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Empire of Light - Recensione: i fuochi d'artificio non partono senza una scintilla - Torino Film Festival 2022

Il nuovo film di Sam Mendes è una bellissima confezione con grandissimi attori che però non riesce a trovare la giusta alchimia, in anteprima al 40° Torino Film Festival

Sam Mendes è uno dei nomi di riferimento del grande Cinema drammatico ad altissimo budget che ogni anno riempie i red carpet e popola le stagioni dei premi, uno di quegli alfieri di un mondo rétro fatto di grandi star e storie indimenticabili: non fa eccezione il suo ultimo film Empire of Light, presentato in anteprima al 40° Torino Film Festival.   

 

Il regista britannico, nato artisticamente nel teatro di alto bordo, ha lavorato sin dal suo primo film con i grandi interpreti della scena hollywoodiana ed europea, tolta la breve parentesi più indipendente di American Life: da Kevin Spacey in American Beauty alla coppia Leonardo DiCaprio Kate Winslet in Revolutionary Road, dalla collezione di stelle di Era mio padre alla passerella di cattivi e collaboratori di James Bond in Skyfall e Spectre.  

 

Anche 1917, il suo penultimo film incentrato su un volto meno da copertina come quello di George McKay, era infarcito di stelle del Cinema e del teatro inglese come Mark Strong, Benedict Cumberbatch, Colin Firth, Richard Madden e Andrew Scott e, che lo si apprezzi o meno, lasciava percepire la stessa atmosfera da grande film della stagione tanto quanto i precedenti. 

 

 

[Il trailer di Empire of Light: il film arriverà nei cinema italiani il 23 febbraio 2023]

 

 

Empire of Light è un progetto che fin da subito è sembrato in perfetta continuità con il percorso artistico del suo regista e che grazie alla sua ambientazione cinefila e casalinga - il film è ambientato in un decadente cinema di una cittadina costiera inglese nei primi anni '80 - potesse esaltare ancora di più l’essere parte dello star system e di quell’immaginario da Hollywood fabbrica dei sogni di cui Mendes fa indubbiamente parte. 

 

Un cast composto da Olivia Colman, Colin Firth, Tom Brooke e Toby Jones non è solo fatto da alcuni tra gli attori più amati, conosciuti e apprezzati del panorama inglese, ma è un vero all-star movie per la stagione dei premi, un'opera capace di restituire al pubblico quell’aura di maestosità e magia che solo la grande Hollywood Classica sapeva mostrare.

 

 

[Hilary e Norman il proiezionista, due dei volti di primissimo piano in Empire of Light]

 

Empire of Light racconta l’apparentemente noiosa vita di Hilary Small (Olivia Colman), responsabile del Cinema Empire di proprietà di Mr. Ellis (Colin Firth): un giorno arriva un nuovo dipendente, il giovane Stephen (Michael Ward), che cambierà completamente il suo approccio alla vita e che le permetterà di aprirsi e mostrare tutte le sue fragilità. 

 

Tra i due si creerà un rapporto strettissimo e in continuo mutamento lungo tutto il film, che ci permetterà di approfondire da un lato la fragilità mentale di Hilary - che sin da subito è caratterizzata dall'essere in cura con il litio -  e dall’altro le forti tensioni razziali e sociali di quel periodo storico che Stephen è obbligato a subire; tra amore, amicizia, supporto e aiuto i due si sorreggeranno per tutto il film in quello che è il vero motore di Empire of Light.

 

 

[Hilary nel primo momento di avvicinamento con Stephen in Empire of Light]

 

Anche da una così breve anticipazione è chiaro quanto Empire of Light stia trattando tematiche estremamente attuali e che l’intento sia più riferito ai giorni nostri che agli anni ‘80 in cui è ambientato: questo vale tanto per la critica al razzismo, quanto per il racconto dell’abbandono dei fragili o, in maniera sicuramente meno grave, della decadenza dell’istituzione cinematografica. 

 

Questo suggerisce già uno dei problemi che a mio avviso penalizzano il film di Sam Mendes, infatti questo tentativo di essere sia manifesto di tematiche così alte e attuali, sia racconto intimo di un rapporto, a tratti anche romantico tra due individui molto fragili, non riesce mai a trovare la giusta misura in nessuna delle due strade, finendo per essere poco convincente in entrambe.

