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Vi propongo un’esercitazione figurativa. Periodo: anni ’70. Luogo: periferia romana.
Immaginate di vivere in una catapecchia fatta di lamiere arrugginite e traballanti assi di legno nel mezzo di una baraccopoli.
In questo lercio tugurio dividete lo spazio con circa altre venti persone tra fratelli, sorelle, cognati e nipoti.
Il numero dei parenti è pari - forse - solo all’ultimo censimento di topi che bivaccano tra un materasso e l’altro e che sguazzano spensierati nel serbatoio dell’acqua potabile.
Immaginate una vita fatta di espedienti, crimini vari e corollata da tutte le miserie più profonde dell’essere umano.
I “nobili” mestieri dei tuoi ipotetici fratelli e sorelle vanno dal taccheggio fino ad arrivare alla prostituzione; solo tre o quattro di loro hanno un lavoro onesto per sbarcare il lunario.
Immaginate ora un padre-padrone despota, villano e violento, il cui unico scopo di vita è cedere ai piaceri della carne, dell’alcol e nascondere il proprio denaro dalle avide mani dei parenti, sempre pronti al furto con destrezza.
Se riuscite a immaginare una realtà tanto abbietta e meschina allora avrete un’idea di cosa sia Brutti, sporchi e cattivi (1976).
Sulla falsa riga di quello che fu il verismo verghiano e con una spruzzata del miglior neorealismo cinematografico, Ettore Scola, uno dei più grandi cineasti del cinema italiano, utilizza la macchina da presa per mostrare allo spettatore la realtà più disgustosa e disturbante della recente storia d’Italia.
Nino Manfredi, gigantesco nella sua interpretazione, è il pater familias più malvagio che si potesse delineare nella narrazione del film: ubriacone cronico, fedifrago, incestuosamente vizioso e violento dalla coltellata facile.
Tuttavia, il personaggio di Giacinto Mazzatella (questo è il suo nome), migrante barese, non si ferma alla sola e grossolana crudeltà.
Nino Manfredi, infatti, riesce a dare spessore al suo controverso personaggio, controbilanciando la sua malvagità con sentimenti sinceri e bonari, quasi impercettibili, che danno un gusto ancor più saporito a una storia dalle tonalità già decisamente “forti” presenti al suo interno.
Brutti, sporchi e cattivi è un’opera dominata da horror vacui che riempiono la narrazione di tutti i fattori più bizzarri e controversi che il Cinema italiano post boom economico potesse immaginare.
C’è la nonna ultranovantenne (la madre di Giacinto) bloccata su un’improbabile sedia a rotelle, perennemente intenta a seguire corsi di inglese che passano sui canali Rai, fumando come una ciminiera del bergamasco; c’è il figlio Nando, marchettaro transessuale che, tornato a casa dopo una notte di lavoro, violenta una non troppo contrariata nuora intenta a farsi lo shampoo ai capelli; c’è la gargantuesca puttana napoletana Iside - di cui Giacinto si innamora - ingenua e gentile quanto una dama de Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione.
Quella di Brutti, sporchi e cattivi è una storia strana, diversa, aliena.
Angosciante e mostruosa quanto l’immagine dei bambini della baraccopoli che, invece di andare a scuola, vengono rinchiusi doppia mandata in un recinto come un branco di animali da cortile.
L’elemento disgustoso, la sporcizia e grugni porcini saturano le perfette inquadrature di Scola per tutta la durata del film.
C’è una sorta di estetismo alternativo, un culto dell’orrido che regna incontrastato per tutta la pellicola e, poco sorprendentemente, non solo nelle sequenze ambientate nella baraccopoli (fate caso ai denti, alla bocca, alla tazza di caffè posata nel portacenere del commissario di polizia a circa metà film).
I dettagli della rappresentazione, i primi piani tagliatissimi di volti e bocche orripilanti e lerce intente a masticare cibi dall’aspetto tutt’altro che invitante (la scena del pranzo post-battesimo dell’ennesimo nipote di Giacinto è un’opera d’arte dal valore inestimabile) sono il pezzo forte del film, insieme al realismo più crudo e brutale che si possa immaginare.
A coronare un lavoro visivamente superlativo ci pensano le musiche del maestro Armando Trovajoli, uno dei compositori principi dell’epoca d’oro del cinema italiano.
In Brutti, sporchi e cattivi c’è tanto, forse troppo di più di quanto l’occhio e il cervello dello spettatore vorrebbero e potrebbero sopportare.
Eppure lo accettiamo.
Lo sopportiamo.
Perché la maestria tecnica, la pregevolezza visiva e l’elemento innovativo vanno sempre apprezzati, anche a fronte della realtà più bieca e disgustosa che si possa rappresentare su pellicola.
“In questo notevole film, l’insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del «brutto», dello «sporco» e del «cattivo»”
[Alberto Moravia]
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24 commenti
Francesco Broccoli
10 mesi fa
Non so se ha fatto effetto solo a me, però sopratutto nel momento del pranzo di battesimo a me veniva realmente da vomitare. Immagini potentissime.
E molto bella la recensione.
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Tony S.
2 anni fa
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Stefano Baldassarra
2 anni fa
P.S. ma che attore era Nino Manfredi???
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Drugo
2 anni fa
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Luca Ernandes
2 anni fa
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Yuri Pennacchi
2 anni fa
Ci terrei a ricordare che Pasolini avrebbe dovuto dirigere una scena coi bambini nella baraccopoli ma purtroppo pochi giorni prima delle riprese avvenne il suo omicidio.
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Dav 9000
2 anni fa
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Valeria Aloisi
2 anni fa
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Luca Buratta
2 anni fa
Di Scola consiglio anche Dramma della gelosia con la fantastica Monica Vitti.
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Vi.
2 anni fa
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Nuriell
2 anni fa
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Ambra
2 anni fa
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