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100 litri di birra - Recensione: il lato grottesco della dipendenza

Dopo il successo de La morte è un problema dei vivi, 100 litri di birra è il nuovo irriverente film di Teemu Nikki

Presentato prima alla Festa del Cinema di Roma e poi al Biografilm Festival 100 litri di birra è l’esempio di un Cinema finlandese che si sta diffondendo e sta conquistando il resto dell’Europa. 

 

La storia segue le vicende di due sorelle che vivono in un piccolo paesino finlandese.

A Sysmä c’è poco da fare, le persone sono sempre le stesse e la maggior parte degli abitanti si rifugia nell’alcol: Taina (Pirjo Lonka) e Pirkko (Elina Knihtila), sotto insegnamento del padre, hanno imparato a produrre la tradizionale birra sahti, che commerciano nel paese.

 

Armandosi di coraggio, parolacce e un forte carattere cercano di farsi rispettare da clienti che non ne vogliono sapere di saldare i loro debiti con loro.

 

 

[Il trailer italiano di 100 litri di birra]

 

 

In questo senso il fatto che le due protagoniste siano donne arricchisce 100 litri di birra di un altro ulteriore tema: Taina e Pirkko hanno imparato farsi sentire e rispettare in una comunità che, apparentemente, sembra per lo più comandata da uomini e il ribaltamento della virilità tossica, profondamente comico, che vediamo in alcuni personaggi maschili avvalora ancora di più questa tendenza. 

 

Il tema principale della produzione e del commercio della birra si interseca con un altro filone della storia che torna a più riprese: un incidente il cui ricordo accompagna le due sorelle da anni, un vero e proprio trauma che fa capolino nella narrazione e la arricchisce di una nota emotiva. 

Taina e Pirkko, interpretate magistralmente dalle due attrici protagoniste che si conoscono da anni, rappresentano la tempra ma al tempo stesso il degrado della cittadina: sono diverse e sfaccettate, spesso in conflitto tra di loro ed estremamente realistiche, seppur grottesche.

Non riescono a resistere all’alcol, ne sono soggiogate. Fuggono bevendo e, nonostante la vena ironica che accompagna tutto il film, appare lampante come la volontà del regista sia anche quella di trasferire allo spettatore il disagio e la profonda solitudine interiore che scuote gli abitanti della città.  

 

Il tema della dipendenza arriva piano ed è per la maggior parte filtrato da risate, battute, gag ma è lì, percepibile e dirompente: passa attraverso i personaggi e li trasforma. 

 

 

[Una scena di 100 litri di birra]

 

 

100 litri di birra però non è solamente un film sulla dipendenza spietata, è anche un film sulla famiglia e sul senso di comunità che vacilla.

 

In tal senso sono ben tracciati i rapporti che interessano i protagonisti: Taina e Pirkko cercano in tutti i modi di impressionare loro padre, provano a farsi perdonare dalla loro terza sorella e tutto questo mentre sono continuamente tentate dell’alcol.

Il padre non è mai soddisfatto della sahti che producono, la sorella chiede loro “una prova”, una dimostrazione del loro affetto e Taina e Pirkko restano a galla mentre provano a non affogare. 

 

Il film si regge su equilibri scivolosi, ed è proprio questa una delle sue caratteristiche più interessanti: 100 litri di birra tende all’eccesso, ma la maggior parte delle volte lo fa con la dovuta “eleganza”.

Nonostante il grottesco faccia da padrone in questa storia, non c’è mai ostentazione vera e propria, non c’è mai esagerazione che strida. 

Teemu Nikki si rivela ancora una volta estremamente abile a costruire le sue storie bilanciandole, scegliendo quando e come strafare, sapientemente.

Si ride, si riflette, si rimane sospesi, mentre Taina e Pirkko provano a condurre la loro vita in una comunità isolata che non lascia spazio per molto altro se non affogare i propri dolori e non pensare. Nonostante la dipendenza dall'alcol sembri separarle e unirle allo stesso tempo, il rapporto tra le due sorelle si delinea come il vero perno di 100 litri di birra.

 

La via di fuga, ma anche l'unica vera strada per conoscere se stesse.

___

 

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