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Dexter: New Blood - Recensione: E del cul fece trombetta

La recensione della miniserie-revival Dexter: New Blood  

Che quella di Dexter Morgan sarebbe stata una lenta e sanguinosa discesa all'inferno non è mai stato un mistero, e non serviva il secondo finale offertoci da Dexter: New Blood per confermarlo.

 

Del resto che poteva accadere a un serial killer che si finge una persona "normale"? 

La serie TV statunitense - prodotta da Showtime Networks - aveva interrotto la sua corsa durata ben 8 stagioni con quell'epilogo frettoloso, mal gestito e mal rappresentato che tanto aveva fatto discutere gli appassionati dello show con protagonista Michael C. Hall.

 

Lo stesso Hall che, negli anni successivi al termine delle riprese, aveva dichiarato lapidariamente che "il finale è stato 'mistificatorio' nel migliore dei casi e sconcertante, esasperante e frustrante nei peggiori".

 

[Il trailer di Dexter: New Blood]

 

 

Così, dopo aver recuperato Clyde Phillips - uno degli showrunner principali di Dexter che aveva abbandonato il progetto dopo la quarta stagione -, lancia in resta, il network televisivo ha deciso di rimettere in sella uno dei più feroci serial killer mai comparsi sul piccolo schermo per concedergli una "fine di percorso" che potesse soddisfare tutte le parti in causa, produzione e spettatori.

 

Prima di lanciarsi in un'analisi su Dexter: New Blood sembra però opportuno partire da una piccola premessa legata alle precedenti 8 stagioni dedicate a Dex.

La serie ispirata al romanzo La mano sinistra di Dio di Jeff Lindsay è stato un prodotto audiovisivo che, nel suo piccolo, ha segnato la Storia della TV, conquistandosi negli anni di rilascio recensioni tendenzialmente e generalmente positive sia negli USA sia nel resto del mondo, vincendo premi di rilievo (numerosi fra Golden Globe, Saturn e Satellite Award) e, soprattutto, insinuandosi negli affetti degli spettatori.

 

Nonostante non sia "invecchiata" nel migliore dei modi, che già all'epoca della sua uscita non avesse una production value strepitosa (eufemismo) e che già la seconda/terza stagione prendessero allegramente a calci nei denti la sospensione dell'incredulità dello spettatore con una scrittura quantomeno buffa, Dexter è riuscito a entrarci nel cuore.

 

 

[Il container dove è nato "l'oscuro passeggero" di Dexter Morgan]

 

Perché Dex è sempre stato un personaggio morbosamente affascinante, sfaccettato, dominato da contrasti violentissimi.

 

Lui, il sanguinario giudice/giuria degli uomini cattivi, il netturbino delle carogne che popolano il mondo; lui, gentilissimo mostro anafettivo, perito ematologo della Metro Police di Miami cresciuto secondo il "sacro codice" di Harry, il padre adottivo che lo portò via - poco più che infante - dal container dove Dexter aveva assistito alla macellazione della madre, brutalizzata con una motosega.

Dex e il suo "passeggero oscuro", il mostro che gli cova dentro, pronto ad esplodere per esigere sangue.

 

Dexter colpevole, ma anche innocente, vittima di un istinto in lui radicato e che non si può estinguere: come biasimare dunque un individuo che non ha il potere di controllare i propri istinti primari?

Quesito interessante, specialmente se si parla di uno smembratore armato di sodio pentothal, sega per ossa e sacchi neri.

Per questo, credo, il pubblico si era innamorato della storia di questo buffo ometto di Miami, topo di laboratori impacciato di giorno, giustiziere sanguinario di notte; ferale predatore che soddisfa il proprio desiderio di morte punendo pedofili, assassini, stupratori e la generica feccia che pascola questa verde Terra.

 

Un personaggio con cui non si potrebbe né dovrebbe empatizzare ma che, alla fine dei conti, ci aiuta nel compito di avvicinarci a lui in virtù delle sue difficoltà relazionali/morali/sociali/emozionali, derivate dal cortocircuito interno che lo definisce come "carnefice" come diretta conseguenza dell'essere una "ex vittima".

