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Perché 20 anni dopo The Ring non ci ha ancora abbandonati

Un classico del genere horror: a vent'anni di distanza The Ring nasconde più di una ragione per il suo successo  

Il finale di The Ring ci aveva tutti messi in guardia: proprio come una linea che si rincorre chiudendosi in un cerchio, anche i discorsi attorno a questo film sono destinati a ripresentarsi regolarmente.

 

Tanto più in quest’ultima settimana di febbraio in cui ricorre l'anniversario della sua distribuzione italiana. 

Quindi, rieccoci.

 

Dovremmo sorprenderci?

 

[Il trailer ufficiale di The Ring

 

 

Con il doveroso distacco che ci concedono questi due decenni, scostandoci dal fantomatico fatalismo che circonderebbe quest'opera, si può ormai affermare non sia più prematuro ritenere il film di Gore Verbinski un classico del suo genere, che si posiziona fra il Cinema dell'orrore e il thriller.

 

La memorabilità di The Ring non risiede tanto nell'acutezza dell'intreccio - destinata a depotenziarsi fin dalla prima volta che lo si vede dipanarsi, a curiosità soddisfatta - quanto piuttosto nello splendido equilibrio fra una cura scenografica e fotografica, l'iconicità di ambientazioni ed elementi di alcune specifiche scene; oltre che nel rapporto che ha unito gli spettatori di questo avvio di secolo ai nuovi costrutti tecnologici dell'intrattenimento visivo, i quali avevano ormai una parte rilevante nella loro quotidianità, dunque con essi.

 

Il nostro rapporto con lo stesso The Ring, la sua VHS, il suo DVD, il suo file. 

 

The Ring è la storia di quattro adolescenti morti nello stesso istante a una settimana esatta dalla visione di una videocassetta la cui effettiva fatalità si rivela ben lontana dall’essere una mera leggenda metropolitana.

Rachel, una giornalista di Seattle, viene pregata dalla madre di una delle vittime di occuparsi del misterioso caso, ma per farlo non potrà che assumersi il rischio lei stessa di visionare il contenuto della VHS.  

 

La trama è arcinota, ma di più ancora lo sono gli elementi del film divenuti iconici: su tutti la fisionomia della bambina, Samara - con i suoi lunghi capelli neri fradici che le scendono sulla bianca vestaglia sgualcita - il pozzo e la radura.

 

Tale riconoscibilità - a tratti archetipica - è stata paradossalmente offerta al film anche dalla sua parodizzazione avvenuta nella pellicola dell’anno successivo Scary Movie 3 - Una risata vi seppellirà. 

 

 

[Non ansia e terrore, ma solo risate per la parodia di The Ring in Scary Movie 3]

 

 

Potrebbe sembrare un dettaglio irrilevante, se non fosse che fin dall'epoca classica l'umanità ha prodotto testi di satira precisamente attorno a specifici eventi e personalità soltanto quando questi erano ormai dilaganti nei pensieri e nei discorsi di una società.

 

Questo articolo si pone l’obiettivo di fornire delle ragioni all’impatto che The Ring ha avuto sull’immaginario collettivo, proponendosi come un’analisi trasversale del film in sé, della sua comparsa all’interno del panorama del Cinema dell’orrore del nuovo secolo, così come di un'intera società intrisa da interazioni tecnologicamente mediate. 

 

Una fissazione nella memoria collettiva così duratura di un’opera - foss'anche solo di alcuni suoi specifici elementi - non ha infatti mai soltanto un'unica ragione legata al suo pregio estetico.  

 

Un primo elemento da tenere in considerazione è il fatto che The Ring venne prodotto all’avvio del nuovo secolo, poco prima che il Cinema hollywoodiano connotasse il genere horror attraverso il sentimento del disgusto e dello shock visivo - successivamente definito età del torture porn - i cui esempi più riconoscibili furono le saghe di Saw e di Hostel.  

 

Questo dato ha avuto un riscontro diretto sulla percezione di The Ring lungo i primi anni 2000; per meglio definirlo potrebbe essere utile partire dalla mia stessa esperienza in merito. 

 

All’uscita del film ero senz’altro troppo piccolo perché potessi percepire davvero il fermento che il remake hollywoodiano - secondo adattamento del romanzo Ring di Kōji Suzuki dopo il precedente film del 1998 di Hideo Nakata - aveva suscitato anche in Occidente. 

 

 

[Un frame di Ring di Hideo Nakata, predecessore di The Ring]

 

 

So però per certo che esso si mantenne vivo almeno per qualche anno, sicuramente anche grazie all’uscita in home video.

 

Il fatto che un film la cui storia racconta di una videocassetta in grado di uccidere chiunque la visioni nell’arco di sette giorni venisse commercializzato proprio in formato VHS, suscitò una nuova eco mediatica fra coloro che non l’avevano potuto vedere al cinema.

