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Critical Zone è stato girato in maniera clandestina e messo in piedi in segreto: il regista si è servito di persone di sua conoscenza per comporre il cast e ha utilizzato, in molte delle sequenze, delle videocamere nascoste.
Tutto questo per poter raccontare una storia, la sua storia, la storia di cui oggi l’Iran ha bisogno forse per comprendere, forse per rinascere.
Il film di Ali Ahmadzadeh vincitore del Pardo D'oro al 76° Festival di Locarno rappresenta un miracolo già solo perché è riuscito ad arrivare a compimento, perché c’è la possibilità che qualcuno possa vederlo.
Il regista conosce bene Teheran e lo dimostra.
Con Critical Zone porta sullo schermo una città sfumata ma, allo stesso tempo, estremamente percepibile: incontri fugaci, oppressione, paura ma anche voglia di libertà e riscatto si intersecano nell’unica notte in cui si dipana la storia.
[Il trailer di Critical Zone]
Amir (Amir Pousti) è un trafficante di droga che dà un briciolo di consolazione alle anime abbandonate che popolano Teheran.
Si muove tra giovani che cercano conforto, prostitute, hostess con uno sguardo perso, come se la strada del sollievo non fosse stata ancora in grado di imboccarla neanche lui.
Il protagonista si fa guidare durante la sua avventura notturna da un GPS dalla voce femminile, che lo invita a spostarsi a destra, sinistra, che ne segue le mosse.
Nel contesto in cui Critical Zone è ambientato queste indicazioni, che abitano gran parte del film, rappresentano una voce dall’alto, un Grande Fratello che osserva e comanda, metafora di un percorso già scritto, di una strada definita che c’è l’obbligo di seguire.
Amir è imperscrutabile; vive in una rassegnata solitudine insieme al suo cane, sembra non farsi pienamente toccare da ciò che lo circonda, anche se, allo stesso tempo, ha appiccicato addosso l’odore di un incancellabile vissuto.
Il taciturno profeta, però, spesso porta con sé anche dei risvolti ironici, dei caratteri grotteschi che collidono tra loro, ma sono necessari per rendere alla perfezione la sua complessa identità.
Rassegnato ma resistente, solo ma circondato da persone da aiutare.
Perso, ma vivo.
Il regime opprimente si avverte anche se non si vede e questa, probabilmente, è la chiave più astuta e sferzante per far arrivare il messaggio.
L’angustia di questo luogo la percepiamo nella necessità che il regista ha avuto di camuffare la videocamera nelle scene girate in aeroporto, la avvertiamo nella resa di strade deserte in cui sembra non esserci nessuno se non un terrificante sguardo costantemente puntato sul protagonista.
Seppur non sia il cardine di Critical Zone, è chiaro che il regista voglia farci arrivare un senso di emancipazione femminile: le donne che vediamo sono misteriosamente interessanti ed estremamente scomode, personaggi perfetti in un film che si staglia come una provocazione continua. Si lasciano andare a inebrianti eccessi e provocano piacere in maniera palpabile, incontrollabile.
Un grido di rinascita così vivo da spezzare per un attimo l’aridità di una città che crolla.
[Un frame di Critical Zone]
Critical Zone è un film che urla lotta e resistenza e lo fa in un periodo in cui l’Iran ne ha terribilmente bisogno.
Il regista ha più volte sottolineato di volersi rivolgere con questa sua opera principalmente alle giovani generazioni, a coloro che hanno ancora la possibilità e la forza di cambiare le cose: anche se la sovversiva chiamata alla rivoluzione non dovesse essere ascoltata, Critical Zone ha tentato di smuovere politicamente qualcosa, con un’urgenza di cambiamento che trabocca prepotentemente.
Il film di Ali Ahmadzadeh non ha paura di niente, proprio come il suo regista.
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