 

 

 

 

Dopo avere affrontato una lunga serie di pericoli che ne minacciavano la libertà - il sergente Doakes, l'agente speciale dell'FBI Lundy e il capitano LaGuerta - o peggio ancora l'esistenza - i vari assassini psicopatici con cui "duella" nel corso dell'arco narrativo, Trinity, il killer del camion frigo, il killer dell'apocalisse, etc. - Dexter era arrivato a una fine del percorso che sembrava essere adeguata per lui.

 

Ci tengo a specificarlo: considero "adeguato" il primo finale di Dexter per la destinazione raggiunta, non per le modalità - che lasciano ben di più di qualche perplessità - attraverso le quali ci era arrivato.

 

Ricorda i mostri, la puntata finale dell'ottava stagione, ci aveva infatti presentato un Dex - con barba sfatta e capelli scarmigliati - auto confinato nei boschi dell'Oregon, solo, perso, dopo aver distrutto tutte le cose e le persone che aveva imparato ad amare (ammesso che questa sia la parola giusta per un killer sociopatico e anafettivo).

A mio modesto avviso questa era una conclusione-punizione più che corretta per il percorso di Dexter Morgan: l'oblio.

Oltrettutto, a ben vedere, spogliare la chiosa narrativa di quella - tipica - aura giustizialista statunitense che vuole una pena direttamente proporzionale ai peccati commessi poteva essere (inconsapevolmente?) una mossa estremamente arguta, aliena dal solito spartito e pregevolmente realistica: non tutti i killer finiscono per illuminarsi sulla sedia elettrica o vengono agganciati a un soffice scorsoio.

 

Nella realtà quotidiana, ci insegna la cronaca nera, molti scompaiono semplicemente nell'oscurità.

 

 

[Lo sguardo perso nel vuoto di un Dexter distrutto, nel "primo" finale della serie TV]

 

 

Dexter: New Blood dà un gigantesco colpo di spugna: niente più Oregon, siamo nella cittadina immaginaria di Iron Lake - nello stato di New York -, Dexter è diventato Jim Lindsay (omaggio al romanziere "papà" di Dex), innocuo commesso di un negozio di caccia e pesca del piccolo paese.

 

Il fu perito della polizia scientifica di Miami è da dieci anni che reprime i propri istinti omicidi soffocando il suo oscuro passeggero, è fidanzato con lo sceriffo di Iron Lake - una donna divorata da demoni del proprio passato ed estremamente forte (come dite? Déjà-vu?) - e conduce una vita terribilmente ordinaria che lo fa sentire come una tigre in gabbia.

Il fantasma/spirito guida/grillo parlante di Harry Morgan è stato sostituito da quello di Debra (Jennifer Carpenter), sorellastra dell'ex Macellaio di Bay Harbor, che compare di quando in quando per consigliare o rimproverare il fratello, sostenendolo nella sua disintossicazione dall'omicidio.

 

 

A movimentare le noiosissime acque della vita quotidiana di Dex ci penseranno l'arrivo in città di Harrison (Jack Alcott), il figlio che aveva abbandonato per non condannarlo alla sua stessa maledizione, e la presenza di un'altra belva feroce - molto più "attiva" di Dexter - che si nasconde fra gli abitanti della piccola comunità montana.

 

 

[Riunioni di famiglia in Dexter: New Blood]

 

Non nego che vedere di nuovo Dexter in pista, osservarlo correre fra boschi innevati con in sottofondo The passenger (non quello oscuro, ma quello cantato da Iggy Pop) mi aveva reso felice, speranzoso che questa miniserie revival di 10 episodi - distribuita in Italia da Sky - potesse cavare fuori dal cilindro un grazioso coniglio bianco.

 

Questo per i primissimi episodi.

 

La realtà dei fatti - visti attraverso la mia personalissima ottica, si intende - mi ha invece palesato un prodotto incastrato nei ricordi del proprio passato, sicuramente con un valore produttivo superiore e un'estetica funzionale e ben contestualizzabile nel 2022, ma terribilmente povero di idee.

Non è stato sufficiente attualizzare le situazioni con social media e podcaster né ricalcare (se non addirittura sostituire o ripresentare) vecchi personaggi per evitare a Dexter: New Blood un sapore stantìo o quantomeno insipido.

