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L'esorcismo di Emma Schmidt è un film diretto da David Midell con protagonisti Al Pacino, Dan Stevens e Ashley Greene, distribuito da Midnight Factory.
“Chi, sano di mente, potrà mai negare che il XX secolo sia stato interamente mio?”.
Con queste ormai iconiche parole, pronunciate nel corso della celeberrima scena matrigna di un grande cult di fine anni '90 come L’avvocato del diavolo, un allora mefistofelico Al Pacino in stato di filmica grazia si consegnava ancora una volta – e forse per sempre – alle glorie della Settima Arte con la più istrionica e diabolica delle sue interpretazioni.
[Il trailer internazionale de L'esorcismo di Emma Schmidt]
Tuttavia, a quasi tre decenni da questo satanico exploit in odor di legittima autocelebrazione, l’ormai ben stagionato ma sempre vispo John Milton, dismessi corna, forcone e piedi caprini, pare aver deciso a sorpresa di passare al lato opposto della Forza.
Ovvero a quello più prettamente esorcistico che già il compagno di Premio Oscar e abito talare Anthony Hopkins, sperduto tra una declamazione shakespeariana e l’altra, aveva sorprendentemente scelto di varcare con la curiosa sacerdotale prova de Il Rito di Michael Hafstrom.
Prima ancora di disquisire sul perché e il percome una bestia da Actors Studio come Mr. Pacino abbia anche solo ponderato l’idea di prendere parte a un progetto come L’esorcismo di Emma Schmidt – posto che, esigenze alimentari a parte, per quanto mi riguarda il vero attore si saggia anche e soprattutto dalla duttilità e apertura mentale nella cernita di ruoli spesso lontani dalla propria abituale comfort zone – va detto che il possession movie filmato da David Midell vuole proprio raccontarci una storiella che, volenti o nolenti, chi più e chi meno un po’ tutti alla fine già ben conosciamo.
Non solo perché di esorcismi è pieno zeppo il Cinema e, alla fin della fiera, i ”Vade retro Satana!” finiscono inevitabilmente per somigliarsi un po’ tutti, quanto piuttosto perché, se siete un minimo appassionati di brividi a tutto tondo e spesso a buon mercato, allora forse ricorderete di sfuggita quanto il men che modesto Esorcismo di Anna Ecklund di quasi un decennio fa ci avesse già preparati a quel che mai avremmo pensato di (ri)vedere in un 2025 ormai inoltrato.
[Al Pacino in perenne lotta col demonio ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Per tutti coloro che tuttavia si fossero approcciati a L’esorcismo di Emma Schmidt completamente vergini riguardo al supposto reale calvario di possessione vissuto dalla summenzionata Ossessa dell’Iowa dal 1912 al 1928 – culminato, a rigor di cronaca, addirittura con ben quattro mesi di liturgici Expelliarmus! al grido di “Il potere di Cristo ti espelle!” – sappiate che il narrativo succo del discorso è, in fondo in fondo, tutto qui.
Che siano perciò di Dio, del Papa, di Anna Ecklund, di Anna Grace o, per l'appunto, della già più volte scomodata Emma Schmidt è cosa arcinota il fatto che gli esorcismi intasino ormai i grandi e piccoli schermi, se non dalla cinematografica notte dei tempi quantomeno da quel fatidico e glorioso giorno in cui quel geniaccio di William Friedkin riuscì a rendere filmica giustizia all'orrorrifica rivoluzione messa in atto dalle raggelanti pagine di William Peter Blatty sul principio degli indiavolati anni '70; dando vita a un prototipo che avrebbe in sé già costituito l'Alfa e l'Omega di tutte le future audiovisive manifestazioni del cornuto Signore degli Inferi.
Un attimo però: Anna Ecklund o Emma Schmidt?
Questo è l'amletico dilemma o, se preferite, la mera questione di punti di vista nonché di puro e semplice pseudonimo che stavolta tiene banco.
Anche se, parlando di titoli, non sfuggirà certo ai più il fatto che un'originale nomenclatura come The Ritual miri forse a evocare ben più che qualche semplice e improprio parallelismo con quel ben più gettonato gioiellino folk-orroristico diretto quasi un decennio fa dal talentuoso David Bruckner.
[Abigail Cowen non se la passa certo bene ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Bando alle ciance e ciancio alle bande comunque; mettiamoci comodi e prepariamoci a partire più che mai in medii daemones con la dolente, psicoanalitica e tragicamente umana odissea a cavallo tra fede e ragione che costituisce il torbido terreno di coltura nel quale prende corpo e sangue (di Cristo) L'esorcismo di Emma Schmidt.