 

Fra questi c’erano i miei coetanei.  

Per l’intera durata delle scuole medie ricordo distintamente il passaparola traumatizzato che se ne fece. 

 

Attesi qualche anno prima di vederlo per la prima volta, e questo fatto apre alla prima considerazione di questa ricerca: gli stilemi del Cinema dell’orrore si modificano e, con essi, le aspettative del pubblico su ciò che si appresterà a visionare.

 

Come detto, The Ring anticipava di qualche anno una concezione del Cinema dell’orrore basata su scene tanto macabre e cruente quanto esplicite.

 

Nel visionarlo con un certo ritardo le mie aspettative sul film vennero senz’altro condizionate da questo aspetto, cioè dai discorsi che all'epoca circolavano attorno alla più aggiornata concezione del genere horror. 

 

Da ciò si può spiegare la mia prima delusa visione perché, nell’attesa di una grande quantità di scene dal forte impatto visivo, non ero riuscito a rendere conto del tono del film, che a tratti mi sembrava piuttosto avvicinarsi a quello di un thriller paranormale - a dire il vero neppure particolarmente brillante - che riecheggiava a tratti smaccatamente i recenti successi dell'epoca come Il sesto senso e Scream.


Una seconda visione più matura fu in grado di rivelare quanto The Ring fosse in realtà un’eccezionale operazione di immedesimazione indotta, vale a dire un’operazione emotivamente più sottile rispetto alle mie prime aspettative; una vocazione che lo avvicina maggiormente alla deriva ripresa dal Cinema dell’orrore soltanto negli ultimi anni da Robert Eggers e Jordan Peele, dove il disgusto è piuttosto sostituito dall’inquietudine e dal malanimo, non senza una certa dose di allegoricità da un lato, e di critica politica dall’altro

 

Il Cinema dell’orrore, a discapito del nome è in realtà in grado di veicolare un ampio spettro di emozioni differenti; il sentimento che The Ring seppe (e sa ancora) suscitare è precisamente quello dell’ansia.

Rachel prova ansia nel faticare a comprendere le ragioni della morte dei ragazzi, ne prova ulteriormente nel momento in cui si espone al contenuto della videocassetta maledetta, che le promette morte certa dopo appena sette giorni.

 

L'ineluttabilità del meccanismo rivelato dalla VHS risveglia in chi viene maledetto una sensazione di frettolosa fissazione a volersene liberare il prima possibile.

Fin dalle prime scene osserviamo una ragazza confessare la visione del video maledetto a un'amica: il sentimento dell'ansia apre a una condivisione con gli altri della propria problematicità in una modalità che può apparire anche violenta, condannando un altro essere umano alla sopportazione del nostro peso. 

 

Nel campo diegetico di The Ring il meccanismo è ancora più esplicitato nel finale, quando Rachel comprende che per liberarsi dalla maledizione impressa dalla visione delle memorie di Samara l'unica strategia applicabile sarà quella di realizzare una copia della VHS e di diffonderla.

 

Un simile meccanismo verrà ripreso da David Robert Mitchell dodici anni più tardi, nel suo It Follows.

 

Noi spettatori - che già naturalmente empatizziamo con la protagonista del film - ci accorgiamo così di un’ulteriore, macabra, verità: non appena scopriamo con lei il contenuto di quel filmato ci sentiamo inevitabilmente noi stessi coinvolti nel cerchio senza fine di quella maledizione. 

Questa sottigliezza meta-filmica generò un battage pubblicitario particolarmente mirato a impressionare gli spettatori, soprattutto nei giorni seguenti alla visione.

 

La stessa tagline del film che campeggiava sulle locandine creò un curioso - e ansiogeno, è il caso di dirlo - effetto sugli spettatori, i quali potevano comprenderlo pienamente soltanto una volta usciti di sala: “Prima di morire, vedi... The Ring

 

 

[La locandina e l'evocativa tagline di The Ring] 

 

 

Con The Ring si dimostra che la capacità di produrre il Cinema dell’orrore richiede una certa sensibilità nel sapere aderire allo spirito del proprio tempo.


Ciò che quest’opera intercettò pienamente risiede nell’interazione - del tutto moderna - fra l’essere umano e i supporti visivo-tecnologici.

Il film insiste molto sulla dicotomia analogico/proto-digitalizzato.

 

Le ricerche di Rachel si alternano tra lo spoglio di voluminosi registri e di disordinati archivi a sistemi di screening tecnologici; tra i nastri delle VHS ai parziali - ma efficaci - confronti con i dati forniti dai motori di ricerca dell'epoca di ambientazione della storia.

