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We're All Going to the World's Fair - Recensione: inquietante solitudine tra realtà e finzione - TOHorror 2021

We're All Going to the World's Fair è un prodotto estremamente particolare, figlio del suo tempo e della generazione che cerca di rappresentare, ma capace di raccontare solitudine e isolamento senza età

Presentato al Sundance Film Festival 2021 nella sezione NEXT Innovator e prodotto da David Lowery We're All Going to the World's Fair è un film estremamente particolare che fa parte della selezione American Nightmares di questo XXI TOHorror Fantastic Film Fest.

 

Il film fuori concorso diretto da Jane Schoenbrun risulta essere parte di un focus sugli Stati Uniti e su un certo modo del Cinema di genere di raccontare la contemporaneità attraverso il Coming of Age.

 

Lo stesso focus di cui fanno parte la director’s cut di Donnie Darko, capostipite di una commistione tra Cinema indipendente e di genere estremamente legata al mondo culturale a stelle e strisce, The Scary of the Sixty-First, film in cui si incontrano erotismo ed esagerazione, esoterismo e complottismo, premiato al Festival del Cinema di Berlino come migliore opera prima, e appunto We're All Going to the World's Fair.

 

 

[Uno dei momenti più inquietanti di We're All Going to the World's Fair]
 

  

Quest’ultimo in particolare è un film che, stando alla sola sinossi, potrebbe risultare un teen horror privo di interesse, già raccontato da molto Cinema becero contemporaneo: solo leggere termini come creepypasta, challenge e webcam non può che mettere i brividi a chi si approccia alla visione, e non nel senso in cui l’horror vorrebbe.

 

We're All Going to the World's Fair è invece probabilmente il miglior film che abbia visto fino ad oggi all'interno delle selezioni di questo XXI TOHorror Fantastic Film Fest.

 

Casey (Anna Cobb, all'esordio assoluto) è una giovane teenager che decide di accettare la World’s Fair Challenge, una sfida "a step" online in cui bisogna caricare i video del cambiamento che il gioco provoca in se stessi: il primo di questi è un selftape in cui, dopo essersi punti un dito e dopo aver macchiato lo schermo con il sangue, lo si guarda mentre proietta colori psichedelici. 

 

 

[La giovane Casey prima della prima prova della World's Fair Challenge]
 

  

Attraverso i suoi video, quelli di altri concorrenti e il rapporto con JLB (Michael J Rogers), un adulto che cerca di mettersi in contatto con lei per aiutarla ad evitare i pericoli della sfida, assisteremo al racconto del rapporto che il mondo odierno ha con la tecnologia, la crescita e la solitudine.

 

We're All Going to the World's Fair gioca tutta la sua estetica sull’accostamento tra video simil-amatoriali ripresi da webcam, telefonini o caricati da giovani youtuber e l’immediatezza di un Cinema girato con camere a mano e lunghi movimenti a seguire, o precedere, i protagonisti in tipico stile indipendente americano.

 

Questa scelta registica crea un'immersività totale e un confine labile tra "filmato" e "reale" estremamente riuscito, che impreziosisce un film già interessantissimo sul solo piano tematico.

 

Il discorso su immediatezza e amatorialità proposto da We're All Going to the World's Fair richiama moltissimo le filosofie e il linguaggio da cui partì il movimento mumblecore - in cui Lowery mosse i suoi primi passi - ma applicate a un decennio completamente diverso e, di conseguenza, con categorie e linguaggi nuovi.

 

 

[Casey davanti a uno dei veri protagonisti di We're All Going to the World's Fair: gli schermi]

 

 

È molto interessante osservare come nel film di Jane Schoenbrun vengano mischiate le immagini: oltre a passare da Cinema a finto video amatoriale, talvolta i filmati vengono mostrati attraverso proiettori, schermi e smartphone; in altri casi, invece, la scelta registica è quella di mostrarli "a schermo intero", come se la sala cinematografica diventasse il computer dell'autrice, di Casey o di JLB, inclusi i buffering dei video.

 

Su questo aspetto gioca moltissimo uno dei nuclei tematici più interessanti del film, ovvero come finzione e realtà si uniscano e diventino fondamentali nell'incomunicabilità tra due persone, specialmente se sole come i due protagonisti. 

 

Tutto in We're All Going to the World's Fair è mediato da schermi, camere e proiezioni, quindi il limite tra recitazione e spontaneità, tra reale e costruito, tra filmato e accaduto è estremamente sottile e mette costantemente in dubbio l’importanza degli eventi: tutto si riduce a sensazioni, intima connessione, momenti e stati d’animo.

 

Un discorso che si ricollega perfettamente a una challenge poco chiara, ma in cui si parla proprio di cercare i mutamenti in se stessi, in questo cambiamento costante esposto davanti alle camere: un'immagine abbastanza chiara della visione che l'autrice ha dell'adolescenza ai giorni nostri.

 

 

[La giovanissima Casey, che vediamo cambiare lungo tutto il film, in una delle primissime inquadrature di We're All Going to the World's Fair]
 

 

Il cambiamento della giovane e bravissima Anna Cobb è perfetto: tanto più il film avanza, tanto più lo spaesamento lascia il suo volto in favore di tutta la gamma di altre emozioni, espressioni e rese estetiche.

 

Un dialogo costante tra realtà e finzione, pieno di sfaccettature - che una breve recensione non può mettere a nudo - e che si esalta ancor di più con le esternazioni finali di Casey: poche parole che rimettono in dubbio tutto quanto sappiamo di We're All Going to the World's Fair e della protagonista, ma che in realtà sono la perfetta sintesi di qualcosa che stava già crescendo nel film.

 

Un dualismo che permea tutta l'opera: tra dramma e film horror/fantastico, in cui i media si compenetrano e i rapporti umani cambiano costantemente.

 

Davanti alla webcam c’è una giovane donna persa in una fase della vita in cui il cambiamento è totale e lo spaesamento difficile da gestire: un’età in cui si cercano appigli che sembrano inesistenti, specialmente per lei che vive in una città deserta e in una casa in cui la voce del padre si sente solo una volta in 86 minuti.

 

 

 

 

Un racconto che si fa generazionale e che, attraverso la decostruzione del mezzo cinematografico, ci parla di un linguaggio in continua evoluzione in un mondo in cui tutti hanno un telefono in mano e che, di conseguenza, non può che rapportarsi con l’abitudine (e l’immediatezza) che questa fruizione/produzione audiovisiva genera nei nuovi spettatori.

 

Dall’altra parte abbiamo un Cinema che sa di non essere selftape e che quindi ne sfrutta le forme, le luci, le inquadrature, il ritmo e sa come muoversi dimostrando - nonostante sia l’esordio alla regia di un film di fiction di Jane Schoenbrun - una maestria assoluta che rende We're All Going to the World's Fair quadratissimo ed estremamente coinvolgente, nonostante una forma estremamente concettuale e varia.

 

In questo contenitore di grande interesse semiotico la regista inserisce un racconto di solitudine e scoperta di sé lucidissimo: sia quando parla della giovane protagonista che sta crescendo, sia per il meno presente (ma altrettanto importante) JLB, uomo adulto che vive in rete immerso tra i suoi disegni.

 

We're All Going to the World's Fair è un film che sa parlare attraverso un linguaggio nuovo e interessante, ben costruito, con solidissime basi.

 

Una produzione assolutamente in grado di rappresentare un dramma coinvolgente, funzionale e in cui non mancano di certo momenti inquietanti da film sul paranormale.

 

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