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Tutto l'amore che serve è il film di esordio della regista Anne-Sophie Bailly.
Mona (Laure Calamy) è una madre sola che vive in simbiosi con il figlio Joël (Charles Peccia-Galletto), disabile cognitivo.
La notizia inaspettata e spiazzante che Joël aspetta un bambino da Océane (Julie Froger), una ragazza del centro specializzato dove lavora con cui ha intrecciato una relazione, lascia Mona atterrita e spaventata.
La prospettiva di nuove responsabilità per sé e soprattutto per Joël incrina tutti gli equilibri tra madre e figlio.
[Il trailer italiano di Tutto l'amore che serve]
Tutto l’amore che serve è quello necessario a una madre single per accettare la disabilità del proprio figlio e portarne quotidianamente la responsabilità sulle spalle, ma è anche e prima di tutto l’amore e la forza necessari per crescere un figlio, per accudirlo, per educarlo e per sostenerlo nelle difficoltà come nella quotidianità, tonico o ipotonico che sia.
A questa donna che ha sacrificato tanto della propria libertà e delle proprie aspirazioni per accudire suo figlio, la regista apre la prospettiva di una separazione che coincide drammaticamente anche con la perdita della madre, da tempo malata.
L’emancipazione di Joël, che rivendica il diritto di scegliere da adulto, la prospettiva di dire addio alla propria madre, l’ultima che si è occupata davvero di lei, spalancano per Mona un orizzonte di libertà e un pizzico di solitudine mai visti prima, lasciandosi andare a gesti liberatori e felicemente avventati.
[Un frame di Tutto l'amore che serve]
Tutto l’amore che serve riflette con sguardo attento e mai paternalistico sul significato dell’emancipazione dal nucleo famigliare e sui tabù e pregiudizi che circondano la disabilità guardando sia alle difficoltà dei genitori, sia alla percezione iperprotettiva di chi la considera alla stregua di un’infermità invalidante, capace addirittura di inibire la sessualità e la crescita personale.
Il registro empatico e delicato consente di entrare nell’intimo dei personaggi e permette di sorvolare su alcuni passaggi un po’ troppo didascalici e prevedibili, come la visita al padre di Joël e il rifiuto della sua diversità.
Bailly evita facili sviolinate retoriche usando uno stile asciutto, inquadrature strette sui protagonisti e quasi nessun accompagnamento musicale, affidando il pendolo dell’emotività alla tempra indomita e alla profondità espressiva di Laure Calamy.
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