Ci troviamo infatti nel profondo Midwest degli Stati Uniti di fine anni '20, nel quale più che bigottismo e superstizione pare piuttosto che lo zio Freud e babbo Jung aleggino in ogni dove e su ogni cosa tramite il loro nutrito bagaglio di anali fissazioni, irrisolte querelles genitoriali e torbidi archetipi collettivi.
Se dunque ci saremmo aspettati un ennesimo abusato mantra del tipo "Esci da questo corpo!", stavolta tutto sembrerebbe ruotare, almeno inizialmente, attorno a un diktat decisamente più empirico sulla falsa riga di "Vattene dal mio inconscio!".
Una tensione tra fede e ragione, tra sacro e profano, tranumano e sovra-umano che costituirà fin dalle primissime battute l'unica vera chiave di lettura – al di là della propria teologica predisposizione a sottoscrivere opportuni "Crederò" – attraverso cui approcciarsi alla summenzionata Emma Schmidt e al suo tanto decantato esorcismo.
Le cui violente, angoscianti e, alla lunga, pure un tantinello stereotipate fasi, tramite il loro compassato ma implacabile ritmo, scandiscono in maniera dichiaratamente capitolare questo atto di autentica – o presunta – cinematografica fede lungo, strano ma vero, nemmeno 100 minuti.
[Al Pacino e Dan Stevens mentore e allievo sui generis ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Tornando a noi o, meglio, alla nostra posseduta protagonista (incarnata per non dire scarnificata da un'ottima Abigail Cowen), eccola condotta, con già parecchia sofferenza nel corpo, altrettanti traumi nella psiche e un ostico diavolo per capello, in quel della sperduta parrocchia di St. Joseph.
Il tormentato Padre Steiger (Dan Stevens, chiamato a sostituire quella ruspante prima scelta di Ben Foster) è reduce da un terribile lutto familiare con conseguente inevitabile crisi di fede e riceverà direttamente dal vescovo Edwards in persona (Patrick Fabian) il compito di accoglierla, vegliarla e, cosa più importante, minuziosamente documentare il nefasto destino che ancora l'aspetta.
Cosa mai potrà aspettare al varco la Prima Indemoniata Donna di un film come L'esorcismo di Emma Schmidt?
Soprattutto alla luce del fatto che ad accompagnarla vi sarà nientemeno che l'anziano ma assai stoico Padre Theophilus Reisinger (Al Pacino): religioso di rinomata fama ma dal passato parecchio burrascoso – al pari del celeberrimo Padre Merrin di blattyana memoria – che da ormai diverso tempo si trova in missione per conto di Dio nell'estenuante lotta per scacciare il sardonico Principe degli Inferi dalla martoriata anima della povera e disfatta giovinetta.
Non vi è alcun dubbio che il rapporto tra il nostro navigato dispensatore di acqua santa e il suo nuovo (mis)credente pupillo non potrà che essere inzialmente assai burrascoso per non dire sui generis; malgrado le tentazioni – anche e soprattutto erotiche – messe in campo dal fetido demonietto sotto sfratto per fiaccare i loro liturgici sforzi costituiranno col tempo la vera "prova" regina necessaria a entrambi per affrontare di petto i propri irrisolti demoni – siano essi il dolore per un caro prematuramente estinto piuttosto che una sacra promessa non ancora mantenuta – facendo così fronte comune nella lotta contro le incarnate forze del Caos.
A completare questa tutt'altro che inusuale Possession Squad vi sarà infine anche l'intrepida Sorella Rose (Ashley Greene), anch'essa con il proprio personalissimo bagaglio di demoni, dubbi e insicurezze che tuttavia la porteranno non solo a rafforzare il ruolo del doppio cromosoma X anche e soprattutto al di sotto dell'abito talare, quanto piuttosto a dismettere per prima il velo dello scetticismo per abbracciare appieno quella corroborante professione di fede più che mai necessaria a dar credito all'estenuante lotta tra Bene e Male sullo sfondo di una così sfacciata – e spacciata – "storia vera".
[Ashley Greene è ben più di una tonacale quota rosa ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Che sia dunque tutto autentico oppure una grande ennesima manifestazione di quanto possa risultare pericoloso e fuorviante l'impasto tra religiosità malsana, turbe mentali e inconscio spezzato poco importa.
Nonostante la volontà di David Midell sia evidentemente quella di dar tutto per assodato e incontrovertibile facendo leva sulla ricca – e almeno dal punto di vista ecclesiastico inattaccabile – documentazione in nostro possesso, L'esorcismo di Emma Schmidt è, tanto in primis quanto in finis, un puro e semplice atto di fede.
