Game 3: Geum-ja (Kang Ae-shim) e Jun-hee (Jo Yu-ri) sopravvivono al gioco del nascondino, durante il quale Jun-hee ha partorito una bambina] 

 

 

Da quel momento la bambina sarà in bilico sul filo del destino di Astianatte, figlio neonato di Ettore e Andromaca scagliato dalle mura di Troia in fiamme come ultimo atto di una guerra che aveva come scopo il cancellare ogni futuro della città.

 

La figlia di Jun-hee rappresenta il futuro e i giocatori tentano costantemente di eliminarla: le guerre tengono il futuro sotto scacco perché minano innanzitutto le generazioni più giovani, che potrebbero attuare una ricostruzione che gli avversari non vogliono.

 

Alla piccola 222 viene dato pieno potere di giudizio, anche nelle votazioni consuete alla fine di ogni prova, ma lei non può realmente prendere una decisione, come tutti i bambini in zone di guerra: subiscono le stesse atrocità degli adulti senza avere la possibilità di scelta.

 

 

[Squid Game 3: Jin-ho (Wi Ha-joon) approda sull'isola per tentare di trovare il fratello In-ho e Gi-hun e fermare il gioco]

 

 

Oggi a me, domani a te

 

Come sulle pareti di una tomba cristiana, il memento mori di “Hodie mihi, crab tibi” orna i muri del dormitorio dei giocatori di Squid Game.

 

È un’espressione di consapevolezza, di riconoscimento della fallibilità umana, ma se detta con tono derisorio e infantile è una frase di sfida, di rivalsa sarcastica a una vittoria che oggi è toccata all’altro ma che domani potrebbe toccare a noi. 

 

I giocatori di Squid Game sono sin dall’inizio dentro una tomba e non lo comprendono, l’unica cosa che osservano è il grande salvadanaio a forma di porcellino che si riempie a ogni eliminazione di un giocatore: l’orrore di “più morti, più soldi” sembra non interessare a nessuno.

 

 

[Gi-hun protegge la piccola 222 fino alla fine di Squid Game 3]

 

 

Le votazioni si susseguono e la fazione a sostegno della continuazione è sempre più nutrita. 

 

Ormai si ragiona a voce alta su chi convenga eliminare per primo e Gi-hun e la figlia di Jun-hee sono sempre in cima alla lista. 

L’illusione del processo democratico e del decidere il proprio destino è sempre più evidente, ma si sceglie di tentare la fortuna più che affidarsi a una decisione razionale.

Oggi a me, domani a te.

 

Quest’illusione è ben rappresentata anche dal personaggio della guardia 11 o Kang No-eul (Park Gyu-young): esule dalla Corea del Nord, ha perso il marito e la figlia e avendo una formazione militare per bisogno è finita a lavorare come soldato sull’isola dello Squid Game. 

La sua etica è però combattuta tra il lavoro che deve svolgere e la voglia di salvare il giocatore 246, Park Gyeong-seok (Lee Jin-wook), artista che lavorava nello stesso parco divertimenti dove lei aveva lavorato e in grosse difficoltà economiche per via della leucemia della figlioletta. 

In quella bambina No-eul rivede la figlia che ha perso e farà di tutto per salvare Gyeong-seok e riportarlo a casa.

 

Nonostante No-eul sia fuggita da una dittatura reale, quella della Corea del Nord, si è ritrovata in un’altra dittatura, quella della Corea del Sud ma in generale di tutto il mondo capitalista: una dittatura dello spettacolo e delle disuguaglianze sociali che, nell’illusione di una vita migliore, non le permettono comunque di vivere dignitosamente.

 

 

[Squid Game 3: Park Gyu-young è Kang No-eul, il soldato 11 ed esule dalla Corea del Nord]

 

 

Game Over (?)

 

Squid Game 3 è il capitolo finale, ma è davvero così? 

 

È molto probabile che Squid Game 3 sarà la conclusione della storia coreana, che ha ripetuto e dato tutto nella narrazione dilatata tra seconda e terza stagione.

È questo a mio avviso il punto più debole sia di Squid Game 2 sia di Squid Game 3: una narrazione più serrata e qualche puntata in più nel secondo capitolo non avrebbero reso necessario il terzo, ma forse la divisione in due ha una motivazione di marketing ben precisa. 

 

La scena finale di Squid Game 3, ambientata a Los Angeles e con un cameo speciale, sembra voler dare il via a un nuovo gioco, a una nuova edizione che sembra preludere al trasferimento in terra statunitense dell’impostazione e delle dinamiche di Squid Game. Potrebbe funzionare? 

 

Squid Game è una storia ben radicata nella società sudcoreana, dai giochi che vengono proposti alla critica sociale che, seppur applicabile a diverse parti del mondo, è chiaramente rivolta al paese in cui si svolge.

Pensate a Parasite e immaginatelo ambientato in un altro paese: non sarebbe affatto lo stesso film che il sondaggio del New York Times tra 500 critici del mondo ha appena visto in prima posizione tra i migliori 100 film del XXI secolo

 

Che Squid Game si appresti dunque a diventare un franchise internazionale nonostante questa forte identità? Una produzione statunitense, con ambientazioni e protagonisti statunitensi, potrebbe avere lo stesso livello di credibilità e riuscita? 

Considerata la quantità di storie battle royale distopico-apocalittiche già presenti nel Cinema e nella serialità targata USA, i precedenti potrebbero far propendere per una risposta affermativa, ma lo scetticismo sempre presente in occasione di remake o reboot statunitensi di prodotti stranieri fa storcere il naso. 

Dietro alla produzione di Squid Game USA ci sarà la scrittura e la regia di David Fincher, il che è un punto a favore, solo il tempo ci darà la soluzione.

 

Oggi a me, domani a te. 

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