Come già Videodrome aveva mostrato negli anni '80, anche all'avvio del nuovo millennio la scena di The Ring che ci colpì maggiormente fu quella in cui Samara travalica fisicamente lo spazio filmico attraverso lo schermo della televisione, avvicinandosi minacciosamente verso il nostro livello di realtà.

 

Lo schermo non ci “scherma” più, o quantomeno è sempre più complesso rilevare un'assoluta distanza tra il contenuto delle immagini a cui ci sottoponiamo quotidiamente mediante i supporti tecnologici e l'immaginario che plasma i nostri desideri e le nostre azioni nella realtà quotidiana. 

 

Avvalendosi di un supporto visivo immediato come era quello di una VHS inserita in un videoregistratore, anche le nostre possibilità di intervento sull'apparizione delle immagini risultavano minime: ciò non fa altro che acuire quel  senso di silenziosa e opprimente minaccia che producevano - e producono ancora - le masse dei televisori catodici in formato 4:3.

 

 

[The Ring: si varca lo spazio fra l'orrorifico soltanto immaginato e la realtà dei fatti]

 

 

Fa in effetti sorridere il pensiero di vedere Rachel in un "The Ring alternativo" mentre inserisce un DVD maledetto e sceglie pazientemente sul menù interattivo la clip del pozzo e della radura. 

 

È precisamente questo senso di ineluttabile e di immediato avvio, tipico di quello specifico binomio tecnologico VHS-televisore, a potenziare l’effetto impattante di The Ring e garantirgli ancora lunga vita.  

 

Esiste dunque ben più di una ragione di merito soltanto estetica fra quelle che si possono concedere a Gore Verbinski e alla sua troupe per la riuscita di quest’opera. 

 

Sarà compito di nuovi autori autori individuare gli oscuri gangli tecnologici in cui siamo avvolti ogni giorno e maturare una sceneggiatura contemporanea che possa ancora impressionarci a tal punto; oppure riconoscere che la congiuntura storica fra gli anni ‘90 e gli anni 2000 è stata una parentesi chiusa e che siano altre le leve emotive da muovere per scuotere la nuova umanità digitalizzata.  

 

Non è tuttavia mia intenzione soprassedere sugli intrinseci meriti artistici di un film che presenta innanzitutto una buona interpretazione di Naomi Watts nei panni della protagonista, peraltro solo un anno dopo la sua impressionante prova in Mulholland Drive.

 

Altre due menzioni inevitabili sono quelle alla fotografia di Bojan Bazelli che, nei suoi toni pluviali grigio-azzurri, trasmette il giusto bilanciamento fra la natura orrorifica pienamente irrazionale e quella da caccia all’assassino fra indizi e colpi di logica.

 

Eccezionale ancora oggi la resa fotografica quasi “usurata” del video impresso sulla videocassetta di Samara e il montaggio di brani di immagini ed elementi al suo interno, capaci di accostarlo alle opere surrealiste e dadaiste degli anni '20.  

 

 

[Un fotogramma proveniente dal video maledetto da Samara nella sua fotografia fredda e graffiata]

 

 

Menzione doverosa va anche a Hans Zimmer, che fra gli anni ‘90 e i primi 2000 ha probabilmente firmato le sue colonne sonore più ispirate; tra queste c'è anche quella di The Ring: Samara’s song e The Weel, su tutte, sono tanto d’effetto quanto per nulla invasive.  

 

Per concludere desidero ribadire una volta di più l’accuratezza grazie alla quale The Ring (e naturalmente anche l’opera nipponica da cui trae origine) ha saputo collegare le strutture narrative al suo interno con quelle della società per la quale è stato prodotto, sottolineando un’ulteriore leva emotiva splendidamente sfruttata dai creatori del film al fine di imprimersi nell’immaginario degli spettatori.


Esiste un solo modo per Rachel di scoprire il mistero della VHS maledetta, ed è quella di visionarla esponendosi al rischio del peggio.

 

“Non la vuole vedere questa cassetta? Non è nemmeno curioso?”, dirà a uno dei suoi collaboratori.  

È la curiosità di Rachel a farle dipanare la triste storia di Samara ma, al contempo, a mettere in pericolo lei stessa e il suo amato figlio.

È la stessa curiosità che mi fece orbitare attorno a questo titolo per tutti gli anni delle scuole medie.

Ed è la stessa di quando tutti noi spettatori abbiamo inserito una copia della VHS di The Ring all’interno dei nostri videoregistratori.

 

Un cerchio che mai del tutto si chiude, un colpevole atto di curiosità che perpetra e diffonde la storia di Samara in forme vent'anni fa impensabili, come lo è quella di un articolo per il sito-social CineFacts.it che la vostra curiosità ha colpevolmente deciso di aprire e leggere fino alla fine.

 

Ci vediamo fra sette giorni...

 

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