Fede nella bontà di un Al Pacino straordinariamente convincente nel dar corpo e tormentata anima a un manualistico alfiere di Dio impegnato a reiterare gesti, formule ed espressioni di cui la nostra cinefila memoria è ormai più che satura tra le afose quattro mura di un soffocante microcosmo domestico che, così come la perfetta allegoria di un delirante viaggio – esteriore quanto interiore – negli inferi non potrà che trovare naturale climax in quell'umido e terrificante sotterraneo nel quale anche un neogotico genietto come James Wan aveva sapientemente scelto di far culminare l'altrettanto – presunto – demoniaco kammerspiel de L'evocazione - The Conjuring.
Fede inoltre nella scelta alquanto insolita da parte di Midell e del direttore della fotografia Adam Biddle di volere per una volta uscire dai soliti indiavolati schemi conferendo a L'esorcismo di Emma Schmidt una confezione dichiaratamente pseudo-documentaria e un ritmo ben più contemplativo di quanto il genere stesso e la sceneggiatura di Enrico Natale non facessero originariamente presagire.
[Il Diavolo ti scruta nel profondo ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Attraverso un uso insistito della macchina a mano – impiegata per stringere sui volti segnati, le ferite ancora sanguinanti di un make up davvero niente male e gli occhi intrisi più di desolazione che di terrore dei suoi personaggi; il cineasta alla sua opera terza riesce infatti a intessere un mood assai dismesso in odor di Cinema indipendente che, in curioso concerto con un già citato lento e cadenzato incedere, conferisce all'intera opera una forma decisamente in controtendenza rispetto alla straripante marea di titoli che da ormai quasi mezzo secolo ingolfano un tale costipato filone.
Uno stile che, in maniera tutt'altro che subliminale ma anzi provocatoriamente consapevole, dimostra di voler replicare quelle gelide e ruvidissime vibes post Dogma 95 già opzionate a suo tempo da Hans-Christian Schmid per il suo Requiem, al momento di dar forma all'altrettanto tragico calvario di quella povera Anneliese Michel che grazie – o meglio a causa – di Scott Derrickson avremmo in seguito meglio (dis)conosciuto nei ben più convenzionali orroristici panni di Emily Rose.
Fede, infine, nel credere che ancor oggi l'ormai abusato – più che rodato – campionario di disarticolazioni corporali, ingiurie poliglotte, deiezioni biologicamente azzardate e strepiti in scempio all'Altissimo possano ancora trovar posto nonché equilibio all'interno di un film come L'esorcismo di Emma Schmidt nel quale, più che sul facile spavento a buon mercato o sui risaputi Comandamenti custoditi nel manuale del buon indemoniato, pare si voglia in verità far leva sulla teoria piuttosto che sulla pratica dell'orrore.
Se tuttavia la prima risulta discretamente approfondita e tematizzata, insistendo – forse troppo – a lungo sulla natura potenzialmente psicologica e traumatica del proverbiale Diavolo in Copro alla nostra disgraziata Prescelta, la seconda si dimostra alquanto più indecisa se tirare un colpo al cerchio del minimalismo piuttosto che alla botte delle solite soluzioni pronte all'uso e consumo.
Facili nonché pigre scappatoie da recitarsi all'occorrenza come l'opportuna invocazione di ripiego sempre pronta fra le logore pagine di un ipotetico breviario del Provetto Esorcista di celluloide.
"La divorerò fino all'ultimo pezzo e voi non potrete farci niente!".
Questa la minacciosa e provocatoria ultima parola pronunciata a mo' di sberleffo dall'empio e non certo invitato satanasso che per quasi un decennio ha insistentemente occupato abusivamente lo spirito già martoriato della povera Emma.
Forse è proprio questa desolante presa di coscienza - solo in minima parte smentita da un finale decisamente catartico seppur, a conti fatti, forse un pochetto frettoloso - a dar conto di quella che è la reale natura di un film come L'esorcismo di Emma Schmidt; nel quale le intenzioni finiscono inevitabilmente per superare di gran lunga i risultati, pur consegnandoci uno degli esempi di possession movie più interessanti e, almeno in potenza, coraggiosamente rivoluzionari degli ultimi tempacci.
[Il Male vuole giocare a lungo ne L'esorcismo di Emma Schmidt]
Si dice infatti che il Diavolo, oltre a fare le pentole e non certo i coperchi, spesso e volentieri si celi proprio nei dettagli.
Quegli stessi solleticanti sottesi che si muovono sornioni tra le righe e i fotogrammi de L'esorcismo di Emma Schmidt ricordandoci che tutti noi, in fondo in fondo, dobbiamo spesso convivere con quelle inquietanti e malevoli vocette che ci scavano in profondità nella parte più oscura del nostro disgraziato animo.
Quale che sia poi la vera natura di questi subliminali memento credo sia proprio l'unico vero Mistero della Fede con il quale avremo a che fare.
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