 

 

[Il controcampo su Stephen in Empire of Light

 

 

Da un lato infatti il discorso sociale e di denuncia è spesso troppo semplificato e castrato da un contesto così moderato, narrativo, indulgente e ostentatamente retorico come quello che costruisce Empire of Light, dall’altro questa costante ricerca di fredda astrazione allontana terribilmente dall’empatia per i due protagonisti, seppur interpretati magistralmente. 

 

L’autore inglese riesce infatti a costruire un film stilisticamente bellissimo in cui si respira quell’aria vacanziera dei primi festival cinematografici e la pulizia visiva di tanto grandissimo Cinema, grazie soprattutto alla fotografia di un Roger Deakins assolutamente impeccabile, ma che non riesce a rafforzare nessuno dei due intenti, forse anche per colpa di una mancata sinergia tra la bellezza visiva e le motivazione registiche. 

 

L’essere patinato, pulito ed estremamente curato di per sé è tutt’altro che un problema per film che cercano attraverso il racconto storico l’astrazione o l’empatia come dimostrano la fotografia di Vittorio Storaro ne La ruota delle meraviglie - Wonder Wheel o Café Society di Woody Allen, o anche Yves Bélanger in Brooklyn di John Crowley. 

 

In questo caso il lavoro perfetto di Deakins sembra irrigidire ancor di più un film già di per sé troppo retorico, stucchevole e poco sentito. 

 

 

[Il topos fotografico delle luci riflesse sul vetro, come descrizione del sogno e dell'essere spettatori della vita come qui in Empire of Light, è qualcosa di estremamente abusato e che non riesce a dare una maggior connotazione psicologica a un personaggio già fin troppo chiaro e descritto a parole]

 

Un certo distacco, spesso accentuato anche dalle forme narrative, è sempre stato presente nel Cinema di Sam Mendes che forse si adatta meglio ai grandi drammi sovraccarichi rispetto alle piccole storie intime che cercano delicatezza: la ricerca di quest’ultima è infatti sempre sin troppo visibile, ridondante con i dialoghi e artefatta sia nella forma, sia nei toni.  

 

Un problema che risiede sia nella scrittura, che già semplice di partenza finisce spesso per ribadire e imboccare ciò che la fotografia già stava cercando di mostrare, sia nei simboli che spesso sono più un inutile orpello retorico che un rafforzamento del film, tra uccellini con l'ala spezzata e fuochi d'artificio, in un risultato spesso troppo chiaro e lineare.  

 

Empire of Light si muove principalmente in un multisala decadente e per metà chiuso al pubblico, che dovrebbe essere manifesto di uno snodo tematico centrale del film e a cui viene data moltissima importanza dalla regia di Mendes, ma che, tolto l'inno d'amore al Cinema estremamente telefonato in un film con questa ambientazione, non riesce a entrare attivamente nelle dinamiche del film restando una curatissima scenografia vuota.

 

 

[Risulta molto più interessante il rapporto tra colleghi, purtroppo totalmente indipendente dal luogo del lavoro, di quasi tutte le altre tematiche di Empire of Light]

 

Il tentativo di Empire of Light di essere un inno all’amore per il Cinema, in particolare nel rapporto con il personaggio del proiezionista interpretato da un ottimo Toby Jones, soffre infine delle stesse problematiche: frasi fatte, eccessi melensi e una mancanza di armonia tra i momenti narrativi del film fanno sempre percepire l’artificiosità delle soluzioni di Mendes e la mancanza di connessione tra le sue parti.

 

Non si respira né la fisicità della pellicola e della professione di un film come One Second di Zhang Yimou, né l'ingenua magia di una favola come Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore: ne risulta un semplice riportare un amore di altri, come se fosse stato rubato ai personaggi, scritto e freddamente messo sullo schermo; è emblematico come si parli pochissimo di film in un'opera che cerca anche di raccontare l'amore per la Settima Arte.

 

 

[Stephen dovrebbe essere il portatore dell'amore per il Cinema di Empire of Light nel suo rapporto con Norman, ma l'epilogo della sua vicenda sembra quasi raccontarci come questo aspetto del film di Mendes sia destinato a naufragare]

 

Empire of Light è un film che si lascia indubbiamente seguire grazie a una confezione di primissimo livello e a delle interpretazioni che difficilmente passeranno in sordina nella prossima stagione dei premi, ma che nonostante ciò risulta troppo artificioso e stucchevole per gli obbiettivi che sembra cercare di raggiungere.

 

Tanti ingredienti giusti e interessanti che però non riescono a trovare né un'alchimia né una direzione unitaria, finendo così per mancare il proprio scopo.

 

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