Il ritorno della serie di Showtime presenta dunque un prodotto castrato come il suo protagonista, un mostro che non morde, non destabilizza e che solo di rado (nonostante il sempre ottimo Michael C. Hall) riesce a coinvolgere lo spettatore nelle sue torbide contraddizioni morali ed emotive.

 

 

Nonostante il - già segnalato - miglioramento della messa in scena generale, in Dexter: New Blood esistono delle scene che sfiorano il cringe, foraggiate da una sceneggiatura che, in qualche frangente, si concede delle ingenuità pazzesche e da alcuni membri del cast che sembrano andare completamente a briglia sciolta, quasi non avessero ricevuto alcuna direzione di regia.

 

 

[La vecchia volpe Clancy Brown fa quello che può come "nuovo pericolo" in Dexter: New Blood, ed è forse una delle poche cose a salvarsi della miniserie prodotta da Showtime]

 

I personaggi - comprimari e non - funzionano poco e male, arrivando a essere al limite dell'insopportabile come nel caso di Harrison Morgan.

 

Il che, nel caso specifico, potrebbe essere anche normale e accettabile, trattandosi di un adolescente problematico che nella vita ha conosciuto solo morte e abbandono.

Eppure, nonostante le attenuanti del caso, più che suscitare compassione per la sua condizione (e per il possibile fardello ricevuto da Dexter) il personaggio interpretato da Jack Alcott risulta davvero respingente.

 

Ci sono poi personaggi inseriti - apparentemente - in maniera randomica, del tutto non funzionale, solo per coccolare lo spettatore con un effetto nostalgia a buon mercato. 

È, ahimè, il caso di Deb, uno "spirito guida" senza alcuna funzione effettiva se non quella di far sorridere per situazioni che talvolta portano all'imbarazzo.

Il discorso vale anche per Angel Batista (David Zayas), introdotto nella nuova storia - per una manciata di minuti di screen time - apparentemente senza uno scopo utile agli sviluppi narrativi (uno c'è, ma davvero esilissimo), solo per suscitare i feels di noi tutti che osserviamo dal divano.

 

A questo punto non potevate ridarci Vince Masuka e le sue anacronistiche - e indelicate - battutacce?

Almeno ci saremmo fatti due risate.

 

 

[Un'immagine di quando i personaggi, in Dexter, avevano ancora una parvenza di scrittura ponderata]

 

Il finale - questa volta quello vero - sconfessa quanto di positivo aveva lasciato concettualmente la conclusione precedente.

 

I timori si sono confermati: la retorica del "cerchio che si chiude", dei figli che mondano le colpe dei padri e quella f*ttutissima (scusatemi, sono ancora amareggiato) e indecente dottrina sul senso di "giustizia morale" - applicata sovente dal Paese a stelle e strisce ai suoi prodotti narrativi - hanno trionfato, peggiorando se possibile un epilogo già non entusiasmante.

Per anni noi spettatori, come novelli Dante e Virgilio, abbiamo accompagnato Dexter nella sua discesa agli inferi, seguendolo in un percorso imperfetto ma di intrattenimento, volendogli bene, arrivando infine a una conclusione giusta ma altrettanto imperfetta.

 

Per quanto mi riguarda era un prodotto che avrebbe dovuto restare così, con i suoi pregi e i suoi difetti: una comfort-serie TV (ormai quasi guilty pleasure) da rispolverare ogni lustro sospirando per i ricordi che poteva risvegliare in noi. 

Michael C. Hall e la produzione hanno invece voluto riesumare il corpo sfatto e sfinito di Dexter Morgan per concedere al personaggio una "conclusione degna", giusta, con quello che - nella loro progettualità - avrebbe dovuto essere un requiem elegante e solenne.

 

"Il finale di questa stagione sarà sorprendente, scioccante, inaspettato e farà esplodere Internet"

Clyde Phillips 

 

Al contrario, il finale di Dexter: New Blood, per quanto mi riguarda, ci consegna il diavolo-Dexter che se ne va con un suono stridulo, sgradito e inopportuno quanto una sonora trombettata sfinterica.

 

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